La prima meditazione è finalizzata a dare stabilità, e creare i canali di comunicazione idonei affinché la sensazione fisica raggiunga anche il livello emotivo, sensitivo e psichico. Dobbiamo soffermarci sulla molteplicità di elementi che compongono ognuno di noi per capire come la coscienza della precarietà domini la nostra vita. Siamo un insieme instabile, costantemente sottoposto a pressioni disgreganti. Coscienza della precarietà può essere più correttamente espresso dal termine paura, spesso signora e padrona della nostra vita.
Un bambino piccolo è quasi esente da questo sentimento ma, con lo sviluppo delle facoltà mentali, la stratificazione delle esperienze nella memoria e la sempre maggiore identificazione della mente con il corpo, la paura cresce e dilaga. Paura del dolore, della menomazione, della morte e di non avere il necessario formano il nucleo centrale. Questo entro certi limiti ha un suo senso e lo troviamo anche nel mondo animale, dove però si manifesta in modo sporadico e in presenza di fattori scatenanti.
Per gli esseri umani invece è diverso, dal momento in cui si insinua nella mente la paura dilaga e così iniziamo a temere un sempre maggiore numero di eventi, di ammalarci, di morire, di subire incidenti, di non arrivare in tempo, di sbagliare, di scegliere, di non farcela, di offendere, di non essere rispettati. Abbiamo paura di non ottenere ciò che desideriamo, o di perderlo quando lo abbiamo ottenuto, paura per noi stessi e per gli altri. Le paure che abbiamo accumulato nel passato vengono ingigantite e proiettate nel futuro, e dominano il nostro presente.
Le reazioni che prevalentemente adottiamo per contrastare la sensazione di instabilità e paura sono l’irrigidimento, che può arrivare sino alla paralisi, oppure la resa incondizionata, l’inerzia, il fatalismo passivo. Questi due atteggiamenti possono convivere nella stessa persona dividendosi, per così dire, il campo.
Sviluppare la stabilità perfeziona la trama vitale più vicina al corpo. I disturbi cui fare riferimento sono artrosi, mialgie, tendiniti, sensibili difetti nel portamento, stagnazione psicologica, stitichezza, emorroidi, avarizia e attaccamento morboso agli oggetti e alle persone, mancanza di senso della realtà, difficoltà nell’apprendimento, prolassi, calcolosi, in generale chiusura psicologica, difficoltà al cambiamento, isolamento, malattie che provocano rigidità o cedimento. Anche la tendenza a un eccessivo aumento del peso corporeo, o la magrezza patologica, possono avere relazione con l’instabilità e la paura che genera. Accumulare grasso ci stabilizza almeno fisicamente, ci sentiamo e sembriamo più solidi, abbiamo un aspetto imponente che invita al rispetto, siamo ben avvolti e protetti e smuoverci o ferirci è sicuramente più difficile. Al contrario l’eccessiva magrezza sembra suggerire uno stato di instabilità accettata o subita come inevitabile, siamo così fluttuanti che non riusciamo a trattenere nulla, condannati a essere sospinti a caso da ogni alito di vento.
Se da un lato è evidente che la paura aumenta proporzionalmente allo sviluppo della coscienza, dobbiamo anche sapere che questo non è inevitabile, ed è semplicemente effetto di un orientamento dell’attenzione indotto dall’identificazione della mente con il corpo e la sua fragilità. Indirizzare la coscienza sulla vera stabilità, che ancora prima che atteggiamento del corpo è una sensazione interiore, è l’antidoto più efficace per neutralizzare gli effetti devastanti della paura. Non solo cambiamo la direzione dell’energia ma, poiché diveniamo effettivamente meno instabili e il legame tra le parti si fa più saldo e resistente, molte delle cause di paura vengono a mancare.
Il tema della stabilità annuncia anche quello dell’unità, che rappresenta il punto terminale dello sviluppo della coscienza e che viene integrato progressivamente e realizzato nelle successive pratiche di meditazione.
Radicamento: ci aiuta a perfezionare la postura, a mantenerla correttamente, a creare la necessaria risonanza psichica. Dobbiamo sederci rispettando allineamento e rilassamento, con le mani atteggiate in Dhyana o Jnana Mudra, la lingua contro la parte alta del palato e lo sguardo verso la fronte. Realizziamo una postura quanto più possibile corretta, anche con il supporto del cuscino, e lasciamo che il respiro si stabilizzi. Adesso dobbiamo introdurre una visualizzazione, che è un meraviglioso strumento di direzione mentale. Che sia applicata a un movimento o a una postura statica la visualizzazione comporta due grandi vantaggi:
La mente non subisce l’atteggiamento del corpo ma lo propone, lo dirige e lo determina. Si aprono così dei canali di comunicazione mente-corpo che di fatto ristabiliscono la giusta gerarchia. Qualsiasi tentativo di comando diretto della mente sul corpo è destinato a produrre o una reazione opposta o un irrigidimento. Quando ci sentiamo costretti a fare qualcosa, o non capiamo cosa dobbiamo fare e perché, o ci rifiutiamo o lo facciamo malvolentieri. Il nostro corpo reagisce nello stesso modo. La visualizzazione non ha nulla in comune con un atteggiamento impositivo, è un suggerimento e al tempo stesso una esemplificazione e un gentile invito. Mettetevi per un attimo nella situazione di dover indicare un movimento a qualcuno. Potete dirgli: “Piegati e tocca le dita dei pied!i” oppure: “Immagina un ramo di salice che, senza sforzo, si flette per azione del vento. Allo stesso modo piega il tuo corpo cercando di avvicinare le mani ai piedi”. Il salice e il vento suggeriscono spazi aperti, assenza di sforzo, naturalezza, apertura, la mente si riempie di colori di tonalità verde azzurro, l’atmosfera è rilassata e il movimento avverrà con minore sforzo, seguendo un modello che suggerisce morbidezza. La visualizzazione ammortizza il comando mentale e al tempo stesso lo esplica offrendo al corpo una traccia precisa da seguire.
Quindi la visualizzazione è il modo migliore per dare direzione al corpo. Non si tratta solo di vedere ma più complessivamente sentire attraverso i nuclei sensoriali della mente.
La molteplicità percettiva è un valore aggiunto. Cerchiamo quindi di vedere e percepire sensitivamente il nostro corpo seduto in meditazione. È come inserito in una piramide, con tutto il peso che si scarica in basso, come avviene per un sacco di sabbia o di riso poggiato a terra, compatta e si appesantisce in fondo e si fa leggero in alto.
Immaginiamo delle radici che dal bacino e dalle gambe affondano nel terreno immergendosi in profondità, integrandosi con la terra. Altre si espandono lateralmente come sensibilissimi tentacoli, in ogni direzione, facendo presa nello spazio. Una lunga radice si innalza dalla testa verso il centro del cielo e lì affonda e si dirama. Siamo contemporaneamente stabilizzati in basso, su ogni lato e verso l’alto, siamo così stabili che anche se spinti con forza risulteremmo inamovibili.
Mentre ci stabilizzano le radici che ci avvolgono ormai completamente anche ci nutrono, e possiamo percepire il nostro corpo che si fa compatto, solido, pieno, acquisisce brillantezza, raggi di luce sempre più intesa si spandono in ogni direzione.
Raccogliamo l’immagine del corpo luminoso e fondiamola con la sensazione della stabilità e del radicamento. Questa è la nostra rotta, ora che è impostata possiamo inserire il pilota automatico e aprirci alla meditazione. Manteniamo semplicemente l’immobilità, la mente sveglia e silenziosa, aperta e ricettiva, sensibile e attenta.
Ogni volta che il pensiero discorsivo riprende il sopravvento ripartiamo dalla percezione di corpo e radicamento, senza scoraggiarci.
I temi di fondo del radicamento: sono formati da quegli atteggiamenti mentali e comportamenti, durante lo stato di veglia, che favoriscono l’accesso a uno specifico livello meditativo. Un vecchio e saggio proverbio insegna che le galline sognano il granturco. La nostra mente, nel sonno come in meditazione, tende a prendere la direzione indicata dai pensieri, emozioni, desideri e azioni significative che prevalentemente coltiviamo e compiamo.
La fase di direzione iniziale della meditazione è rafforzata e maggiormente precisa se, anche in momenti e con modalità diverse, approfondiamo i temi a essa correlati. In questo caso si tratta principalmente di valutare l’importanza del fattore stabilità e l’impatto destabilizzante della paura, tanto come reazione naturale a una situazione di pericolo quanto nei suoi aspetti di proiezione mentale.
Quello che ci proponiamo non è trovare soluzioni o risposte certe, piuttosto mettere a fuoco gli argomenti, creare un ambiente favorevole e raccolto.
Non ci sono regole fisse, ognuno può sviluppare il tema come preferisce o ritiene più opportuno, in questo caso specifico potremmo porci delle domande rispetto alle cose che ci spaventano e cercare di stabilire delle connessioni con eventi scatenanti, oppure rappresentare la paura attraverso il corpo, con il gesto o con la voce, o disegnarla, o individuare dei simboli che ce la rappresentino. Possiamo chiederci sino a che punto la paura è utile e forse necessaria e quando invece diviene un fattore di inibizione.
Lo stesso vale per la stabilità. Quali sono i riferimenti fissi della nostra vita, cosa ci dà sicurezza, ci fa sentire ben ancorati, e cosa invece il contrario? Quali sono le cose necessarie, indispensabili, per cui vale la pena di combattere, e cosa è vano e superfluo? Come rappresentiamo la stabilità, quali simboli o immagini ce la ricordano, quali odori, sapori e suoni? Possiamo disegnare la stabilità, esprimerla con il gesto, ritrovarla in certe piante o animali.