Il re Dasaratha era sovrano del regno di Kosala, la cui capitale, Ayodhya, è oggi conosciuta con il nome di Oudh ed è una delle sette città sacre dell’Induismo. Egli apparteneva alla dinastia solare, fondata dal re Ikshvaku e risalente allo stesso Manu, il primo uomo e legislatore.
Per assicurarsi una discendenza il re decise di celebrare il sacrificio del cavallo e lo stesso Vishnu, compiaciuto dal sacrificio, si incarnò nel grembo delle tre regine Kaushalya, Kaikeyi e Sumitra. Naquero quattro figli maschi, tutti emanazioni del dio Vishnu: Rama da Kaushalya, Bharata da Kaikeyi, Lakshmana e Shatrughna da Sumitra. Tra questi Rama rappresentava l’incarnazione più alta del dio o Avatara.
I quattro fratelli si amavano vicendevolmente e, in particolare Rama e Lakshmana, erano molto legati tra loro. I due giovinetti, imbattibili nel tiro con l’arco, iniziarono molto presto a compiere imprese eroiche, come liberare dal demone Taraka la foresta in cui viveva il saggio Visvamitra. Il saggio, dopo aver compiuto il sacrificio appropriato, invitò i due giovani a seguirlo a Mithila, dove il giorno successivo doveva avere luogo una gara con l’arco indetta dal re Janaka per trovare marito alla figlia Sita.
I tre entrarono a Mithila, città parata a festa per la cerimonia imminente, e Rama scorse su un balcone del palazzo reale una fanciulla che gioca con le sue amiche; pur senza darlo a vedere ne rimase colpito nel profondo. La fanciulla, che altri non è che Sita, vedendo questo giovane passare, fu colpita da uno strano turbamento e quella notte non riuscì a prendere sonno. L’indomani, alla prova dell’arco, solo Rama riuscì a sollevare il possente arco di Shiva e, nel tentativo di tenderne la corda, lo spezzò.
Il re Janaka, il quale ormai disperava che qualcuno uscisse vittorioso nell’ardua impresa, era al colmo della felicità e dette il via ai preparativi per le nozze, inviando messi ad Ayodhya per la cerimonia nuziale. Rama e Sita, già segretamente innamorati l’uno dell’altra, si sposarono in pompa magna; anche i fratelli di Rama presero moglie nello stesso giorno e, dopo una lunga serie di festeggiamenti, degni di re, tutti ritornano felici ad Ayodhya.
Intanto il re Dasaratha, al ritorno dalle nozze, pensando di nominare Rama suo successore, convocò il consiglio per celebrare l’indomani stesso, giorno assai auspicioso, la cerimonia di incoronazione. Il fato però era in agguato e Kaikeyi, madre di Bharata e favorita del re, consigliata dalla serva deforme Kuni, si recò dal re chiedendogli di adempiere a due antiche promesse, fatte al tempo in cui ella gli aveva salvato la vita: chiese che fosse suo figlio, Bharata, a essere incoronato e inoltre che Rama si recasse in esilio per quattordici anni.
Il re, con la morte nel cuore, fu costretto ad accettare queste infami richieste per onorare la sua parola. Rama, informato della volontà paterna dal Guru di famiglia Vasistha, dichiarandosi felice di ubbidire alla volontà paterna, si preparò a partire accompagnato dalla moglie Sita e dal fratello Lakshmana.
I tre, vestiti da eremiti, si recarono nella vicina foresta di Citrakuta. Il re Dasaratha morì poco tempo dopo per il dolore e Bharata, che durante tutte queste vicende era assente, ritornato a palazzo, si recò anch’egli nella foresta per convincere Rama a ritornare ad Ayodhya, al fine assolvere ai suoi doveri di governo, ma ottenendo un rifiuto. Rifiutando però egli stesso di essere incoronato al posto del fratello maggiore, pose sul trono i sandali di Rama, in attesa che si compisse il lungo periodo di esilio.
Intanto Rama, Lakshmana e Sita lasciarono Citrakuta per inoltrarsi nella giungla, dove incontrarono numerosi eremiti e anche il re delle aquile Jatayu, il quale raccontò loro di essere stato un grande amico del re Dasaratha. Giunsero nella foresta di Pancavati, vicino ad un fiume; Lakshmana costruì una leggiadra capanna e i tre giovani vissero sereni in questo contesto idilliaco ricco di spiritualità.
Come sempre però nuove e dolorose prove li attendevano. Le foreste, si sa, sono popolate non solo da santi, ma anche da demoni e così uno di questi, la demonessa Surpakharna, sorella del re dei Rakshasa di Lanka, il terribile Ravana, un giorno, passando davanti alla capanna e vedendo la bellezza di Rama, se ne innamorò e, assunte sembianze leggiadre, iniziò a circuirlo. Rama, il cui compito era appunto quello di liberare il mondo dai demoni arroganti e in particolare da Ravana, si fece circospetto. Quando la demonessa, vista Sita, cercò di ucciderla, Lakshmana, che aveva un carattere irruento, le mozzò il naso e le orecchie.
La Rakshasi si recò furente alla corte del fratello chiedendo vendetta e, per convincerlo ad aiutarla, gli descrisse l’incredibile bellezza di Sita. Fu così che Ravana, circondato da cortigiani e da donne avvenenti, si innamorò di Sita al solo sentirne parlare. Il re dei Rakshasa, in preda a un forte sentimento amoroso ed essendo maestro di arti magiche, ideò uno strattagemma per rapire Sita con l’inganno e si fece aiutare nell’impresa dallo zio Maricha. I due si recarono nella foresta e Maricha si trasformò in un meraviglioso cervo d’oro.
Sita lo vide e pregò il marito di catturarle il cervo. Rama, desiderando accontentare la moglie, si allontanò lasciando Lakshmana di guardia alla capanna. La caccia si prolungò più del previsto e Sita, preoccupata, mandò Lakshmana alla ricerca del marito, restando così da sola. Era il momento atteso da Ravana, il quale, sotto le spoglie di un eremita, si avvicinò alla fanciulla chiedendo l’elemosina. Poi le rivelò la propria identità e la scongiurò di seguirlo; il demone sperava di convincere Sita con le moine in quanto un’antica maledizione gli impediva di prendere una donna con la forza, pena la morte.
Così egli cercò di convincere la moglie di Rama a fuggire con lui ma, dopo i ripetuti rifiuti di lei, decise di rapirla e, sradicata la zolla sotto ai suoi piedi, la issò sul suo carro e prese il volo verso Lanka. Sulla via del ritorno il prode Jatayu lo attaccò, cercando di liberare Sita, ma Ravana riuscì a ucciderlo con una spada donatagli dal dio Shiva, al quale era devoto e di cui aveva la protezione. L’aquila precipitò a terra agonizzante ma, prima di morire, riuscì a raccontare l’accaduto ai due fratelli, senza però sapere indicare la meta del demone, dove avesse portato Sita.
Quando Rama si rese conto dell’accaduto, all’idea di aver perso la moglie per la propria avventatezza, cadde in preda allo sconforto; anche Lakshmana si sentiva molto in colpa per la scomparsa della principessa. Recuperata la freddezza i due giovani si misero subito alla ricerca di Sita e così giunsero in una foresta, popolata da una stirpe molto antica di scimmie dalle origini divine, chiamate Vanara.