Introduzione
Milarepa è uno dei più grandi maestri spirituali di tutti i tempi, un personaggio straordinario la cui vita costituisce un esempio di come l’essere umano possa sì cadere e compiere azioni negative, ma anche redimersi e raggiungere altezze incommensurabili.
La sua biografia ci colpisce da un lato per la compassione che suscita la sofferenza della prima parte della sua vita, dall’altra per la grande forza che scaturisce dal suo insopprimibile desiderio di riscatto, che si traduce nella ricerca e nella pratica spirituale spinta all’estremo limite delle umane possibilità.
Per comprendere appieno la sua storia dobbiamo avvicinarci ad una terra, il Tibet, che ha sempre esercitato un grande fascino sugli occidentali, a causa del suo isolamento e della sua cultura complessa e ricca di simboli metafisici.
Del periodo antecedente al VI sec. d.C. si hanno fonti storiche poco attendibili e frammentarie.
Sappiamo, grazie alle cronache locali, che il Paese era abitato da popolazioni nomadi provenienti dall’Asia Centrale.
In questo periodo era praticata in Tibet una religione di tipo sciamanico, detta anche Bon. Con la nascita del re Thotho-ri-Nyantsen, avvenuta nel 173 a.C., iniziò un processo di unificazione molto importante.
La vera nascita del Tibet come nazione si ha però soltanto verso la metà del VII sec.d.C. con l’avvento del re Songsten Gampo (617-650) della dinastia Yarlung, il quale sposò due principesse buddhiste, una cinese e una nepalese. Costui fece costruire diversi templi e anche la capitale del paese, Lhasa, e introdusse la scrittura della lingua tibetana con caratteri mutuati dal sanscrito. A causa del grande fervore con cui cercò di diffondere il Bhuddismo venne chiamato il “primo re religioso”.
Seguì il “secondo re religioso” Trisong Detsen, salito al trono nel 755 d.C., il quale fece costruire il primo tempio buddhista nel suo paese, Samye, nel 779. La sua grande fede lo spinse a proclamare il Buddhismo religione di stato e ad invitare in Tibet il monaco indiano Santaraksita, il quale richiese l’aiuto del famoso maestro tantrico Padmasambhava.
Questo evento ebbe ripercussioni molto importanti per il paese. In primo luogo Padmasambhava introdusse il Buddhismo tantrico e si adoperò moltissimo per la sua diffusione. Conosciuto in Tibet con il nome di Guru Rimpoche, Maestro Prezioso, divenne una delle figure più emblematiche della storia del regno. Questo periodo, conosciuto come “la Prima Diffusione della Dottrina”, culminò con la costruzione del suddetto tempio di Samye, cui sembra abbia partecipato lo stesso Padmasambhava.
Il Buddhismo era in rapida ascesa ma fu avversato dalla nobiltà legata alla religione preesistente Bon e al suo clero. Il “terzo re religioso” Ralpa Chen ( 817-836) proseguì l’opera dei suoi predecessori facendo costruire più di mille templi e stabilendo la norma secondo cui il mantenimento dei monaci spettava alla nobiltà. Inoltre incentivò la traduzione di moltissimi testi sacri e fece redigere una edizione in sedici volumi della dottrina. Egli venne assassinato dal fratello Langdarma il quale per tutta la durata del suo regno (836-842) avversò violentemente il Buddhismo distruggendo i templi e facendo giustiziare moltissimi monaci. La dottrina Vajrayana fu conservata da alcuni eremiti che si rifugiarono a meditare tra le montagne e tramandarono i sacri testi. In seguito a questa feroce repressione molti monaci fuggirono in India e divennero discepoli dei grandi maestri indiani.
Seguì un periodo di instabilità politica che si protrasse per circa due secoli, durante il quale il Tibet tornò a frazionarsi in tanti piccoli staterelli.
In questo arco di tempo il Buddhismo sopravvisse un po’ ai margini, lontano dall’ortodossia e dovette tacitamente accordarsi con la religione locale Bon. Riaffiorarono molte delle credenze originarie, che veneravano gli spiriti della terra, della montagna e dell’aria legate alla tradizione spirituale preesistente.
Il Bon era infatti una religione della natura, una sorta di animismo magico incentrato sulla figura di un sacerdote psicopompo esperto nell’esecuzione di rituali e pratiche divinatorie.
Gli insegnamenti del Bon, secondo la tradizione, sono stati trasmessi da Tompa Shenrab, un maestro spirituale totalmente realizzato. Sembra che queste dottrine provengano dallo Zhang Zhung, un antico regno della cui esistenza oggi si ha piena conferma, situato nell’area occidentale del Tibet.
Sovente i sacerdoti bon-po occupavano importanti cariche politiche ed avevano il compito di proteggere il monarca e l’intera comunità dall’azione delle forze avverse e dei demoni, responsabili secondo la loro credenza di tutte le calamità naturali, delle malattie e della morte.
Il ruolo del re era considerato sacro e veniva sottolineato da elaborati rituali officiati dalle caste sacerdotali.
Questi sacerdoti avevano inoltre il potere, in virtù di profonde conoscenze esoteriche, di dominare le forze della natura ed erano versati nei sacrifici di animali e negli esorcismi.
Il sacerdote deteneva il potere magico di “volare” in cielo a cavallo del suo tamburo, particolare che evidenzia una forte connotazione sciamanica.
Alla tradizione Bon risale la nozione di “la”, forza vitale associata al respiro, che può temporaneamente distaccarsi dal corpo e trasferirsi in una realtà esterna, come un albero, un lago o un animale. Si stabilisce così un legame “simpatico” tra i due , per cui se per esempio l’albero in cui risiede il “la” di qualcuno subisce dei danni o viene abbattuto, la persona ne subisce le conseguenze e può ammalarsi.
Il Bhuddismo trovò dunque in Tibet, al suo arrivo, un universo spirituale assai complesso, ricco di divinità benevole e malevole, di spiriti legati alla natura, di leggende su “Paesi segreti”, primo fra tutti quello di Shambala, e su tesori nascosti. Esso cercò di integrare alcune di queste divinità e di queste credenze e tra le due dottrine avvenne un processo di osmosi con ripercussioni importanti su entrambe.
Dopo un periodo di crisi anche il Bon rifiorì nell’XI secolo in una nuova versione “riformata”, che presenta molti aspetti in comune con il Buddhismo e verosimilmente mutuati da quello.
Sempre nell’XI secolo il Bhuddismo ritornò ad affacciarsi dalle zone più esterne del paese e conobbe una nuova fioritura con maestri come Naropa, Marpa e Milarepa, i quali con il loro fervore religioso dettero il via alla “Seconda Diffusione della Dottrina”.
In questo periodo i maestri tibetani si recavano spesso in India per approfondire le loro conoscenze della liturgia tantrica, apprendere la tradizione orale degli scritti mistici, ascetici e yoghici della pratica del Tantra e perfezionare così il proprio apprendistato spirituale. Essi inoltre riportavano nel loro Paese preziosi testi sacri e si dedicavano ad importanti opere di traduzione.
Lo stesso Marpa, fregiato dai suoi contemporanei dell’appellativo di “traduttore”, aveva trascorso più di venti anni in India presso alcuni dei più importanti saggi dell’epoca, tra cui il suo il maestro Naropa, e aveva raccolto e tradotto moltissimi testi sacri.
La figura di Milarepa si situa in questo contesto storico religioso, anzi ne è parte integrante e gioca un ruolo di primo piano nella Seconda Diffusione del Bhuddismo nel Tibet.
Dal primo messaggio del Buddha, dalla prima “Messa in Moto del Dharma”, il Buddhismo si era andato trasformando dando origine a diverse scuole.
Secondo la tradizione il Buddha avrebbe mostrato sia la via Hinayana “Piccolo Veicolo”, sia la via Mahayana “Grande Veicolo”.
La prima intende condurre il discepolo alla propria personale liberazione ( moksha o nirvana) dalla sofferenza attraverso il Nobile Ottuplice Sentiero: retta visione, retta rappresentazione, retta parola, retta attività, retta condotta, retta applicazione, retta presenza mentale, retta concentrazione estatica.
La seconda mira invece alla liberazione di tutti gli esseri senzienti ad opera dei Bodhisattva, esseri liberati che rinunciano ad entrare nel Nirvana per aiutare i propri simili.
Il Buddhismo giunse in Tibet nella forma Mahayana o del “Grande Veicolo”, a circa mille anni dalla nascita del Buddha storico.
Il maestro indiano Padmasambhava, come accennato precedentemente, aveva introdotto in Tibet una dottrina che era stata influenzata dal Tantra, una tradizione che aveva le sue origini nella storia antica dell’India e che si era imposta in ambito spirituale, artistico, architettonico.
Nell’ambito del Bhuddismo tantrico emerse una terza via, corrispondente al Vajrayana o “Veicolo del Diamante”, caratterizzata da un approccio psicologico e basata su pratiche meditative altamente sviluppate. In essa svolgono un ruolo fondamentale l’iniziazione che il Maestro conferisce al discepolo, la contemplazione di mandala o diagrammi mistici, la recitazione di mantra, potenti formule liturgiche a carattere a volte anche magico, e la pratica dei mudra, gesti simbolici delle mani o di tutto il corpo determinanti nella concentrazione. Si tratta dunque di un “corpus” di pratiche a carattere esoterico, tramandato dal Maestro solo ai discepoli più qualificati, in grado di comprendere e realizzare tali preziosi insegnamenti.
Nell’ambito del Vajrayana naquero quattro scuole, tra cui quella Kadjupa, i cui insegnamenti fondamentali sono quelli della Mahamudra e dei Sei Yoga di Naropa, la cui origine si fa risalire proprio a Marpa e a Milarepa.
La Mahamudra o “Grande Sigillo” allude ad uno stato di perfezione da sempre esistente nella mente, ma in genere oscurato dall’illusione che considera soggetto e oggetto come reali.
La scuola Vajrayana si distingue anche nei tempi di compimento del percorso iniziatico, che passa da milioni di vite come tempo necessario a conseguire lo stato di Buddha a un periodo assai più breve, simbolicamente indicato in tre anni e mezzo. Saranno i seguaci di un discepolo di Milarepa, Gampopa, a fondare ben dodici scuole di tradizione Kadjupa, nelle quali la trasmissione della Mahamudra riveste un ruolo centrale.
Dobbiamo tenere presente questo contesto storico religioso per comprendere appieno il personaggio di Milarepa, il quale compie un viaggio iniziatico estremamente complesso. Egli si avvicina alla pratica della stregoneria non per volontà propria, bensì spinto dal desiderio di vendetta di sua madre, macchiandosi di crimini terribili. Quando decide di volgersi al bene si affida al maestro Marpa, il quale gli fa sospirare per lunghi anni l’insegnamento della dottrina e lo sottopone a prove inenarrabili, non tanto per valutare la sua idoneità, quanto per fargli scontare le cattive azioni commesse. Milarepa sopporta tutto stoicamente, pur di ottenere l’iniziazione della Mahamudra e le preziose istruzioni orali, capaci di far raggiungere l’illuminazione nel corso di una sola vita.
Marpa dal canto suo sottolinea più volte l’altissimo valore della tradizione spirituale della sua scuola e degli insegnamenti che egli ha con fatica portato dall ‘India.
L’Illuminazione -sostiene il Veicolo del Diamante- non va cercata all’esterno, ma è gia presente all’interno della mente, si tratta solo di rimuovere gli ostacoli che ne impediscono la piena realizzazione. Analogamente, quando Milarepa riceve l’iniziazione, egli sa che deve solo praticare, perchè la liberazione dal ciclo delle rinascite è, per lui, solo una questione di tempo, di costanza e di intensità nella pratica della meditazione.
Egli è completamente focalizzato sul suo scopo, proprio perchè conosce la peculiarità del suo destino e delle tappe di cui esso si compone, dall’inizio peccaminoso alla graduale purificazione. D’altronde proprio la trasmutazione dal negativo al positivo, a guisa di un procedimento alchemico, costituisce l’essenza del Tantra, e Milarepa fu colui che incarnò perfettamente questo sentiero arduo e sublime.
Nella vicenda personale di Milarepa rivestono un ruolo determinante le figure femminili. Oltre alla forte figura della sua madre naturale, la quale lo spinse verso il baratro da cui prese l’avvio il suo desiderio di purificazione, Milarepa trovò particolare conforto nella “Madre” spirituale Dakmema, moglie di Marpa, la quale lo prese sotto la sua protezione e lo incoraggiò durante i difficili momenti dell’apprendistato. La sua figura sprigiona una dolcezza senza limiti e ci comunica il senso di una compassione attiva, che va dal puro conforto alla ricerca di strattagemmi per indurre Marpa a conferire al discepolo la tanto agognata iniziazione.
La sorella Peta ritroverà Milarepa molti anni dopo e gli fornirà un sostegno di natura materiale sotto forma di cibi e bevande, coadiuvata dall’antica fidanzata del fratello, Dzesse, e, in misura minore, anche dalla perfida zia, nel cui cuore avverrà una profonda trasformazione.
Potremmo quasi avvicinare queste figure femminili alle Dakini, le Danzatrici del Cielo, divinità del Buddhismo tantrico che aiutano il praticante attraverso visioni e sogni premonitori, attraverso i quali elargiscono importanti consigli in momenti particolarmente cruciali della pratica meditativa.
Un ultimo elemento sottolinea l’importanza del viaggio spirituale di Milarepa, cioè i numerosi nomi che egli riceve nel corso della sua vita.
Il primo naturalmente gli viene dato alla nascita da suo padre ed è “Gioia nell’Ascolto”, nome che presagisce la voce dolce di Milarepa e la sua abilità nel canto e, nell’ultima parte della sua vita, la sua maestria nel comporre dei poemi, che costituiscono poi la raccolta dei suoi “Centomila Canti”, opera tuttora tradotta e letta ovunque.
Per tutto il periodo dell’apprendistato e delle prove, Marpa dà a Milarepa il nome di “Grande Mago”, per schernirlo e ricordargli il suo passato ignominoso.
Durante la cerimonia dell’iniziazione Milarepa riceve da Marpa due nomi spirituali: “ Mila Stendardo di Vajra”, laddove Mila è il patronimico, lo stendardo allude alla futura grandezza del discepolo ( come indicato dal sogno profetico di Marpa e di sua moglie Dakmema, prima del loro incontro), e Vajra simboleggia la natura adamantina della mente che ha raggiunto la condizione dello stato di “Buddha” o Nirvana, estinzione di quell’ignoranza che vela la vera natura dell’essere umano, luminosa, infinita e libera.
Il secondo nome spirituale è “Glorioso Vajra che Ride”, preludio alla felicità senza fine che attende il praticante dopo le interminabili sofferenze del “samsara”, esistenza ciclica costituita da ripetute nascite e morti.
Il nome che passerà alla storia è in realtà l’ultimo che l’asceta riceve, quello di Milarepa, e cioè “Mila Vestito di Tela”, in ricordo di quando, nella grotta Dente di Cavallo Roccia Bianca, non volle sottrarre tempo alla meditazione per cucirsi un vestito e si coprì con dei sacchi di cotone vuoti tenuti insieme da una corda.
Milarepa fu grande in tutto: come mago riuscì ad impadronirsi degli incantesimi e dei potenti rituali di magia nera; quando divenne discepolo del suo maestro spirituale, Marpa, sopportò stoicamente le intollerabili prove cui quest’ultimo lo sottopose; decise di fare l’ asceta e, incurante di sé e rivolto totalmente alla sua meta, meditò per lunghi anni tra i ghiacciai himalayani; infine fu un poeta capace di muovere il cuore di quanti ascoltavano i suoi canti.
Egli è ancora oggi il più famoso ed amato dei santi tibetani e la sua biografia continua a suscitare l’ interesse e la viva compartecipazione di quanti vi si accostano.