Haṃsa Libera Scuola di Hatha Yoga

Emanuela Angela Letizia Ghidini

POETRYOGA. POESIA PER LO YOGA E YOGA PER POETI – Tesi per il conseguimento del titolo di istruttore yoga

GHIDINI EMANUELA, TESI I poetryoga-1

Introduzione

Che lingua “parla” lo yoga? Il sanscrito, ovviamente, la lingua dei grandi testi della tradizione yogica! Ma anche l’hindi o forse uno degli innumerevoli dialetti locali del subcontinente indiano con cui anticamente le tecniche dello yoga venivano trasmesse da maestro a discepolo, senza mai essere trascritte. Ma è altrettanto vero che oggi lo yoga ha superato molti confini geografici e abbattuto molte barriere religiose e culturali, divenendo pratica ampiamente diffusa in tutto il mondo occidentale. Pertanto si potrebbe anche affermare che la lingua ufficiale dello yoga sia ormai l’inglese, così come è avvenuto in altri ambiti del sapere.

Ma, al di là del linguaggio con cui nel mondo si parla o si è parlato di yoga, è sicuramente vero invece che lo yoga parla da sempre il linguaggio del simbolo. L’originario carattere esoterico delle sue pratiche ascetiche e meditative, infatti, ha richiesto che solo chi era iniziato a queste fosse in grado di comprenderle veramente.

Il simbolo per sua natura evoca senza spiegare ed è perciò adatto a mantenere la segretezza necessaria alla trasmissione delle verità iniziatiche. Il linguaggio simbolico, infatti, vela le sacre verità ad uno sguardo profano, ma al tempo stesso le rivela a coloro che sanno come decifrarle. Si può affermare addirittura che il linguaggio che utilizza i simboli sia il linguaggio iniziatico per eccellenza e il veicolo indispensabile ad ogni insegnamento di questa natura.

Inoltre il simbolo si configura come un linguaggio meno limitato dei linguaggi parlati, legati alle convenzioni culturali, politiche e religiose di una società e di un’epoca, e quindi come un linguaggio più facilmente condiviso e in grado di passare con maggiore agilità attraverso il tempo e lo spazio.

Poiché lo yoga, come si è detto, ha attraversato millenni e molteplici barriere culturali rimanendo sempre ricco e vitale, si può affermare che l’essenza della sua pratica, ben lontana dall’essere un semplice insieme di esercizi fisici, si celi proprio dietro simboli e analogie. Molte asana, infatti, ospitano un potente simbolismo evocativo; parole, immagini e concetti universali parlano alla coscienza e all’intelligenza del corpo in maniera sottile e profonda, lavorando sugli archetipi mentali.

Baudelaire, enfant terrible della poesia moderna, ha scritto “Tutto l’universo visibile non è che un magazzino di immagini e di segni ai quali l’immaginazione darà un posto e un valore relativo”. E infatti, come lo yoga, anche il linguaggio poetico parla il linguaggio del simbolo. Come lo yoga, anche il linguaggio poetico non descrive la realtà, non spiega, bensì evoca, suggerisce. Come lo yoga, anche il linguaggio poetico accede a quell’ampio “magazzino di immagini e di segni” che è l’universo visibile per trascenderlo, proprio attraverso il potere evocativo del simbolo, e fare così esperienza di una realtà superiore.

Il presente lavoro si propone pertanto di mostrare le affinità tra yoga e creazione artistica, in particolare nell’ambito della poesia, e di indagare le loro possibili fertili interazioni.

E alla fine, alla domanda iniziale “Che lingua “parla” lo yoga?” potremo forse rispondere che lo yoga… parla in poesia.

1. La poesia è inutile! – ovvero di come la vera poesia nasce solo dalla libertà

Che cos’è la poesia?

La ποίησις (poiesis) greca, da cui il nostro vocabolo “poesia”, deriva dal verbo ποιείν (poiein), che indica l’agire umano svincolato dalle esigenze del quotidiano. L’azione creativa della poesia produce quindi un oggetto indipendente da ogni scopo interessato e utilitario. Una delle funzioni dell’espressione poetica rispetto, ad esempio, all’espressione creativa in prosa, infatti, è proprio la liberazione del linguaggio dai suoi usi utilitari.

Tale assenza di un fine interessato, nonché l’indifferenza verso il frutto stesso dell’azione, avvicina la creazione artistica poetica ai precetti del karma yoga, così come trasmessi da Krishna al virtuoso guerriero Arjuna nella Bhagavadgita, testo sacro dell’induismo contenuto nel grande poema epico Mahabharata. Prima della battaglia, Krishna insegna all’eroe che un’azione che non produce un debito karmico, in quanto completamente ispirata dalla Divinità e dedicata alla Divinità stessa, è una delle vie di liberazione dalla sofferenza.

Ma di quale azione si tratta? Si tratta di un’azione per se stessa o, per meglio dire, dell’azione per l’azione!

Anche la vera creazione artistica, in quanto frutto di ispirazione, è vera solo in se stessa: è l’arte per l’arte! Non richiede giustificazioni, non ha bisogno di scopi e di finalità, ma, soprattutto, non ha padroni. La poesia è del tutto inutile e per questo è libera!

Theophile Gautier nel 1856 scrive: “Noi crediamo nell’autonomia dell’arte; per noi l’arte non è un mezzo per un fine; un artista che persegue un obiettivo diverso dal bello non è, secondo noi, un artista1.

Un’azione libera, ovvero ispirata solo e unicamente dall’Assoluto, dal Vero Sé interiore, dalla Musa che ognuno alberga in sé, è un’azione che non ha padroni, che non paga il dovuto a nessuno, e nemmeno si aspetta di essere ricompensata. Solo un’azione libera in questo senso, dunque, non produce karma e apre una via di uscita dal samsara, la grande ruota delle rinascite. Fare poesia, ma anche leggere o ascoltare poesia, è dunque un affacciarsi a questa soglia di liberazione.

La libertà, come si apprende dalla lezione kantiana nella Critica del Giudizio, in definitiva non è altro che il nulla dell’esperienza2, ma, proprio per questo, essa è anche il punto in cui l’esperienza apre all’Assoluto. Solo a partire dalla libertà, infatti, la realtà è in grado di svelarci le sue profondità noumeniche, ovvero di aprirci alla conoscenza intellettuale pura.

Lo spirito è libertà e il carattere libero dell’attività poetica nei confronti di qualsiasi scopo utilitario, ovvero la sua “inutilità”, fa si che la poesia costituisca una delle chiavi per aprire la porta che conduce dalla realtà sensibile in cui siamo immersi quotidianamente alla realtà trascendente cui l’anima aspira. La poesia apre dunque la via che conduce dal mondo degli uomini al mondo degli dei.

2. Il simbolo lega yoga e poesia – ovvero di come yoga e poesia ci donano il potere di vedere l’invisibile

Che cos’è un simbolo?

Risponde Jung: “Una parola o un’immagine sono simboliche quando contengono più di quanto vi si può scorgere a prima vista”.

Il simbolo tuttavia si sottrae a una definizione esatta. Non è delimitabile entro precisi contorni, perché connette realtà diametralmente opposte e inconciliabili, la concretezza e l’astrazione, e serve ad indicare qualcosa che sfugge completamente alla percezione sensibile.

La connessione realizzata dal simbolo è espressa dall’originario significato letterale del termine, che deriva dal greco συμβάλλειν (symballein), “mettere insieme”, “congiungere”, “connettere”, ovvero ridurre a unità di significato.

Nel mondo antico il symbolon era un oggetto, una piccola immagine, un anello, un sigillo o simili, scomposto in due parti. Tale oggetto doveva essere ricomposto per riacquistare il suo significato e assolvere così alla funzione assolutamente pratica di segno di riconoscimento. Amici personali o soci d’affari, creditori o debitori o persone vicendevolmente legate da altri motivi, spezzavano in due il simbolo quando dovevano separarsi, potendo poi in qualsiasi momento riconoscersi o riconoscere i propri inviati, ricomponendo il simbolo margine a margine.

Il simbolo, oggi come allora, serve a riconoscere, ad attestare, a garantire un rapporto di comunanza che si è interrotto e che va riallacciato. In senso più generale, il simbolo connette ciò che è visibile a ciò che è invisibile, l’immanente al trascendente.

Il simbolo, dunque, realizza un’unione.

È ormai comunemente accettato che la parola yoga significhi “unità”, derivando dalla radice sanscrita yuj che ha significato, appunto, di “unire”, “legare”3. Alla domanda “che cos’è lo yoga?” potremmo quindi rispondere, in termini spirituali, che lo yoga è la tecnica, o l’insieme di tecniche, in grado di realizzare l’unione della coscienza individuale con la coscienza universale, ovvero l’unione con la Verità ultima. “Si tratta di unire, ricomporre, compenetrare, passare dal frammentario all’unità” come suggerisce Maurizio Morelli4. Possiamo dunque considerare lo yoga come “un mezzo con il quale si ottiene l’unio mystica, il congiungimento dell’anima umana con l’anima divina.5

Come si è visto, yoga e poesia parlano entrambi un linguaggio simbolico. La potenza espressiva del simbolo collega quindi fortemente i due ambiti. In entrambi i casi ciò che si desidera realizzare è il passaggio attraverso una soglia, la connessione tra finito e infinito, la ricomposizione di un’unità originaria, il ponte tra il mondo del visibile e il mondo dell’invisibile

1 Editoriale introduttivo del periodico L’artiste.

2 Noi non la sperimentiamo, non sappiamo quale sia la sua consistenza ontologica.

3 Da cui deriva anche il latino iungere e iugum e quindi i termini italiani “congiungere” e “giogo”.

4 Morelli, 2006

5 Eliade, 2007