Si dice spesso che lo yoga sia una pratica millenaria: le sue radici affondano in epoca prevedica (il famoso Shiva Pashupatti seduto in Padmasana ne sarebbe la prova tangibile) e l’aroma del suo più bel fiore è racchiuso nella Bibbia dello yogi, il grande classico, gli Yoga sutra di Patanjali. Ma questo cosa vuol dire esattamente? Che pratichiamo come facevano in India migliaia di anni fa o come insegnava Patanjali negli Yoga Sutra?
Lo yoga oggi è uno strano mix di fitness e pratica terapeutica, condita di un po di misticismo e estremamente influenzata dal suo essere diventata un’industria dal fatturato milionario. Ma parte del successo dello yoga oggi dipende proprio dal suo essere presentato come una pratica millenaria. E qui il folk yogico si divide in due partiti principali: da un lato quelli che non hanno mai letto neanche il best seller di Patanjali e quindi accettano la favola senza farsi troppe domande e all’opposizione quelli che l’hanno letto talmente bene da sostenere che la pratica contemporanea è una degenerazione. Nonostante molte delle critiche che i puristi rivolgono al modo di praticare yoga oggi e all’immagine distorta che ne deriva siano più che condivisibili (vedi ad esempio l’articolo Yoga what it is and what it is not di Swami Chidananda), così come condivisibili sono gli appelli di coloro che auspicano una rispiritualizzazione della pratica, l’atteggiamento che le accompagna è spesso rigido, tradizionalista e manicheo; sicuramente più serio, ma in definitiva acritico e astorico almeno quanto quello del fitness yoga. La verità è che entrambe le prospettive mettono al centro del loro discorso un termine che nel corso di millenni è stato associato a tutto e al contrario di tutto e questo rende assolutamente privo di senso cercare di ricostruire la storia della pratica contemporanea andando dietro a tutti i cartelli con l’indicazione “yoga” che troviamo nel labirinto già di per sé complicato della storia indiana.
Questa tendenza è stata purtroppo seguita a lungo e ha causato molta confusione, ma una serie di pubblicazioni stanno, finalmente, portando l’attenzione sul tema e cercando di mettere un po di chiarezza. Tra queste una lettura appassionante è il testo di Mark Singleton, Yoga Body: The Origin of Modern Posture Practice. L’autore esplora a fondo le radici moderne dello “yoga posturale” contemporaneo mettendo in discussione molti degli assunti su cui si basa l’immaginario comune senza cadere nella trappola del binomio autentico/inautentico. Senza bisogno di andare troppo indietro nel tempo, basta infatti leggere la Gheranda Samhita o l’Hatha Ratnavali per rendersi conto che la pratica premoderna era completamente diversa da quella contemporanea: il contesto era altro, gli scopi e il significato della pratica erano diversi.
Negli anni ’20 del Novecento l’India venne investita come molti altri paesi da un’ondata di interesse per il culto del corpo. Il nazionalismo indiano era in pieno sviluppo e l’India era alla ricerca di una nuova immagine di sé, forte e maschile: la causa aveva bisogno di uomini sani e forti e fu in questa fervente atmosfera pre indipendenza che si diffusero e svilupparono diversi metodi corporei che combinavano ginnastiche europee e pratiche locali. Alcuni rivoluzionari come Raghavendra Rao percorrevano il paese travestiti da asceti per preparare il popolo alla rivoluzione attraverso esercizi di potenziamento e tecniche di combattimento che chiamavano yoga. Altrove Kuvalayananda (1883-1966) e Yogendra (1897-1989) cominciarono a integrare asana e altre pratiche corporee locali con ginnastica e naturopatia europee in quella che verrà definita yogaterapia. Singleton traccia naturalmente anche la storia di Krishnamacharya (1888-1989): allievo di Kuvalayananda e insegnante di molti dei più influenti yoga guru del novecento (B.K.S. Iyengar, K.Pattabhi Jois, Indra Devi, T.K.V. Desikachar) fondò sotto la protezione del mahārāja di Mysore un nuovo yoga, che combinava wrestling, calistenia, bodybuilding, haṭha yoga, e ginnastica europea, in un sistema dinamico pensato per formare la gioventù indiana e in perfetto accordo con il culto del corpo di inizio Novecento. Forza e salute si fondono poi in occidente con le aspirazioni spirituali delle nuove ginnastiche armoniche, forme di stretching spirituale al femminile che combinavano respiro e movimento con pratiche di consapevolezza del corpo (iniziatrici furono Genevieve Stebbins e Molly Stack), diretti precursori secondo Singleton delle versioni New Age dello Yoga posturale contemporaneo.
La lettura di Yoga Body (purtroppo non ancora disponibile in italiano :() è estremamente appassionante e ha un effetto quasi catartico: guardare alla storia dello Yoga abbatte i falsi miti in cui più o meno fortemente ci identifichiamo in quanto insegnanti o praticanti di yoga e ci libera dal peso di una finta tradizione. Volgendoci al passato con occhio critico impariamo che lo Yoga è stato inventato e reinventato un’infinità di volte, e che la pratica contemporanea è una creatura sincretica nata dall’incontro di influssi e esigenze culturali diverse, espressione di un preciso e mobile Zeitgeist. Letture come queste ci insegnano un approccio più maturo e tollerante e, liberandoci dall’illusione dell’autenticità ci insegnano che non c’è giusto o sbagliato, ma solo pratiche con storie, fini ed effetti diversi. Ampliando la prospettiva la scelta di questa o quella via diventa cosciente e non subita e la creatività individuale legittimata.