Haṃsa Libera Scuola di Hatha Yoga

Emanuela Angela Letizia Ghidini

POETRYOGA. POESIA PER LO YOGA E YOGA PER POETI – Tesi per il conseguimento del titolo di istruttore yoga

6. “Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, Silenziosa Luna” – ovvero il saluto alla Luna come invocazione alla Musa 

 GHIDINI EMANUELA, TESI I poetryoga-5

Nel più celebre tra i canti di Leopardi, il famoso pastore “errante per l’Asia” si rivolge a colei che gli antichi chiamavano con tanti nomi, da Artemide o Diana, a Selene, a Ecate Trivia. Per quel senso di mistero e di enigmatico che la sua luce provoca nelle menti degli uomini, la Luna è stata da sempre stimolo di riflessione per i pensatori e fonte d’ispirazione, o Musa, per i poeti. Sono infatti numerosissime le poesie a Lei dedicate in ogni tempo.

Per Saffo la Luna tramonta e, insieme a lei, anche giovinezza e vita amorosa:

Tramontata è la luna e le Pleiadi a mezzo della notte;
anche giovinezza già dilegua e ora nel mio letto resto sola.1

Poche ore prima di morire, Leopardi a Lei dedica le sue ultime parole, scrivendo:

Nell’infinito seno
Scende la luna2

Emily Brontë evoca un’atmosfera lunare come atmosfera di mistero e di sgomento, ma anche di liberazione:

Alta erica ondeggiante, curva sotto il vento tempestoso,
Mezzanotte, chiaro di luna e stelle lucenti;
tenebre e splendori in accordo gioioso,
La terra si protende al cielo e il cielo discende,
Lo spirito dell’uomo abbandona la sua tetra cella,
rompendo le catene e spezzando le sbarre.

In Salvatore Quasimodo l’immagine della luna richiama l’aspetto della donna amata ed esprime il desiderio sensuale di lei:

La luna rossa, il vento, il tuo colore
di donna del Nord, la distesa di neve…
Il mio cuore è ormai su queste praterie,
in queste acque annuvolate dalle nebbie.

Borges gioca a comporre un haiku e invoca la visione della sottile falce di luna nuova:

La luna nuova.
Lei pure la guarda
da un’altra porta.

Struggente e intessissimo è il rapporto continuo con la temibile potenza evocata dalla presenza della luna in tutta l’opera di Alda Merini: 

La luna geme sui fondali del mare,
o Dio quanta morta paura
di queste siepe terrene,
o quanti sguardi attoniti
che salgono dal buio
a ghermirti nell’anima ferita.
La luna grava su tutto il nostro io
E anche quando sei prossima alla fine
senti odore di luna
sempre sui cespugli martoriati
dai mantici
dalle parodie del destino.
Io sono nata zingara, non ho posto fisso nel mondo,
ma forse al chiaro di luna mi fermerò il tuo momento
quanto basti per darti un unico bacio d’amore.3

Il rapporto dell’uomo con la Luna simboleggia da sempre il rapporto che si ha di fronte al numinoso, al “totalmente altro”, all’indicibile, all’ineffabile nome di Dio. Come l’astro della notte ha una faccia che mai viene mostrata, così l’Universo ci pone di fronte anche a ciò che non può essere completamente compreso e spiegato. E non c’è ragione né capacità di misura o di calcolo che possano avvicinarci a questa Verità Ultima. Solo la poesia può tentare di esprimerla, ma solo e unicamente in virtù di una preliminare invocazione del poeta alla sua Musa. Solo pagando a Lei, alla Verità interiore, il dovuto, il poeta sarà veramente poeta e la sua poesia sarà vera poesia. E, come Orfeo4, sarà quindi in grado di scendere negli inferi alla ricerca della sua amata sposa…

In greco mese si diceva μήν (mén), tradotto poi nel latino mensis. Dalla stessa radice, che indica “misura”, “computo”, derivano anche il verbo latino metréo, “misurare”, e i sostantivi métron, “metro” e mensura “misura”; in molte civiltà antiche, infatti, il tempo veniva misurato con la luna e i mesi erano lunari. Basandosi sul ciclo lunare, venivano calcolati i momenti fondamentali dell’annata agraria; il lavoro nei campi era infatti ritmato dall’apparire, dal crescere e dal decrescere della luna che influisce in modo significativo sulla vita vegetale e animale. Da questa “unità di misura lunare” significativamente discende anche il vocabolo mens, la mente. Sempre in latino mén ispirò l’aggettivo menstruus, “mensile”, e il sostantivo menstruum che indicava il mestruo femminile e che correlava pertanto la luna alla fertilità5. Dal medesimo radicale deriva anche méter, “madre”: sicché persino da un punto di vista etimologico, Madre e Luna si identificavano. Mene, o Menerua6, era infatti uno degli antichi nomi usati nel bacino del Mediterraneo per indicare la Grande Madre, la triplice Dea, sola dispensatrice di vita, morte e rinascita.

Il collegamentro della Luna con l’elemento acqua, in quanto regolatrice delle maree, crea un ulteriore forte legame con la creatività espressa dal principio femminile ricettivo e materno; le acque della vita intrauterina, infatti, ci cullano e ci proteggono durante la gestazione e il liquido latte materno provvede al nostro nutrimento e ci sostiene nei primi difficili mesi di vita.

Nella religione induista, fortemente patriarcale, la Luna, Chandra, è invece diventata, una divinità maschile. Chandra è infatti rappresentato come il dio che conduce nel cielo il carro lunare a imitazione di Surya che conduce quello solare.

Per contro, Chandra Namaskar, la sequenza yoga nota come “Saluto alla luna”, con i suoi gesti arrotondati e aggraziati è sicuramente più vicina alla celebrazione del mondo femminile, dei suoi aspetti e dei suoi valori “e cioè le emozioni, i sogni, le consuetudini, la ciclicità, la versatilità, la variabilità, la memoria e molto altro ancora.7

La scuola Satyananda consiglia, prima di iniziare la pratica di saluto alla luna, di dedicare alcuni minuti alla preparazione del corpo e della mente: “in posizione eretta, dopo aver portato la consapevolezza sul flusso naturale del respiro, si visualizza in brhrumadya, lo spazio tra le sopracciglia, una luna piena in un chiaro cielo notturno mentre splende brillante sulle onde del mare, penetra nelle acque profonde, afferra la cima delle onde e le fa danzare. Dopo aver visualizzato chiaramente l’immagine, si sviluppa la consapevolezza delle sensazioni e delle emozioni che si creano nella mente e nel corpo.”8 A conclusione del numero desiderato di ripetizioni di Chandra namaskar, rimanendo in posizione eretta con gli occhi chiusi e le mani rilassate lungo i fianchi, si visualizza nuovamente la luna piena che splende sul mare fino a quando il corpo ritorna stabile e il respiro tranquillo.

Dopo aver devotamente e doverosamente invocato l’aiuto e il sostegno della Musa, anche chi scrive ha tentato di rendere omaggio alla sua essenza, lasciandosi ispirare dalle diciotto posture della sequenza suggerita da Maurizio Morelli9

  1. Inspiro: Sono stata la lama del coltello
  2. Espiro: che ha separato la notte dal giorno.
  3. Inspiro: L’Est
  4. Espiro: distinsi
  5. Inspiro: dall’Ovest.
  6. Espiro: pausa
  7. Inspiro: Sono stata paesaggio di luna piena.
  8. Trattengo: Sono stata notte senza luna.
  9. Espiro: Lentamente scivolando fra le nuvole.
  10. Inspiro: sono apparsa falce di luna crescente.
  11. Espiro: Lentamente scivolando fra le nuvole
  12. Inspiro: sono apparsa falce di luna calante.
  13. Espiro: pausa
  14. Inspiro: Chi vigila
  15. Espiro:sulla creazione
  16. Inspiro:perché
  17. Espiro: l’indistinto
  18. Inspiro: sia vinto
  19. Espiro: dall’ordine?

 

7. Ispirazione e inspirazione – ovvero inspiro creatività, espiro creazione 

La vera poesia nasce solo, come visto, dal libero favore concesso dalla Musa al poeta che la invoca. Questo favore si realizza nell’ispirazione artistica.

A partire dal suo significato etimologico, l’ispirazione viene collegata alla respirazione, e più precisamente all’inspirazione, ovvero a quella fase della respirazione in cui l’aria fluisce dall’esterno, attraverso il naso o la bocca, per arrivare fino ai polmoni.

L’ispirazione è dunque inspirazione dell’alito divino. Il poeta, inspirando, apre metaforicamente un passaggio e lascia scorrere liberamente in sè il soffio della creatività.

E’ possibile che questa inspirazione fosse originariamente una vera e propria inalazione di fumi inebrianti provenienti dalla combustione a scopo rituale di erbe sacre come l’edera e il lauro oppure l’inalazione di vapori mefitici che fuoriuscivano da uno sfiatatoio sotterraneo, come accadeva all’oracolo di Delfi.

L’assunzione di droghe per il tramite dell’ispirazione di fumi, o la masticazione di funghi come l’amanita muscaria, può determinare il passaggio ad una condizione alterata di estasi o trance paranoica-onirica, condizione il cui significato verrà indagato nel prossimo paragrafo. Basti qui richiamare l’immagine moderna del poète maudit. Da Verlaine e Rimbaud in avanti fino a comprendere i molti gruppi e cantanti di jazz e di rock del Novecento, il “poeta maledetto” è l’artista dallo stile di vita provocatorio in cui è contemplato un largo consumo di alcol e droghe.

Anche l’ascolto del vento, il respiro divino, e, i particolar modo, del vento fra le fronde, può indurre una condizione di estrema concentrazione favorevole all’atto creativo; è la classica icona occidentale della Musa che bisbiglia all’orecchio del poeta. E forse non è un caso che nelle raffigurazioni tradizionali di Milarepa, il grande santo e poeta tibetano è rappresentato o nell’atto di ascoltare con la mano portata all’orecchio oppure con l’attributo di grandi orecchie.

La pratica yogica dell’ascolto del proprio respiro può produrre un effetto simile: in posizione supina o seduta, astenendosi da qualsiasi movimento e da qualsiasi interferenza sul ritmo del respiro stesso, ci si pone nella condizione perfetta di semplice ascolto “senza alcun intervento volontario, limitandosi ad essere testimoni10 di ciò che avviene dentro di noi.

8. La trance profetica, la contemplazione mistica, l’estasi poetica, il samadhi – ovvero di come per uscire da me stesso ho bisogno di aprire una porta

Ma che cosa avviene quando ci si pone in ascolto? La risposta riveste, ovviamente, carattere di soggettività. Ognuno ascolta con la propria sensibilità. Sicuramente in tutti i casi si realizza un passaggio da uno stato attivo ad uno stato di totale passività, di contemplazione. Si ha infatti un momento d’immobilità assoluta del corpo, di soppressione quasi completa dell’attività motoria. “Ascolta” viene detto; e nel momento in cui ci si pone all’ascolto, ci si immobilizza!

Chi si ferma, s’incontra” ci ricorda Erri De Luca11 con la sua prosa poetica. E, in effetti, fermandosi, il più delle volte avviene un incontro con qualcosa d’inaspettato, con qualcuno di sconosciuto, con la Musa forse, con noi stessi.

Questa immobilità fa parte del superamento della condizione umana; è la rinuncia a muoversi, a lasciarsi trascinare dal flusso impetuoso degli stati di coscienza, turbini o cittavrtti, che appartiene anche al praticante di hatha yoga. Lo stato di trance yogica è infatti uno stato di tipo catalettico in cui l’immobilità è assoluta; anche il respirare è appena sensibile e si produce “una riduzione della contrazione cardiaca tale quale si osserva alle soglie della morte. In tali condizioni uno yogin può essere seppellito senza che gliene derivi alcun danno.12

La calma, la serenità, la statica posizione del corpo, la ritmizzazione del respiro, la concentrazione in un punto solo ecc., sono tutti esercizi che mirano ad un identico fine: abolire la molteplicità e la disgregazione, reintegrare, unificare, totalizzare”13.

Nelle filosofie orientali un tale stato di profondo assorbimento meditativo, in cui la mente diventa illimitata e non più separata dal resto del mondo, è chiamato samadhi. È il punto

in cui il microcosmo della persona si fonde con il macrocosmo dell’universo. L’estasi del samadhi è una condizione di profonda beatitudine durante la quale non si sente né fame, né sete, né sonno. “È lo stato di contemplazione estatica in cui non c’è più alcuna differenza tra chi medita, l’atto del meditare e l’oggetto della meditazione. Essendo tale oggetto il divino o una delle sue qualità, Samadhi significa “identificazione e abbandono a Dio”, alla sua Luce e a tutte le qualità di perfezione che gli sono attribuite.14

Il termine latino extasis deriva dal greco ἐκστάσις (ekstasis), il cui senso letterale è “essere fuori” o “uscire fuori”; l’estasi indica pertanto un “uscire fuori di sé”. E’ la fase ultraintellettuale dell’ascesi mistica verso il Divino; ovvero la fase nella quale la ricerca intellettuale dell’Assoluto cede il posto al sentimento di una stretta comunione con la divinità o, addirittura, ad un’identificazione totale ed entusiastica dell’Anima umana con la Verità ultima.

Per Bernardo di Chiaravalle estasi è l’excessus mentis, il supremo grado della contemplazione in cui l’Anima si unisce a Dio come una goccia d’acqua caduta nel vino si dissolve in esso ed assume il colore e il sapore di questo15. Per i mistici cristiani quindi estasi è alienazione della mente da se stessa ed elevazione di sé al di sopra di sé, sino alla fonte dell’Amore.

Giordano Bruno la definisce raptus mentis, indicando con essa il congiungimento dell’intelletto con la Verità assoluta.

Si tratta del momento in cui le Verità sono rivelate, il momento che apre le porte alla profezia, al messaggio divino.

GHIDINI EMANUELA, TESI I poetryoga-6

Il ricongiungersi dell’Anima con il Principio primo è espresso anche nella dottrina upanishadica come identità essenziale tra Brahman, il principio unificatore dell’universo e della vita, o principio spirituale universale, e Atman, il principio spirituale individuale che risiede nel cuore dell’uomo, ovvero l’Anima16.

Sempre nelle Upanishad è detto che quando l’uomo trascende la propria unitezza e realizza il suo vero Sé, allora non c’è più ritorno al samsara, e si verifica lo stato della liberazione o moksa, ovvero il passaggio da una condizione di schiavitù ad una di libertà, di gioia assoluta e di totale uguaglianza con l’Anima Suprema, cioè lo stato nirvanico. Lo yogi realizza quindi con il samadhi la situazione paradossale di coincidenza dell’anima individuale con il Tutto, recuperando così la non-dualità originale e abolendo l’azione del tempo.

Anche nell’atto poetico il tempo è sospeso. Così come nei sogni, nelle fiabe e nei miti, nella creazione poetica si attua una simile sospensione dei criteri temporali e quindi un momentaneo sfuggire alle leggi dell’esistenza condizionata. Possiamo pertanto affermare che il poeta, come lo yogi, trascende lo stato di coscienza ordinario e accede all’esperienza mistica della reintegrazione del molteplice nell’Uno.

In una delle più affascinanti e famose poesie di Donne17, l’estasi del congiungimento è essenzialmente estasi amorosa: i corpi reclini, le mani nelle mani, gli occhi negli occhi, le anime degli innamorati si distaccano dai loro corpi per unirsi tra loro estaticamente; ritorneranno ai loro corpi come gli iniziati ai misteri ritornano al mondo.

Come tra eguali eserciti la sorte
sospende incerta la vittoria,
le nostre anime (che per allargare
il campo erano uscite da noi) tra noi s’alzavano:
e mentre là negoziavano le anime,
noi giacevamo, statue sepolcrali: tutto il giorno immutata l’attitudine,
non dicemmo parola tutto il giorno. (…)

Ma ahimè, perché così a lungo e tant’oltre
negarci ai nostri corpi?
Se anche non noi, pure son nostri (…)

i misteri d’amore crescono nelle anime
ma il nostro corpo è il libro dell’amore.

1 Sono i primi versi diTramontata è la luna, nella celebre traduzione di Salvatore Quasimodo.

2 Leopardi, il tramonto della luna, 1836

3 Alda Merini, Canto alla luna,1951.

4 Il più grande poeta cantore dell’antichità era, infatti, figlio di Calliope, musa della poesia.

5 Il ciclo astronomico del nostro satellite richiama, infatti, nel numero di giorni, il ciclo mestruale femminile.

6 Forma epigrafica più antica, di origine etrusca, dell’italica dea lunare Minerva.

7 Anna Pirera in ilcerchiodellaluna.it

8 Satyananda, 2013

9 Si veda scheda “Saluto alla luna” in thisisyoga.org

10 Maurizio Morelli scheda “Ascoltare il respiro con gli orecchi” in thisisyoga.org

11 In Non ora, non qui, 1989

12 Eliade, 2007

13 Eliade, 2007

14 Morelli, 2008

15 De diligendo Deo

16 Nella Chandogya Upanishad, Prajapati istruisce Indra sulla natura del vero Sé: “Credimi, mio caro, questa sottilissima essenza anima l’intero universo. Essa è la realtà, essa è l’Atman. E quello sei tu, o Svetaketu” (Ch, VI, 8, 7)

17 Versi tratti daThe ExtasieL’estasi di John Donne (1572-1631)