Haṃsa Libera Scuola di Hatha Yoga

Maurizio Morelli

LA TERAPIA DELLA MEDITAZIONE

La meditazione delle otto colonne

La realizzazione del silenzio interiore richiede una concentrazione totale, la focalizzazione della mente su un unico punto. Questa è la premessa a cui segue un totale abbandono, le cui caratteristiche indispensabili sono la presenza, la stabilità e la verticalità. Per mezzo di questa meditazione creiamo dei riferimenti spazio-temporali che sono esclusivamente mentali. Questo allenta le resistenze alla sospensione del pensiero e delle valutazioni razionali sul percepito.

La percezione dell’unità e il successivo abbandono costituiscono il passaggio finale.

Sediamoci in posizione meditativa, con le mani in Dhyana Mudra. Lasciamo il respiro spontaneo.

Realizziamo una precisa percezione di noi stessi, della stabilità e verticalità della postura. Visualizziamo otto colonne attorno al nostro corpo. Una sta proprio davanti, in corrispondenza della linea mediana, ed è di luce trasparente. La seconda sta a quarantacinque gradi sulla destra, e brilla di luce rossa. La terza sta sul lato destro, la sua luce è arancione. La quarta a quarantacinque gradi posteriormente, sempre sulla destra. Brilla di luce gialla. La quinta proprio dietro, speculare alla prima. Emana luce verde. La sesta a quarantacinque gradi posteriormente sulla sinistra. Irradia luce azzurra. La settima sul lato sinistro. La tonalità della sua intensa luce è l’indaco. L’ottava a quarantacinque gradi anteriormente sulla sinistra. Risplende di luce viola.

Le colonne sono immense e molto distanti da noi. Sprofondano nella terra e affondano nel cielo. Formano un cerchio perfetto e sono così solide e compatte che nessuna forza potrebbe spostarle o scalfirle. Focalizziamo l’attenzione sulla prima colonna, quella posta proprio di fronte a noi. Visualizziamola con precisione, cerchiamo quasi di sentirla. Poi passiamo alla seconda, alla terza e così via, sempre in senso orario, un cerchio dopo l’altro.

Il movimento inizia lentamente, cerchiamo di percepire con chiarezza i colori e la posizione, poi diviene più veloce, sempre di più, sino a formare una spirale. È una percezione cui non siamo abituati, procediamo con calma, diamo tempo al sistema nervoso di adattarsi.

Quando possiamo stare agevolmente nella spirale assorbiamola dentro di noi, come un vortice che scorre in uno spazio interno della colonna vertebrale. Saliamo e scendiamo più volte sino a che anche questo non diventi naturale.

Ora concentriamo tutta la nostra attenzione su un punto sopra la testa. L’energia sale e si accumula in un unico punto che diviene sempre più luminoso, che brilla di luce gradualmente più intensa. Manteniamo la concentrazione su quest’unico punto, una minuscola sfera di luce che si carica sempre più.

Siamo all’ultima fase. Mentre dalla sfera si irraggiano lame di luce in ogni direzione la mente si rilassa completamente. È il momento del totale abbandono, tutto è immobile e silenzioso eppure pulsa e vive. Non serve altro, resta solo la coscienza che brilla nella luce.

I temi di fondo del silenzio

Realizzare il silenzio mentale è difficile, e ancora di più mantenerlo.

Per mezzo del pensiero discorsivo l’Ego opera un costante processo di auto – ridefinizione, riconferma la propria esistenza, delimita tempi e spazi interiori e le modalità del proprio rapporto con l’esterno. A questo già grave ostacolo si aggiungono gli stimoli che ci raggiungono da ogni direzione e che attivano e richiedono il movimento mentale. Questo significa anche alte frequenze delle onde cerebrali, tanto più elevate quanto maggiormente siamo coinvolti da ciò che pensiamo. Tutto questo ci allontana dal silenzio.

Tralasciando la scelta, efficace ma drammatica, di trasformarsi in anacoreti e andare a vivere in una grotta sperduta e in totale solitudine, possiamo fare qualcosa di abbastanza semplice per favorire la disidentificazione dal pensiero discorsivo. Qualcosa che sia sufficiente a ridurne l’impatto disturbante e ad abituare l’Ego al silenzio, cioè all’assenza di riferimenti.

Possiamo usare un accorgimento molto semplice, ma prima di entrare in argomento analizziamo un qualsiasi dialogo interiore, vostro, mio, o di chiunque altro.

In questi dialoghi, che siano verbali o immaginativi, c’è sempre una pluralità di personaggi, almeno due, e tra questi uno in particolare, Io, in cui ci riconosciamo e a cui attribuiamo sempre il ruolo del protagonista. È come guardare un film, ci si identifica sempre con il protagonista. Va bene, basta che poi, finito lo spettacolo, non si resti nella convinzione di essere l’Uomo Ragno, il tenente Colombo o Biancaneve.

E poi perché trascurare così gli altri, siamo sempre noi gli attori, sono nostre creazioni, noi scriviamo i copioni e poi li interpretiamo. Non siamo solo il protagonista, siamo l’intero spettacolo. Quelle persone con cui crediamo di parlare o di fare delle cose non esistono se non nella nostra mente. L’auto – ridefinizione dell’Ego avviene proiettando su di noi un’immagine mentale che è solo immaginazione, e lo stesso facciamo con gli altri. Non c’è nessuna consistenza in questo e l’unico modo per far durare l’illusione è continuare a ripeterla. Per questo non riusciamo a interrompere il dialogo interiore, a trovare il silenzio. Temiamo di perdere la nostra identità, mentre in realtà stiamo scartando l’unica possibilità per trovare quella vera, che sta al di là delle proiezioni illusorie della mente.

Ma non andiamo troppo lontano, torniamo al punto. Dobbiamo riconoscere che tutti i personaggi dei nostri dialoghi mentali sono tutti Io. Molti Io fanno un Noi.

Anziché la prima persona singolare quella plurale. Utilizzare il noi nei nostri dialoghi mentali è un piccolo accorgimento, ma è sufficiente a sbaragliare tutte le resistenze. Se tutti i personaggi sono Io manca l’elemento di raffronto o confronto. Chi ha fame, chi vuole chiarire la situazione, chi deve smetterla di comportarsi così, chi deve capire, chi ha ragione e chi torto. Ci si rende conto che stiamo parlando da soli, segno evidente di squilibrio mentale, e questo ci aiuta a smettere e a fare finalmente silenzio.

Ci sono altri accorgimenti da adottare nel quotidiano e che possono favorire il silenzio. Molti ordini religiosi, gli anacoreti e gli eremiti, usano il silenzio esteriore per favorire quello interiore. Questo funziona solo sul lungo periodo e nell’ambiente adatto. La maggior parte delle persone, quelle che vivono nella società, se non parlano pensano ancora di più e con maggiore identificazione. Alcune parlano continuamente solo per ridurre la pressione mentale, se stanno zitte scoppiano. Quindi il silenzio esteriore va usato con cautela, valutando situazione e carattere. Vale di più parlare a ragion veduta, sforzarsi di essere chiari, dire ciò che si pensa con tatto e soprattutto ricercare sempre la verità.

La verità in assoluto non esiste, lo sappiamo bene, ma soggettivamente è possibile ed è fondamentale. Quando pensiero e azione sono una cosa sola, questa è verità. La pratica della verità porta all’integrità, diminuisce le dispersioni e alla fine ci avvicina al silenzio. Quando siamo veramente sinceri le cose da dire non sono molte, e nemmeno quelle da pensare.

Il silenzio mentale è anche favorito da un generale atteggiamento misurato e contenuto, ridurre gli stimoli, moderare i desideri, non sprecare energie in vane speranze. Si tratta di applicare ragionevolmente i principi del digiuno a ogni dinamica sia interiore che esteriore. Limitare gli sprechi, ricercare l’essenziale.