La meditazione, o meglio l’essere in meditazione, è una speciale e augurabile condizione psicofisica.
Benché l’esperienza sia soggettiva e difficilmente catalogabile, nel praticante immerso in meditazione profonda si riscontrano alcune costanti che possono essere verificate e scientificamente misurate:
Le onde mentali rallentano portandosi sulla frequenza tipica del sonno e del sonno profondo.
Il tono muscolare si abbassa e a ciò si associa una condizione più o meno accentuata di rilassamento.
Il cuore rallenta e il respiro si fa soffice e leggero, con modalità simili a quella che, naturalmente, si instaurano durante un sonno sereno. I ritmi di inspiro ed espiro si stabilizzano sui tempi di 1 per inspirare e 2 per espirare.
Ci sono altre qualità oggettive nella meditazione che, seppur non misurabili, sono sempre riscontrabili per testimonianza diretta dei meditatori:
Come avviene per certi sogni particolarmente intensi le caratteristiche del percepito sono estremamente vivide e intense e lasciano impressioni profonde e durature.
L’instaurarsi di una condizione generale di benessere, serenità, leggerezza ed energia che continua anche dopo il termine della pratica. Queste sensazioni, che inizialmente durano alcune decine di minuti, tendono a divenire stabili e a radicarsi nella personalità del meditante.
Una maggior lucidità mentale, coscienza di sé e delle proprie capacità.
Maggiore serenità e determinazione nel risolvere i piccoli e grandi problemi con cui la vita ci mette a confronto.
Aumento della resistenza alle tensioni fisiche e psicologiche, alla fatica e ai disagi.
Miglioramento generale dello stato di salute.
Incremento della capacità di provare gioia in ogni situazione. In generale un aumento della sensibilità positiva, che è la capacità di percepire la bellezza, l’amore e la meraviglia che sono attorno e dentro di noi.
Una più precisa coscienza della matrice spirituale della vita e dei compiti e obiettivi che essa ha in serbo per ognuno di noi.
A fronte di tutto questo dobbiamo riconoscere che la meditazione è sicuramente una pratica estremamente benefica, utile a migliorare la qualità della nostra vita a tutti i livelli. Cerchiamo ora di capire cos’è in ogni suo aspetto, quali le tecniche migliori per accedervi e quali i suoi impieghi terapeutici.
La meditazione è uno stato della mente che, come qualsiasi altra condizione psichica, si riflette in tempo reale sul corpo e le sue funzioni. La mente individuale è parte della mente cosmica e la sua natura è leggera e luminosa, pura coscienza e beatitudine. Ma dal momento in cui si incarna si integra completamente con la fisicità e ne diviene parte; in tal modo ne acquisisce anche molti limiti.
È come entrare in una galleria buia dopo essere stati a lungo all’aperto in una giornata di sole. Non si vede quasi più nulla, e con il passare del tempo anche il ricordo del mondo che conoscevamo, di quella chiarezza di percezione che solo la luce ci può dare, gradualmente svanisce e rimane in noi come la traccia di un sogno, una velata aspirazione alla coscienza e alla felicita che le necessità e le difficoltà della vita tendono a soffocare. Sviluppiamo altri modi di percepire, riconoscere e catalogare le nostre esperienze, ma senza mai riuscire a superare i limiti, le imprecisioni e le distorsioni che il buio in cui viviamo ci impone.
Attraverso il corpo la mente acquisisce esperienza, e questo è molto importante. Ma difficilmente riesce a farlo senza introiettare i limiti che sono propri della fisicità, che è densa e pesante e in più impone bisogni incombenti, mangiare, bere, riposare, proteggersi, mantenere l’integrità e l’unità di se stessi, riprodursi. Le necessità del corpo e della fisicità divengono problemi della mente, che essendo naturalmente portata alla comprensione si impegna nel trovare soluzioni sempre migliori. Ma più si applica a queste problematiche, più rimane invischiata nella rete della materialità, addentrandosi sempre più profondamente nel buio.
Ovviamente ciò che intrappola l’energia mentale non è l’utilizzo delle proprie facoltà per soddisfare le esigenze materiali, ma invece l’identificazione con tali necessità.
Incarnandoci in questo mondo la nostra coscienza si sposta dall’essere all’esistere e la natura dell’esistenza è inevitabilmente incerta, temporanea e instabile. Per quanto la vita fisica possa essere prolungata essa rimarrà sempre estremamente limitata e la sua continuità e integrità soggetta a ogni genere di imprevisti. Identificandosi con l’esistere anziché con l’essere la nostra mente diviene instabile, limitata e fragile, perde gran parte del suo splendore e declina il suo immenso potere.
Immaginate di avere un solo vestito, che siate costretti a portarlo giorno e notte, e di essere convinti che ogni ingiuria subita dall’abito si rifletterà sulle vostre carni. Sarete sempre in ansia, sempre tesi e preoccupati, ma per quanto voi facciate non potrete impedire che la stoffa si consumi e prima o poi si strappi. In questo identico e falsato modo la nostra mente vive l’identificazione con il corpo.
Imparare a meditare significa ritrovare il contatto con l’essere, con le infinite eternità della dimensione spirituale, riaprire il canale di comunicazione con la mente universale, superare l’identificazione con il corpo fisico e i suoi limiti, ritornare nella luce. In tale ambiente la nostra mente può espandere tutto il suo potere di gioia, di calma e di pace, potere che si riflette nel corpo sotto forma di energia, vitalità e salute, perché una mente calma e serena è la migliore delle medicine.
Terapia fa rima con malattia.
Come tutti ben sappiamo l’integrità del nostro corpo è una complessità estremamente fragile, soggetta a ogni genere di squilibri. A volte basta una corrente d’aria, il contatto con un virus, un alimento non gradito al nostro corpo o un accadimento esterno per ritrovarsi in una condizione di profondo malessere.
Ci sono malattie leggere, che arrivano e subito scompaiono, altre che impongono lunghi periodi di riabilitazione, e poi malattie croniche, degenerative, inabilitanti o mortali. Malattie provocate da batteri, da errate abitudini alimentari e dallo stile di vita, malattie genetiche o indotte da sostanze tossiche con cui veniamo a contatto, da traumi e da una serie quasi infinita di altre cause in parte imprevedibili. La malattia, e il dolore che sempre la accompagna, caratterizza la vita degli esseri umani dai suoi albori.
Altrettanto costante è stata la ricerca di terapie idonee a debellarla, a rigenerare una condizione di salute e benessere nell’organismo sconvolto. In ogni epoca e luogo si sono sviluppate metodiche terapeutiche originali e spesso molto efficaci, secondo le credenze e le conoscenze proprie di ogni particolare civiltà.
Instaurare una terapia presuppone la comprensione delle cause, e questo è sempre limitato dalle proprie conoscenze e convinzioni e da quelle dell’ambiente in cui si vive. Se si è convinti che la causa della malattia sia il malocchio o l’influsso di uno spirito maligno, si cercherà di porvi rimedio con l’aiuto di uno stregone o di una fattucchiera, se si pensa sia una punizione divina per una colpa commessa si faranno voti e ci si ritirerà in preghiera, se si ritiene che tutto dipenda da uno squilibrio degli umori si prenderanno medicamenti adatti a ristabilirne le giuste proporzioni.
Bisogna riconoscere che molte delle metodiche terapeutiche che si sono sviluppate negli ultimi 5000 anni hanno ancora oggi una validità che anche la ricerca scientifica, seppure con qualche difficoltà e ritardo, sta gradualmente confermando. Se ci appare ridicola e nefasta l’abitudine medievale di trattare qualsiasi disturbo con clisteri e salassi, rimaniamo invece ammirati e stupiti dalla semplice efficacia della medicina cinese basata sul ripristino dell’equilibrio energetico. Nemmeno possiamo dimenticare la medicina tradizionale indiana, l’Ayurveda, basata su una profonda integrazione con il mondo naturale e spirituale; la fitoterapia che con il suo grande patrimonio esperienziale ci riporta indietro nel tempo di millenni. Poi c’è la scienza spagirica, l’arte di estrarre e riunire i cui dettami provengono dall’alchimia e che fu codificata dal genio del medico svizzero Paracelso, nel XVI secolo.
Non possiamo poi tralasciare gli splendori della medicina Ippocratica che, oltre 2500 anni fa, dettò i principi ispiratori della moderna scienza medica, intesa nel senso migliore del termine. In particolare il valore dell’osservazione diretta, l’importanza del rispetto della personalità del malato, dell’ambiente quale elemento determinante nello sviluppo e nella guarigione dalla malattia, l’azione delle virtù riparatrici della natura nel processo di guarigione, che vanno in ogni modo favorite poiché senza il loro apporto la terapia risulta inevitabilmente impotente.
In tempi più recenti (XVIII secolo) è nata l’omeopatia, dagli studi del medico tedesco Samuel Hahnemann, che si basa sul principio della similitudine del farmaco. Per curare uno squilibrio si usa una sostanza che, in un individuo sano, provoca sintomi simili a quelli della malattia. Il preparato viene diluito e dinamizzato in modo tale che non resti altro che acqua, che trattiene però nella sua struttura le informazioni necessarie al processo di guarigione, evitando così ogni fenomeno di tossicità. Una terapia virtuale, basata sul trasferimento di dati.
Il panorama attuale appare dominato dalla medicina allopatica che, seppure tra critiche e dubbi, è ancora il metodo terapeutico più usato in ogni parte del mondo. Con il termine di medicina allopatica si intende generalmente quella modalità terapeutica che, procedendo dai sintomi fisici della malattia, ne ricerca le origini con metodi scientifici e con simili metodi cerca di debellarla. Il motivo del suo successo e della sua universale diffusione è da ricercarsi nel fatto che spesso funziona, e ancor più ha funzionato in passato aiutando l’umanità a liberarsi da flagelli collettivi quale il vaiolo, la tubercolosi, la sifilide, la poliomielite infantile.
Come già sottolineato ogni metodo terapeutico riflette le esigenze e la cultura dell’ambiente in cui si sviluppa, ed è un fatto che, almeno sino a pochi anni fa, la maggior parte delle persone era ben poco interessata alle implicazioni psicologiche o spirituali della malattia. La richiesta collettiva era molto elementare, tornare a stare bene nel minor tempo possibile, e la medicina allopatica poteva dare una risposta a tale domanda. La questione degli effetti collaterali dei farmaci e di certe terapie troppo invasive è stata presa in considerazione solo in tempi recenti, quando è divenuta un serio problema sociale. Se negli ultimi decenni si è verificato un cambiamento di rotta e un maggiore interesse verso metodiche terapeutiche olistiche, questo è dovuto a un mutamento delle condizioni collettive di vita. Nuovo ambiente nuove malattie, generate in gran parte da stress, perdita di identità culturale, eccessive sollecitazioni sensoriali e da uno stile di vita innaturale e ansiogeno.
Crisi di panico, insonnia, colite, ulcere gastriche e duodenali, deficienze del sistema immunitario, dermatiti, allergie, intolleranze, disturbi del sistema nervoso si sono diffusi come nefaste epidemie in ogni strato della popolazione. Rispetto a questi nuovi disturbi la medicina allopatica si è dimostrata insufficiente quando non totalmente inefficace. Nello stesso tempo, grazie a una più diffusa opera di informazione resa possibile dalle nuove tecnologie e dall’elevata scolarità, si è sviluppata nella psiche collettiva una maggior presa di coscienza e responsabilità rispetto alla propria salute, che ha favorito la ricerca di altre modalità terapeutiche. Gli spazi lasciati vuoti dalla medicina allopatica sono stati occupati prima da un rinnovato e massificato interesse per la psicologia e la psicanalisi, sino a quel momento terapie di nicchia riservate ad un numero ristretto di fruitori, e dalla medicina psicosomatica che ha gradualmente svelato le origini e implicazioni mentali di molti disturbi fisici.
Nello stesso periodo, a partire dagli anni ’60 del XX secolo, si è verificato in tutto l’occidente un rinnovato interesse per terapie di tipo tradizionale come le già citata medicina cinese e l’Ayurveda, l’omeopatia considerata meno invasiva della medicina accademica, la floriterapia su base spirituale ideata dal medico inglese Edward Bach nei primi decenni del 1900, lo Yoga, la medicina tibetana e quella dei nativi nord americani, le differenti metodologie di meditazione, in particolare quella buddhista e induista.
Questo interesse sempre più massificato per le “terapie alternative”, così vengono definite dai media, si è sviluppato in dissonanza e spesso in opposizione alla medicina allopatica, accusata per altro a ragione di considerare l’essere umano come un semplice meccanismo fisiologico, trascurando completamente l’importanza di emozioni, sentimenti e dinamiche mentali. Le nuove discipline olistiche sono critiche anche rispetto alla psicologia e alla psicanalisi, perché escludono dalla loro ricerca e azione gli aspetti prettamente spirituali, considerati invece essenziali, e per una certa tendenza ad espropriare e separare l’individuo dalla terapia, rendendolo dipendente dal terapeuta.
Seppur con modalità incerte, spesso dilettantistiche e imprecise, mescolando e riunendo visioni tradizionali di culture ed epoche diverse con nuove teorie condite di fisica quantistica, un nuovo modo di concepire l’essere umano, la malattia e la terapia si è andato delineando, divenendo patrimonio comune di milioni di persone.
Gradualmente, per un naturale processo di separazione, alcune idee guida sono emerse e si sono stabilizzate influendo in modo sempre più massiccio non solo sulla mentalità della gente comune, ma anche sul comportamento di medici e psicologi.
Attorno a queste idee cardine si sta sviluppando un nuovo concetto di terapia, che si rifà all’antico in modo moderno. L’importanza di questa nuova concezione circa la malattia e il malato sarà sempre maggiore nei decenni a venire.
I concetti portanti sono:
L’essere umano è un’unita composta da corpo, psiche (termine che include tanto la mente quanto l’anima) e spirito. Qualsiasi terapia, per essere veramente efficace, deve tenere conto di queste tre componenti, in proporzione diversa a seconda della tipologia della malattia.
La malattia, prima di manifestare i suoi sintomi nel corpo, si stabilizza nella struttura energetica.
La mente ha un influsso molto potente sul corpo, ed è determinante tanto nello sviluppo di un gran numero di malattie che nella loro guarigione.
L’atteggiamento del malato è importante anche in quei casi in cui la malattia sia di esclusiva origine fisica, come nei traumi indotti da terzi. Che è come dire che anche se vi cade una tegola in testa il vostro atteggiamento può comunque favorire o ritardare la guarigione.
Benché non sia mai un evento augurabile, la malattia può essere un’occasione di coscienza e di rinascita e questo è il modo migliore di considerarla.
Nella terapia della meditazione questi principi sono sempre presenti e posti in primo piano; inoltre ci viene data la possibilità di applicarle nel modo più semplice e diretto.