Pentimento
Trascorsero alcuni mesi da questi eventi ma Milarepa, nel suo intimo, non era per nulla compiaciuto. Nel suo cuore si era insinuato un senso di malessere che gli opprimeva il petto, troncandogli il respiro.
Per la prima volta stava riflettendo sulla portata delle sue azioni, sulle morti che aveva provocato, sul dolore che aveva arrecato alle famiglie delle vittime e sulla distruzione e la conseguente miseria di tutti coloro che avevano perduto i raccolti e subito gravi danni alle abitazioni. Pensava anche ai suoi zii, i quali erano stati colpiti più duramente di ogni altra persona e soffrivano per la morte dei loro amati figli.
Certo egli aveva agito per dovere filiale, ciecamente, senza neppure interrogarsi se le sue imprese fossero giuste o sbagliate.
La madre veniva prima di ogni altra cosa, e lui l’aveva vista tormentarsi tutta la vita al pensiero del torto subito. Il pensiero che poi potesse togliersi la vita lo aveva fatto quasi impazzire.
Ma ora che tutto era compiuto la sua anima non aveva pace. Di notte orrende visioni di morte e distruzione visitavano i suoi sogni, i volti delle persone uccise gli comparivano davanti, suscitando in lui la dolorosa consapevolezza di quanto aveva fatto e il ribrezzo per le proprie azioni.
Si sentiva sporco dentro, contaminato fino al midollo, nella parte più intima del proprio essere.
Nasceva con prepotenza dentro di lui il desiderio di purificazione, voleva cambiare vita, dedicarsi solo a meditazioni sante, per mondarsi nel profondo dell’anima.
La continua introspezione gli faceva solo ora comprendere l’importanza della legge di causa ed effetto, alla quale nessun essere vivente poteva sottrarsi.
Nutriva un profondo disgusto per il samsara e anche stare presso il lama gli era divenuto penoso. Il suo pensiero sovente correva al dharma, ma non si decideva ad agire e restava così come sospeso, in balia dei suoi fantasmi.
Un giorno Vincitore Irato fu chiamato al capezzale di un suo benefattore, un uomo pio che, essendo assai agiato, si era sempre prodigato per la religione e che ora era gravemente ammalato.
Dopo tre giorni il lama ritornò scuro in volto. Milarepa gli chiese subito cosa avesse ed egli così rispose :
“Solo ora comprendo che tutto è impermanente. Il mio caro benefattore se ne è andato e, all’improvviso sento tutto il peso del samsara. Sono vecchio e, se mi guardo indietro, cosa vedo? Una lunga serie di malefici e affatturamenti. La mia anima è affranta, e anche tu, caro figlio mio, devi riflettere, perchè anche tu hai compiuto azioni negative e io sento il peso anche di questo.”
Milarepa era perplesso:
“Lama, gli esseri che hanno perso la vita a causa dei sortilegi non si trovano forse nei paradisi celesti? Non sono stati liberati dal samsara?”
Il lama rispose:
“Tutti gli esseri possiedono la natura di Buddha, ma io, pur possedendo la conoscenza teorica per condurli alla liberazione, in realtà non sono in grado di farlo. Perciò è tempo che io mi volga al dharma ed utilizzi ogni mezzo a mia disposizione per aiutarti. Dimmi, figlio, qual’è il tuo desiderio?”
Milarepa allora diede voce al desiderio profondo che albergava da tempo nel suo cuore:
“Desidero solo praticare il dharma”, disse.
“Sia così allora. Nel villaggio di Hnar abita un lama mio amico, realizzato nella dottrina “Perfettissima”. Fatti dare l’insegnamento affinchè possa purificarti”.
Il maestro gli impartì la sua benedizione e gli diede della stoffa di lana fine da offrire al nuovo maestro, poi lo congedò con un abbraccio.
Fu così che Milarepa partì, il cuore pieno di speranze, alla volta di Hnar, ma il lama in quel periodo si trovava nel suo monastero di montagna. Uno dei suoi discepoli si offrì di accompagnarlo ed essi partirono.
Quando fu alla sua presenza Milarepa raccontò la triste vicenda della sua vita pregandolo di dargli l’insegnamento.
Il lama acconsentì a concedergli l’iniziazione che era, secondo lui, del tipo più sublime e potente, in grado di far raggiungere l’illuminazione in tempi rapidissimi. Poi iniziò ad istruirlo.
Sembrava fin troppo facile, a sentire le parole del maestro che promettevano l’illuminazione in un lampo, e Milarepa trascurò di meditare.
Vedendo ciò, il lama disse:
“Non sono io il tuo maestro. Devi recarti dal discepolo diretto del perfetto Naropa, Marpa, nel monastero delle Betulle. Dal momento che tu e lui siete in connessione spirituale dalle vostre vite anteriori, devi andare da lui.”
Nell’udire il nome di Marpa, qualcosa si agitò nel cuore di Milarepa, ed egli sentì una gioia incontenibile. Comprese che era quella la sua strada e, fremente per l’emozione, piangendo dalla felicità, si rimise subito in viaggio, non vedendo l’ora di incontrare il suo maestro.
Milarepa si mise in viaggio e, seguendo le indicazioni dei viandanti e dei pastori, si avvicinava sempre di più al suo maestro. Giunto su di un passo montano, chiese ad un uomo dove fosse la Valle delle Betulle.
“Proprio davanti a noi” rispose quello.
“E come si chiama il luogo in cui ci troviamo” domandò ancora Milarepa. “Sommità del Dharma” fu la risposta.
A sentire quel nome il cuore del giovane fu invaso dalla felicità.
”E’ proprio di ottimo auspicio” pensava, ”vedere la dimora del lama da un luogo chiamato Sommità del Dharma!”
Milarepa pensò che si trovava sulla buona strada e seguendo il suo istinto accelerò il passo, impaziente di arrivare.
Lungo il cammino il giovane s’imbattè in un monaco seduto ai bordi di un torrente che attraversava la vallata, gorgogliando e spumeggiando tra le rocce nude e scintillanti dal sole. Il religioso stava mangiando pesce fritto e via via posava accanto a sé le spine. Appena deposte a terra le lische si rimpolpavano di carne finchè non ritornavano ad essere pesci dalle squame argentee, vivi e guizzanti. Il monaco allora molto tranquillamente li ributtava in acqua.
Milarepa scendeva a grandi passi verso di lui, gli occhi colmi di stupore, e più si avvicinava al torrente più il fragore dell’acqua si faceva intenso, quasi ad inghiottire ogni altra cosa.
Il giovane si avvicinò al monaco per chiedere chi fosse e quale arcana magia fosse la sua, quando quello si voltò guardandolo dritto negli occhi.
Milarepa non aveva mai visto uno sguardo simile a quello e perse per un istante ogni percezione spazio-temporale.
Si ritrovò nel cortile di un monastero buddhista, dove un uomo seminudo stava mangiando del pesce seduto per terra. Ad un certo punto un monaco uscì dalla cucina e, dirigendosi verso il pover’uomo, lo apostrofò rimproverandolo per la sua mancanza di compassione verso le creature che stava mangiando, tanto più che si trovava all’interno di un monastero buddhista, e gli ingiunse seccamente di andarsene.
L’uomo non battè ciglio, fece un gesto, pronunciò un mantra e le lische si ricoprirono di carne ridiventando pesci che si alzarono con leggerezza nell’aria per svanire nel nulla. L’uomo allora si girò verso Milarepa dicendo:
“Sono Tilopa, maestro del grande Naropa, maestro di Marpa, e tu sei nostro figlio…ricorda, tutto è impermanente!” e scomparve.
La scena era durata meno di un attimo e Milarepa come uscendo da un sogno si ritrovò di nuovo vicino al torrente, ma il monaco era sparito e così i pesci. Non sapendo cosa pensare il giovane riprese il suo cammino, riflettendo a lungo sul senso di quella visione.
Era forse un messaggio del suo futuro maestro? E cosa lo aspettava lungo il cammino spirituale che stava cercando disperatamente di intraprendere?