Haṃsa Libera Scuola di Hatha Yoga

Shila Morelli

KRISHNAMURTI

1.9 Il ‘processo’
 
La salute di Nitya peggiorava: ormai entrambi i polmoni erano danneggiati. La tubercolosi avanzava. Il 6 luglio 1922 i due fratelli giunsero a Ojai, in California; abitavano soli in un cottage di legno di pino di fronte al quale si apriva un’ampia e incantevole vallata, decorata da alberi d’arancio e freschi ruscelli.

Il clima era mite e benefico per le condizioni di Nitya. Tuttavia, dopo le prime settimane, questi cominciò a peggiorare nuovamente. Krishna aveva paura di rimanere solo con il fratello in quelle condizioni; fortunatamente di lì a poco Rosalind Williams, una graziosa ragazza americana di diciannove anni, sorella di una teosofa, venne in loro aiuto e si prese cura di Nitya con amorevole dedizione e allegria.
I ragazzi talvolta godevano della compagnia di A.T. Warrington, segretario generale della Società teosofica in America, che risiedeva in un cottage poco distante dal loro. Ospite occasionale era Mr Walton, vicario della Chiesa cattolica liberale d’America, che possedeva una casa nella vallata.
Durante il mese d’agosto iniziò per Krishna quella grandiosa e dolorosa esperienza spirituale che egli successivamente definì il ‘processo’. Nitya, quindici giorni dopo l’accaduto, inviò un resoconto alla Besant e a Leadbeater che ben descrive l’incredibile esperienza di cui fu testimone insieme con Rosalinde Warrington. Le sue parole sono ispirate.
«Del vero significato del fatto, della sua esatta importanza sarete naturalmente in grado di dirci, se vorrete, ma qui ci sembra di essere stati trasportati in un mondo in cui gli dei sono tornati per breve tempo a camminare fra gli uomini, lasciandoci così trasformati che è come se la nostra bussola avesse trovato la stella polare. Penso di non esagerare dicendo che tutte le nostre vite sono state potentemente influenzate da quanto successo.»23
Tutto iniziò la sera di giovedì 17 agosto: «Krishna si sentiva un po’ stanco e irrequieto e noi notammo che al centro della nuca aveva una protuberanza dolente […]. La mattina seguente sembrava stare bene fino a dopo colazione, quando si distese per riposare».24
Rosalind e Nitya sedevano fuori dalla stanza dove giaceva Krishna, il cui stato veniva monitorato da Mr Warrington. A un tratto questi fece un cenno a Rosalind che accorse immediatamente trovando Krishna preda di terribili sofferenze, che lo facevano gemere e contorcersi tutto. Rosalind si sedette accanto a lui tentando di capire che cosa stesse succedendo, ma Krishna non era in grado di fornire alcuna risposta comprensibile e chiara.
«Rincominciò a gemere, preso da un attacco di tremore e brividi, serrò i denti e afferrò strette le mani per controllare il tremito. Era esattamente il comportamento del malato di malaria, salvo che Krishna si lamentava di un caldo spaventoso.»25
Rosalind lo tenne tranquillo per un po’ ma di nuovo arrivarono il tremore e i brividi tipici della malaria. Krishna incominciò poi di nuovo a sentire un forte calore e spinse via Rosalind che tuttavia gli restò vicina fino a quando non riuscì a calmarlo un po’. «Warrington sedeva nell’altro capo della stanza e si rese conto […] che nel corpo di Krishna stava avvenendo un qualche processo, dovuto a influenze provenienti da piani diversi da quello fisico.»26
«Durante la mattinata la situazione peggiorò e quando arrivai e mi sedetti accanto a lui, Krishna si lamentò di nuovo del tremendo calore e disse che tutti noi eravamo pieni di nervi e lo rendevamo stanco; ogni pochi minuti si alzava a sedere sul letto e ci spingeva via; e ancora cominciava a tremare. Tutto questo mentre egli era in uno stato di semicoscienza, dal momento che parlava di Adyar e delle persone che stanno là come se fossero presenti; poi stava di nuovo steso tranquillo per un po’ fino a quando il fruscio di una tenda o il tintinnio dei vetri di una finestra, o il rumore di un aratro lontano nei campi lo irritava nuovamente e chiedeva con tono lamentoso il silenzio e la quiete […].
«Io gli sedevo vicino, ma non troppo. Facevamo del nostro meglio per tenere la casa in silenzio e al buio, ma i leggeri suoni a cui solitamente non si fa caso sono inevitabili e Krishna era diventato così sensibile che il più leggero tintinnio lo faceva sussultare.»27
«Come venne l’ora del pranzo si calmò e in apparenza riprese a stare bene e in piena coscienza. Rosalind gli portò il pranzo che lui mangiò e, mentre noi finivamo il nostro pasto, restò calmo.»28
«Quindi, pochi minuti dopo, riprese a lamentarsi e, povero Krishna, a momenti non riusciva a trattenere il cibo che aveva mangiato.»29
Per tutto il pomeriggio, il giovane Krishna continuò a riversare in stato di semicoscienza, tremante e dolorante. Alla sera tuttavia, pur non essendo ancora in grado di mangiare nulla, era abbastanza tranquillo da riposare per l’intera notte. Krishna ricordava pochissimo di quanto successo, ma così descrisse in seguito l’inizio del processo.
«Il primo giorno, mentre ero in quello stato e più cosciente di ciò che mi circondava, ebbi la prima e più straordinaria esperienza. C’era un uomo che riparava la strada; quell’uomo ero io; il piccone che lui teneva in mano ero io; la stessa pietra che lui stava spaccando era parte di me; il tenero filo d’erba era il mio essere, l’albero accanto all’uomo ero io stesso. Potevo anche sentire e pensare come il cantoniere, e potevo sentire il vento che passava fra gli alberi, e la formichina sopra il filo d’erba potevo sentire. Gli uccelli, la polvere e il rumore stesso erano parte di me. In quello stesso momento c’era una macchina che passava a distanza; io ero il conducente, il motore e i pneumatici; via via che la macchina s’allontanava da me io m’allontanavo da me stesso. Ero in ogni cosa, o piuttosto ogni cosa era in me, animata e inanimata, la montagna, l verme e tutto ciò che respira. Per l’intera giornata restai in questa felice condizione.»30
Nei giorni seguenti il processo continuò; ma torniamo alle parole di Nitya.
«Domenica fu il giorno peggiore, e domenica vedemmo la gloriosa apoteosi.»31
«Krishna sembrava stare molto peggio, sembrava soffrire moltissimo, il tremito e il calore sembravano intensificati e la sua coscienza sempre più andava e veniva. Nei momenti in cui sembrava avere controllo sul suo corpo, parlava tutto il tempo di Adyar, e immaginava di essere costantemente ad Adyar.
Poi diceva: ‘Voglio andare in India! Perché mi hanno condotto qui? Non so dove mi trovo’.
«[…] Verso le sei, mentre cenavamo, stette giù calmo fino a che non avemmo finito. Poi all’improvviso l’intera casa sembrò invasa da una forza tremenda e Krishna fu come posseduto. Non voleva nessuno accanto a sé e prese a protestare aspramente per lo sporco, lo sporco del letto, l’intollerabile sporcizia della casa, la sporcizia di tutti lì intorno, e con voce dolorante disse che desiderava fortemente andare nella foresta.
Ora singhiozzava forte, noi non osavamo toccarlo e non sapevamo che cosa fare; lasciato il letto, sedeva sul pavimento in un angolo buio della stanza, singhiozzando forte che voleva andare nella foresta in India. All’improvviso annunciò la sua intenzione di fare una passeggiata da solo, ma noi cercammo di dissuaderlo perché credevamo che non fosse in condizioni di andarsene in giro di notte. A questo punto espresse il desiderio di stare solo, così lo lasciammo e ci riunimmo fuori, nella veranda, dove qualche minuto dopo ci raggiunse portando con sé un cuscino, sedendo il più lontano possibile da noi. Ebbe abbastanza forza e coscienza per uscire fuori, ma una volta lì di nuovo si eclissò da noi e il suo corpo, mormorante frasi sconnesse, fu lasciato là seduto nel portico.»32
Il gruppo era riunito nella veranda: Rosalind e Nitya sulle sedie, Mr Warrington e Mr Walton seduti su una panca di fronte, e Krishna a terra, incosciente, ad alcuni metri di distanza. Poche le parole. Il sole era tramontato da un’ora e l’attenzione era tutta per le colline lontane, viola contro il cielo pallido, e il crepuscolo che s’addensava; a un tratto tutti furono invasi dalla sensazione che qualcosa di straordinario incombeva, un’aspettativa stranamente serena di un grande evento.
«A questo punto Mr Warrington ebbe un’ispirazione divina. Di fronte alla casa, a qualche metro di distanza, si trova un giovane albero del pepe, con delicate foglie di tenero verde, ora carico di fiori profumati, che tutto il giorno è il ‘ronzante ritrovo di api’, canarini e vivaci colibrì. Egli con gentilezza sollecitò Krishna ad andare sotto l’albero; questi inizialmente rifiutò, ma poi vi andò di sua spontanea volontà.
«Ora eravamo in un’oscurità stellata e Krishna sedeva sotto un tetto di tenere foglie, nere contro il cielo. Mormorava ancora frasi sconclusionate, ma dopo poco udimmo il suono di un sospiro di sollievo e lui gridò verso di noi: ‘Oh, perché non mi ci avete mandato prima?’ Poi ci fu un breve silenzio. E a quel punto cominciò a cantare. Non toccava cibo da quasi tre giorni e il suo corpo era completamente esausto per l’intenso sforzo; fu una quieta e stanca voce quella che cantò il mantra intonato ogni notte ad Adyar nella stanza del Tempio. Poi il silenzio.»33
«Molto tempo fa, a Taormina, dopo che Krishna aveva contemplato un meraviglioso dipinto raffigurante il nostro Signore Gautama (Buddha, N.d.A.) in veste di mendicante, avevamo sentito per un estatico momento la divina presenza del Grande che si era degnato di inviare un pensiero. E di nuovo, quella notte, mentre Krishna sotto il giovane albero del pepe terminava il suo canto d’adorazione, io pensai a Tathagata (Buddha, N.d.A.) sotto l’albero del Bo, e di nuovo sentii un’ondata di quello splendore pervadere la quieta vallata, come se di nuovo Egli avesse inviato a Krishna la sua benedizione.»34
«Sedevamo con gli occhi fissi verso l’albero, chiedendoci se tutto andasse bene, poiché ora c’era un silenzio completo, e mentre guardavamo vidi improvvisamente una grande stella risplendere sull’albero e seppi che il corpo di Krishna si preparava a ricevere il Grande.
«Il posto sembrava pervaso da una Grande Presenza e fui sopraffatto da un forte desiderio di inginocchiarmi e adorare, poiché sapevo che il Grande Signore di tutti i nostri cuori era disceso di persona; anche se noi non lo vedevamo, tutti percepivano lo splendore della sua presenza.»35
«A questo punto gli occhi di Rosalind furono aperti ed ella vide. Non ho mai visto un viso trasformarsi come il suo, quando ebbe la benedizione di vedere con gli occhi del corpo le glorie di quella notte. Il suo viso era trasfigurato mentre ci diceva: ‘Lo vedete? Lo vedete?’ Infatti lei vedeva il divino Bodhisattva, (il Signore Maitreya, N.d.A.), e milioni sono in attesa dell’incarnazione per cogliere un simile bagliore del Signore, ma lei aveva occhi innocenti e aveva servito il Signore fedelmente, e noi che non riuscivamo a vederlo, vedevamo gli splendori di quella notte riflessi nel suo viso pallido per l’estasi sotto la luce delle stelle. Non dimenticherò mai l’espressione del suo volto, poiché in quello stesso istante io che non potevo vedere, ma che percepivo la gloria della presenza del nostro Signore, sentii che Egli si volgeva verso di noi e diceva qualcosa a Rosalind; il viso di Rosalind risplendette di un’estasi divina mentre rispondeva: ‘Lo farò, lo farò’, pronunciando le parole come fossero una promessa fatta con inesprimibile gioia. Mai dimenticherò il suo aspetto quando la guardai; perfino io ricevetti una sorta di benedizione con la visione di lei. Il viso mostrava il rapimento del suo cuore, poiché la parte più intima del suo essere era infiammata dalla Sua presenza, ma i suoi occhi vedevano e io silenziosamente pregai che Egli potesse accettarmi come Suo servo e tutti i nostri cuori furono pieni di quella preghiera.
«A distanza udimmo i dolci suoni di una musica divina, tutti noi udimmo, per quanto ci restassero nascosti, i Gandharva (gli angeli cosmici autori della musica delle sfere, N.d.A.). Lo splendore e la gloria dei tanti Esseri presenti durò quasi mezz’ora e Rosalind, tremando e quasi singhiozzando per la gioia, vide tutto ciò: ‘Guardate, vedete?’ continuava a ripetere, o ‘Sentite la musica?’ Dopo pochissimo udimmo i passi di Krishna e vedemmo la sua figura bianca stagliarsi nel buio e tutto fu finito. Rosalind gridò: ‘Oh sta venendo; andate a prenderlo, andate a prenderlo’ e cadde indietro sulla sedia come in deliquio. Quando si riprese, ahimè, non ricordava nulla, nulla, tutto se n’era andato dalla sua memoria, eccetto il suono della musica, ancora nelle sue orecchie.»36
Il giorno seguente il dolore e i tremori si ripresentarono; la sera, mentre Krishna sedeva in meditazione sotto il tetto di fresche foglie, Rosalind vide di nuovo attorno a lui tre figure che si allontanavano portando Krishna con loro e lasciando il suo corpo sotto l’albero. Una delle poche cose che Krishna ricordava era la meravigliosa visione sotto l’albero del pepe.
«Dopo essere stato seduto così per un po’ di tempo, mi sentii uscire dal corpo, mi vidi seduto tra le tenere e delicate foglie dell’albero sopra di me. Guardavo a est. Davanti a me c’era il mio corpo e sopra il mio capo vidi la Stella scintillante e luminosa. Quindi riuscii a percepire le vibrazioni del Dio Buddha; scorsi il Dio Maitreya e il Maestro K.H. (Kuthumi,N.d.A.). Ero così felice, calmo e in pace […]. La Presenza degli Esseri potenti fu con me per un po’ di tempo, poi questi andarono via.
«Ero immensamente felice perché avevo visto. Nulla poteva più essere uguale a prima. Ho bevuto quelle pure e chiare acque della sorgente stessa della vita e la mia sete è stata mitigata. Mai più potrei avere sete. Mai più potrei essere nella totale oscurità; ho visto la Luce. Ho attinto la compassione che sana tutto il dolore e la sofferenza; questo non per me stesso, ma per il mondo. Mi sono levato sulla cima della montagna e ho contemplato i potenti Esseri. Ho visto la luce gloriosa e salvifica. La fonte della Verità mi è stata rivelata e l’oscurità è stata dispersa. L’amore in tutta la sua gloria ha inebriato il mio cuore; il mio cuore non potrà mai essere chiuso. Ho bevuto alla fonte della Gioia e dell’eterna Bellezza. Sono ebbro di Dio.»37
Il ‘processo’ era un fenomeno misterioso agli occhi di tutti, qualcosa difficile da spiegare. Annie Besant e Leadbeater credevano che le esperienze di Krishna fra il 17 e il 20 agosto fossero il superamento della terza Iniziazione, ma non sapevano chiarire che cosa fosse il ‘processo’. Krishna lo riteneva forse qualcosa d’inevitabile, un passaggio obbligato per rendere il suo corpo capace di accogliere il Signore Maitreya, dal momento che mai chiese la presenza di un dottore. Altri credevano che si trattasse del risveglio della Kundalini, quell’energia generativa e spirituale che, secondo la tradizione yoga, si trova latente alla base della colonna vertebrale ed è rappresentata simbolicamente in forma di serpente arrotolato su se stesso. Appropriate pratiche possono risvegliare la Kundalini, che è così in grado di salire verso l’alto attraversando tutti i sette centri d’energia, detti Chakra, fino all’ultimo, il Sahasrara Chakra o ‘cerchio dei mille petali’, collocato sulla sommità del capo. Qui ha luogo il ricongiungimento con il Principio divino cosmico, ossia la reintegrazione del Sé individuale in quello universale. Il risveglio della Kundalini simboleggia quindi la liberazione o Moksha; secondo la Bhagavadgita, colui che ha risvegliato la propria Kundalini è in grado di vedere un’essenza comune in tutte le cose: percepisce il Sé in tutto e il tutto nel Sé.
Leadbeater non considerava questa spiegazione valida poiché sosteneva che quando la sua Kundalini si era risvegliata qualche anno prima, lui non aveva sofferto d’altro che di sconforto. Inoltre Krishnamurti presentava numerosi sintomi inspiegabili come estrema sensibilità al suono, tendenza a cadere, gemiti, tremolii, caldo, perdita di coscienza del proprio corpo e fortissima repulsione al tocco. Il misterioso ‘processo’, inoltre, non si esaurì in quei giorni d’agosto. Due settimane dopo riprese con insostenibili dolori alla colonna vertebrale.

1.10 Un lavoro delicatissimo

Krishna non aveva alcun ricordo. Quando il ‘processo’ iniziava, l’‘Io Krishna’, come viene definito nelle descrizioni di Nitya, si allontanava lasciando il corpo sotto la tutela dell’‘elementare fisico’, la parte del corpo che sovrintende le azioni fisiche istintive quando la coscienza superiore non è presente.

Questo era in grado di sopportare il dolore. Quando Krishna tornava, il processo veniva interrotto. Questa fase durò consecutivamente tre mesi, notte dopo notte. Krishna conversava con una o più entità che giungevano per condurre le operazioni. Apparentemente ogni sera doveva essere completata una certa quantità di lavoro.
Il dolore interessava diverse parti del corpo e si manifestava con intensi spasmi. Krishna, nelle fasi più acute, si contorceva e supplicava che tutto potesse avere fine. Si sentiva bruciare.
Non poteva sopportare troppa luce e passava la maggiorparte del tempo nella semioscurità. Facilmente cadeva svenuto. Il suo corpo era sempre più provato.
A ottobre il lavoro delle entità si spostò agli occhi. «Dissero a Krishna che i suoi occhi venivano lavati perché potesse vederLo. Ma a sentirlo, quel lavaggio era un’operazione tremenda»38 scrisse Nitya nel suo resoconto. «Lo udimmo dire: ‘È come essere tenuti legati in un deserto con il viso senza palpebre esposto al sole accecante’.»39
Una sera Krishna annunciò che ci sarebbe stato un grande Visitatore. Quella notte egli parlava incosciente con persone invisibili che sembravano congratularsi con lui per il lavoro svolto. L’elementare fisico aveva la tendenza a scambiare Rosalind per la madre deceduta e disse: «Madre, adesso ogni cosa sarà diversa, dopo questo la vita non sarà più la stessa per nessuno di noi. L’ho visto madre e adesso niente importa.»40
Poi il lavoro rincominciò; questa volta gli aprirono qualcosa nella testa e Krishna sembrava sottoposto a una vera e propria tortura e gridava: «Per piacere chiudetelo, per piacere chiudetelo».41
Gli svenimenti si alternavano a stati di semicoscienza in cui parlava con la voce di un bambino che ricorda le esperienze della sua infanzia. Nei giorni successivi Nitya e Rosalind udirono la stessa voce descrivere la morte della madre di Krishna. Un’altra fase del processo era terminata e ora Krishna poteva riprendere le sue attività. Nel 1923 venne acquistata, grazie a una donazione, Pine Cottage e una certa quantità di terreno attorno. Ojai divenne la nuova base di Krishna che nei mesi seguenti lavorò con assiduità per l’Ordine della Stella. Tenne numerose conferenze negli Stati Uniti che si conclusero a Chicago con la Convenzione teosofica. In giugno si recò con il fratello in Inghilterra per partecipare al Congresso della Società teosofica e dell’Ordine della Stella che quell’anno si sarebbe tenuto a Vienna. Successivamente, Krishna si prese alcune settimane di vacanza con Nitya e un gruppo di amici nel villaggio di Ehrwald sulle Alpi, nel Tirolo austriaco.
A metà agosto il processo si ripresentò con intensità e una sera Krishna esplose dicendo: «Non è mai stato così brutto».42
La notte del 20 settembre, Krishna trasmise un messaggio per Nitya, forse dal Maestro Kuthumi.
«Ascolta Nitya. Qui la cosa è finita, questa è l’ultima notte, ma proseguirà a Ojai. Solo che dipende da te. Dovreste avere tutti e due più energia. Il successo dipende da quello che tu farai nel prossimo mese. Non permettere che qualcosa ti ostacoli. Qui è andata bene. Ma Ojai dipende totalmente da te, là si continuerà con maggiore vigore, se sei pronto. Quando lascerai questo posto dovrai essere estremamente attento. È come un vaso d’argilla estremamente fresco e ogni vibrazione negativa può provocare una crepa; questo significa doverlo aggiustare e rimodellare e la cosa può prendere molto tempo; se fallisci si dovrà rincominciare tutto da capo.»43
Dopo una permanenza presso il castello di Erde in Olanda, donazione del barone Van Pallandt, i due fratelli fecero ritorno a Ojai, dove il dolore riprese ad affliggere violentemente il corpo stremato di Krishna.
Nel novembre 1923 un altro messaggio venne trasmesso attraverso la voce di Krishna.
«Il lavoro che si sta facendo adesso è della massima importanza ed è delicatissimo. È la prima volta al mondo che viene tentato questo esperimento. Ogni cosa nella casa deve dare precedenza a questo lavoro, e non va ritenuto un disagio da nessuno, neanche da Krishna. Gli estranei non devono venire qui troppo spesso; la fatica è grande. Ma voi e Krishna potete risolvere queste cose.»44
All’inizio del 1924 l’ultima fase del processo andava avanti ininterrottamente da oltre due mesi: il corpo di Krishna era esaurito e la pena era sempre più forte. Ma un’esperienza meravigliosa era alle porte.
«L’altro ieri ho vissuto una serata straordinaria. Qualunque cosa sia, la forza, o comunque la si voglia chiamare, è salita lungo la spina dorsale su fino alla nuca; a questo punto si è separata in due, una andava a destra, l’altra a sinistra della testa sino a congiungersi fra gli occhi, appena sopra il naso. C’è stata una sorta di fiamma e ho visto il Signore e Maestro. È stata una notte straordinaria.»45
Alcuni, fra cui Nitya, credevano che quest’esperienza fosse assimilabile all’apertura del terzo occhio, detto anche ‘il testimone’, l’occhio della coscienza, l’occhio di Shiva. È considerato l’organo visivo del Chakra mentale o Ajna Chakra, e rappresenta il superamento della dualità.
Secondo lo yoga, i due canali dell’energia sottile, o Nadi, che hanno origine alla base della colonna vertebrale, procedono incrociandosi lungo la spina dorsale, quindi si uniscono e terminano nel terzo occhio. Queste Nadi nella loro ascesa polarizzano l’energia e unendosi creano la sintesi degli opposti. Mentre gli occhi fisici forniscono immagini di dualità, il terzo occhio permette di vedere la realtà nella sua unità. L’apertura del terzo occhio è quindi collegata alla visione, non come fantasticheria, ma come capacità di percepire altre dimensioni più sottili della realtà, che coesistono con quelle che conosciamo; infatti, ‘il testimone’ è collegato a tutti i poteri di tipo paranormale come chiaroveggenza, chiaroudenza, telepatia, preveggenza, capacità di comunicare con entità disincarnate.
Il terzo occhio è una porta, un senso psichico che permette di entrare in contatto più diretto con l’energia mentale e innalzare la consapevolezza; è il senso della coscienza che apre a una comunicazione con la psiche. Allora, anziché vedere fuori si vede dentro, anziché vedere la materia si vede l’energia. Osservare il mondo direttamente dall’interno dà la capacità di leggere l’energia psichica e di muoversi all’interno di questa dimensione. Krishna non sembrava in quel momento aver sviluppato alcuna chiaroveggenza, ma il processo deve aver influenzato senza ombra di dubbio la sua capacità di vedere, dal momento che successivamente a questa esperienza il suo pensiero si delineò in tutta la sua grandezza.
Leadbeater e la Besant erano costantemente informati di tutti gli avvenimenti, ma non raggiunsero mai Krishna a Ojai. Il teosofo chiaroveggente non sapeva spiegarsi l’accaduto: «È così totalmente in contrasto con tutto quanto mi è stato insegnato», e a Nitya che si rivolse a lui per chiarimenti disse: «Non comprendo il terribile dramma che sta avvenendo nel nostro amatissimo Krishna».46
Forse complice una certa paura per questo fenomeno così inspiegabile, Leadbeater da quel momento non si curò più direttamente del ‘Sentiero’ di Krishna, che tuttavia, notte dopo notte, procedeva inesorabile. Ad aprile il corpo del giovane fu, nuovamente, veicolo di un divino messaggio.
«Figli miei, mi complimento per la vostra resistenza e il vostro coraggio. È stata una lunga lotta e fino a questo punto è stato un successo. Sebbene ci fossero molte difficoltà, le abbiamo superate con relativa facilità […]. Tu ne sei uscito bene, per quanto l’intera preparazione non sia finita […]. Siamo spiacenti per il dolore, protrattosi a lungo e che deve esserti sembrato senza fine, ma c’è una grande gloria in attesa per ognuno di voi […]. La mia benedizione vi accompagna. Anche se dovremo cominciare in data successiva, non voglio che lasciate questo posto per l’Europa fino a dopo il Wesak (il grande festival occulto della luna pienadi maggio, che quell’anno cadeva il 18 maggio, N.d.A.), quando Mi vedrete. Quantunque abbiamo preso precauzioni, per le tre zone del tuo corpo è certo che ci sarà dolore. È come un intervento chirurgico: per quanto possa essere stato superato, non si può evitare di sentirne gli effetti più tardi.»47
Krishna, intanto, appena il processo si calmava riprendeva le sue attività. I fratelli si recarono in Inghilterra, Olanda e infine il 18 agosto arrivarono al castello di Pergine, a Trento, dove vennero organizzati una serie di incontri che avevano come tema centrale il Sentiero del Discepolato e i requisiti necessari per accedervi. Krishnamurti qui espose con vigore la necessità di aprire quella porta che dà sul non conosciuto, compiere un salto, trasformarsi. Egli insisteva sull’importanza della purezza di corpo e mente: «Ciò che si impone non è la repressione, ma la disciplina e il controllo delle emozioni».48
Krishna sosteneva inoltre la necessità di donarsi completamente al Maestro, mettere da parte quindi ogni desiderio e ambizione, salvo il pensare e divenire come il Maestro. Egli portava come esempio Ananda, il discepolo del Buddha: «Ananda, il discepolo prediletto del Signore Buddha, ha dovuto trascorrere esistenze di sacrifici assoluti e interminabili per raggiungere quel livello».49 E continuava ribadendo l’importanza di fare del Maestro la propria vita: «Per lui Buddha era tutto […] ed egli riuscì nel suo intento poiché nulla aveva contato per lui se non il desiderio di essere il discepolo prediletto di Buddha».50
Le sue parole erano ispirate e colme d’amore; a volte egli era duro poiché desiderava ardentemente sollevare gli uomini dalla mediocrità. Il suo pensiero tuttavia in questo periodo sembra limitato dai concetti di vizio/virtù, puro/impuro, discostandosi dai discorsi successivi che si alimentano dell’assenza di schemi.
Il ‘processo’ era riapparso dopo una settimana dall’arrivo a Pergine. Nella sua costante regolarità ogni sera dava a Krishna la giusta dose di sofferenza per portare avanti il lavoro. Il 24 settembre Krishna espose un messaggio che pensava provenisse da Maitreya stesso.
«Impara a servirMi, poiché solo lungo il Sentiero Mi troverai.
«Dimentica te stesso, poiché soltanto così mi puoi scoprire.
«Non andare in cerca dei Grandi quando essi possono esserti vicinissimi.
«Tu sei come il cieco che cerca la luce del sole, sei come l’affamato cui viene offerto il cibo e non lo mangia.
«La felicità che cerchi non è in capo al mondo; risiede in ogni semplice pietra.
«Io sono lì, se solo tu lo vedi. Sono Colui che aiuta se Mi lasci aiutare.»51
Gli spostamenti ripresero presto. Passando dall’India i fratelli, accompagnati da un piccolo gruppo, giunsero verso novembre a Sidney, dove Nitya riprese a stare molto male. Egli si trasferì a Leura, nelle Blu Montains, poiché aveva bisogno di molto riposo e cure per superare il momento critico.
A Sidney Leadbeater aveva fondato una piccola comunità, The Manor, dove distribuiva iniziazioni a un folto gruppo di adepti. Krishna era insofferente verso l’atmosfera competitiva e la vana ritualità che accompagnava il percorso degli iniziati del luogo. I rapporti con Leadbeater erano ormai a un punto morto: ogni tentativo di parlare con lui del ‘processo’ era vano e il teosofo, dal canto suo, attribuiva ormai al suo vecchio pupillo un’influenza disgregante.
A giugno Niya sembrava essersi ripreso e in grado di viaggiare, così i fratelli salparono diretti a Ojai. la traversata fu un vero supplizio. Giunti in California la sua tubercolosi, dopo una breve ripresa, peggiorò drasticamente. Krishna si dedicò anima e corpo al fratello per i mesi successivi, sostenuto dalle rassicurazioni della Besant e Leadbeater secondi i quali i maestri non avrebbero lasciato morire Nityananda.
Nel frattempo, in un’altra parte del mondo, Annie Besant e il cerchio dei teosofi viaggiavano su piani astrali. Iniziazioni e cerimonie si susseguivano con crescente velocità.
Arundale fu consacrato vescovo e ora anche lui trasmetteva messaggi dai Maestri. A suo dire, nella notte del 7 agosto, Krishna, ignaro di tutto a Ojai, e un piccolo gruppo di persone, avevano ricevuto la quarta Iniziazione o Arhat. Pochi giorni dopo egli annunciò che il Signore aveva scelto i suoi dodici apostoli, tra i quali Annie Besant, Leadbeater, Nitya, Lady Emily Lutyens e Arundale stesso. In poco tempo un’altra incredibile notizia: il 13 agosto anche la quinta e ultima Iniziazione era stata conferita a Krishna e quattro altri.
Krishna, lontano, era scettico e disturbato dall’isteria spirituale che aveva improvvisamente rapito il gruppo di teosofi, ma la sua fede nei Maestri e in Annie Besant, alla quale era profondamente devoto, non vacillava ancora. Egli aveva superato tutti i passi del Sentiero del Discepolato necessari per raggiungere l’Illuminazione, ma un’altra prova, l’Iniziazione delle Iniziazioni, lo attendeva sulla soglia. Presto ogni possibilità di mediazione con la Società teosofica sarebbe svanita.
Quell’anno era prevista una Convenzione ad Adyar per celebrare i cinquant’anni dalla fondazione della Società teosofica. Era un avvenimento importante a cui Krishna avrebbe dovuto partecipare. Egli non voleva lasciare solo il fratello, ma la Besant lo pregò fortemente e da molti giunsero rassicurazioni sulla sorte di Nitya. Questi, a dire dei teosofi, aveva un ruolo fondamentale accanto al Maestro del Mondo e Krishna si convinse che non l’avrebbero fatto partire se Nitya fosse stato in pericolo di morte.
Nell’ottobre 1925 lasciò Ojai diretto in India.
 
1.11 Come un fiore che preme contro la dura terra»
 
Era una mattina serena e calma; il sole era già alto in cielo quando la nave si apprestava ad attraversare il Canale di Suez. Krishna, incantato dal mare, si godeva la fresca brezza di salsedine sul pontile. Suono d’acqua e canto d’uccelli. Improvvisi e veloci passi attirarono la sua attenzione. Krishna si voltò, di fronte a lui Annie Besant, il volto sconvolto e un telegramma in mano. Nityananda era morto.
La morte, nelle sue innumerevoli forme, è la triste compagna di ogni uomo; considerata da alcuni il vero e unico guru, essa non fa distinzioni e non si presta a compromessi. Sveglia brutalmente gli uomini dal sogno dell’eternità nel tempo, schiaffeggiandoli con la stessa realtà dalla quale rifuggono.
Dolore, rabbia, incredulità, senso d’impotenza e un immenso incolmabile vuoto accompagnano i primi passi dell’iniziato fino a un falso bivio, a una possibilità. È proprio qui che egli, guardando in faccia la sua più grande paura, può procedere nell’Accettazione, che è morte a se stessi, e aprire la porta della trasformazione. Forse egli, proprio qui, sarà trasportato fuori dal tempo e dallo spazio e vivrà un lungo attimo di eternità.
Difficile provare a descrivere il dolore di Krishna alla notizia. Certo è che il mondo gli crollò addosso. Nei dieci giorni di viaggio che seguirono era inconsolabile e di notte, in stato di semicoscienza, urlava e piangeva chiamando il fratello in telegu, la sua lingua nativa, che era incapace di parlare da sveglio.
Egli aveva perso la sua unica famiglia, il suo adorato fratellino, sostegno e compagno in ogni avventura sin dall’infanzia.Ma la morte colpì Krishna in modo, se possibile, ancora più vasto. Fu un’esperienza totale a livello sia esistenziale sia spirituale. L’inconsistenza della fede nella Teosofia e nei suoi Maestri era stata svelata, abbattendo violentemente tutte le basi e le sicurezze affettive su cui egli aveva costruito la sua vita fino a quel momento. Forse insieme a Nitya morì una parte di lui, ed egli la lasciò andare.
«I piacevoli sogni relativi a questa vita per me e mio fratello sono finiti […]. Siamo stati bene insieme, nonostante avessimo caratteri diversi. In qualche modo ci capivamo a vicenda spontaneamente […]. È stata una vita felice e sentirò la sua mancanza a livello fisico finché vivrò.
«Un vecchio sogno è morto e uno nuovo sta nascendo, come un fiore che preme contro la dura terra […]. Una nuova forza sorta dal dolore già pulsa nelle vene […]. Ho pianto, ma desidero che gli altri non piangano; e allo stesso tempo, se lo fanno, ora so che significa […].
«Potevamo essere separati sul piano fisico, ma ora siamo inseparabili, perché adesso mio fratello e io siamo una cosa sola. Come Krishnamurti possiedo ora una forza e fede più grandi, una maggiore compassione e un più vasto amore poiché in me c’è il corpo, l’Essere, di Nityananda.»52
Qualcosa deve essere accaduto in Krishna durante il viaggio; quando egli scese dalla nave, in India, una luce e una pace nuove trasparivano dal suo volto. Egli un giorno avrebbe detto che bisogna completamente morire a se stessi per scoprire che cos’è l’amore. Forse, nuotando in quella solitudine, spogliato di ogni incanto e sostegno, aveva scoperto come il nulla sempre ritorna come Eternità.
«Ora so, con più certezza che mai, che nella vita c’è una reale bellezza, un’autentica felicità che non può essere dissolta da alcun accadimento fisico, una grande forza che non può essere indebolita da alcun evento transitorio, e un grande amore che è permanente, indistruttibile e invincibile.»53
Una nuova gioia era sorta: «Il dolore è meraviglioso se potete assaporarlo nella coppa divina. Io sono felice. Ho bevuto alla fonte del dolore e della sofferenza umana, dalla quale ho tratto forza».54
 
1.12 La promessa diventa realtà
 
Il 28 dicembre, anniversario della ‘visita’ del Signore Maitreya nel corpo di Krishna, era previsto il Congresso della Stella, che seguiva i quattro giorni di celebrazioni della Convenzione teosofica.
Quella mattina circa tremila persone erano radunate attorno a Krishna, che parlava all’ombra di un grande baniano. Era ormai alla conclusione di un discorso sul Maestro del Mondo: «Egli viene per coloro che vogliono, che desiderano, che aspirano».55
Improvvisamente il timbro della voce mutò; un istante di stupore ed egli, parlando in prima persona, disse: «E io vengo per coloro che vogliono simpatia, che vogliono felicità, che aspirano a essere liberati. Vengo a riformare, non a demolire. Non vengo a distruggere ma a costruire».56
Scrutando nel calmo viso di Krishnamurti, nulla sembrava essere cambiato, ma a detta di alcuni i suoi occhi irradiavano un tale amore per l’umanità che non vi potevano essere dubbi sulla provenienza divina delle sue parole. In quell’istante per tutti i presenti la promessa era diventata verità. La definitiva consacrazione del veicolo prescelto era avvenuta; Annie Besant dichiarò che l’Avvento era cominciato.
Krishnamurti stesso, non aveva dubbi: «Egli è venuto e nessuno di noi può metterlo in dubbio»57 disse ai membri dell’Ordine della Stella. Poi continuò: «Egli ha aperto i nostri occhi e ora possiamo vedere le stelle lucenti e il cielo azzurro. Certo potremmo vacillare, ma noi abbiamo veduto e conosciamo la gloria».58
A partire da quel giorno egli si sentì completamente diverso e si paragonò a un vaso di cristallo, «un’ampolla che è stata lavata a fondo, in cui ogni persona al mondo può mettere un bel fiore e il fiore vivrà nel vaso e non morirà mai».59 La sua percezione del corpo era totalmente impersonale, si sentiva un guscio, e l’intera esperienza era stata vissuta in dissociazione da se stesso.
Il successivo raduno dell’Ordine era previsto nel luglio 1925 al castello di Erde. Duemila persone accorsero piene d’aspettativa ed emozione. Ogni sera, Krishnamurti, intonando un canto ad Agni, dio del fuoco, dava alle fiamme un’immensa piramide di legna al centro del campo. Fu proprio in quest’atmosfera che, la sera del 27 luglio, egli prese a parlare nuovamente in prima persona.
«Vorrei chiedervi di venire a guardare attraverso la mia finestra, che vi dischiuderà il mio paradiso […]. Allora vedrete ciò che ha valore non è che cosa fate, che cosa leggete, quello che gli altri dicono che siete o che non siete, ma che abbiate l’intenso desiderio di entrare nella dimora della Verità[…]. Vorrei che voi la […] sentiste […] e non che mi diciate:
‘Oh, tu sei diverso, tu sei in cima alla montagna, tu sei un mistico’. Date di me delle definizioni e con le vostre parole oscurate la mia Verità. Io non voglio che rompiate i legami con tutto quello che credete, non voglio che rinneghiate la vostra natura. Non voglio che facciate cose che non sentite come giuste. Ma c’è qualcuno di voi felice? C’è fra di voi qualcuno che ha assaporato l’eternità?»60
«Appartengo a tutti, a tutti coloro che amano veramente, a tutti quelli che stanno soffrendo.
«E se volete camminare, dovete camminare con me.
«Se volete comprendere, dovete guardare attraverso la mia mente.
«Se volete sentire, dovete guardare attraverso il mio cuore.
«E poiché io amo realmente, voglio che voi amiate.
«Poiché sento davvero, voglio che voi sentiate.
«Poiché mi è cara ogni cosa, voglio che voi consideriate cara ogni cosa.
«Poiché voglio proteggere, voi dovreste proteggere.
«Questa è la sola vita degna di essere vissuta, e la sola Felicità degna di essere posseduta!»61
Erano parole senza esitazione e piene d’incanto. Tutto avvenne in modo spontaneo, ma alcuni fra i capi della Chiesa cattolica liberale biasimavano Krishna affermando che non aveva seguito la giusta direzione. Tuttavia Annie Besant e la maggior parte dei membri dell’Ordine erano certi che il Maestro del Mondo era disceso. Ora, la denominazione dell’Ordine della Stella d’Oriente non era più appropriata e fu mutata in Ordine della Stella, un’organizzazione priva di credi, dogmi o sistemi di fede. Gli obiettivi vennero ridotti a due: raccogliere tutti coloro che credono nella presenza del Maestro del Mondo e collaborare con Lui per realizzare il Suo ideale per l’umanità.
Alla fine dell’estate Krishna partì con la Besant per far ritorno a Ojai da cui mancava da quasi un anno. Qui il ‘processo’ ricominciò e si aprì una fase di intensa ispirazione, che sarebbe durata fino al 1927. Krishna, spesso, in momenti di trasporto mistico, affermava di essere uno con l’Amato e sentiva un forte impulso a scrivere in versi. Tuttavia non si trattava di un punto d’arrivo.
«Conosco il mio destino […]. So con certezza e cognizione che mi sto fondendo nella coscienza dell’Unico Maestro e che Egli mi riempirà completamente. Inoltre sento e percepisco che la mia coppa è colma fino quasi all’orlo e presto traboccherà. Aspiro a fare e farò tutti felici.»62
Grandi trasformazioni erano avvenute in lui negli ultimi anni e ora provava una felicità che niente avrebbe potuto portargli via. Fino a quel momento egli aveva solo intravisto il suo compito, ora era certo che il suo destino e desiderio era di rendere tutti felici. Krishna non aveva dubbi sul fatto che tutti potevano raggiungere la sua estasi se solo avessero cercato, allora esortava i suoi ascoltatori a sforzarsi, ad aspirare alla più alta spiritualità con inderogabile volontà e disciplina. Insisteva, poi, sull’importanza di comprendere con la propria mente e di non accettare ciò che veniva autorevolmente affermato.
«In tutta questa vita e in particolare negli ultimi mesi io ho lottato per essere libero […], libero dai miei amici, dai miei libri, dai miei rapporti di lavoro. Voi dovete lottare per la stessa libertà. Dev’esserci una rivoluzione continua dentro di voi. Tenete costantemente uno specchio davanti a voi e, se vi scorgete qualcosa che è indegno dell’ideale che di voi vi siete creati, cambiatelo […]. Non dovete elevarmi ad autorità. Io posso essere la porta, ma siete voi che dovete passarci attraverso e trovare la libertà che sta dall’altra parte […]. Vorrei poter inventare una nuova lingua, ma poiché non posso mi piacerebbe distruggere il vostro vecchio vocabolario e il vostro vecchio modo di pensare. Nessuno può darvi la liberazione, dovete trovarla dentro, ma poiché io l’ho trovata vi mostrerò la strada […]. La liberazione non è per pochi, i prescelti, gli eletti.»63
I capi della Teosofia e della Chiesa cattolica liberale tremavano. Krishna aveva già affermato la vacuità dei rituali, ma ora metteva in dubbio la loro stessa autorità e quella gerarchia occulta che pazientemente avevano costruito. Anche i Maestri vacillavano nell’alto dei loro cieli. Insicurezza e dubbio pian piano presero il posto dell’eccitazione per l’Avvento. Krishnamurti era pienamente consapevole della situazione e tentò ancora una volta di chiarire il suo pensiero: «Quando ho cominciato a parlare da me stesso mi sono trovato in contestazione. Non mi appagava alcun insegnamento, alcuna autorità»64 disse e spiegò come da questo sorse in lui la necessità di scoprire da solo che cosa fosse il Maestro universale. Ma non era abbastanza, come rivelavano gli sguardi di fronte a lui, e così continuò.
«Quando ero bambino ero solito vedere Sri Krishna, con il flauto, come lo raffigurano gli indiani, poiché mia madre era devota di Sri Krishna […]. Quando divenni più grande e conobbi il vescovo Leadbeater e la Società teosofica, cominciai a vedere il Maestro K.H. – ancora nella forma che mi fu proposta, la realtà dal loro punto di vista – e così per me non ci fu altro che il Maestro K.H. Più avanti ancora, crescendo, cominciai a vedere il Signore Maitreya. Questo è stato due anni fa, e lo vedevo costantemente nella forma messami davanti […]. Ultimamente è Buddha che ho preso a vedere di continuo ed essere con Lui è diventata la mia felicità e il massimo della mia beatitudine. Mi è stato domandato che cosa intendo con ‘Amato’. Darò un significato, una valutazione, a cui darete l’interpretazione che vorrete. Per me Amato è tutto: è Sri Krishna, è il Maestro K.H., è il Signore Maitreya, è Buddha e insieme è qualcosa che va oltre tutte queste forme. Quello che vi preoccupa è sapere se esista un individuo come il Maestro del Mondo che si è manifestato nel corpo di una certa persona, Krishnamurti; ma nel mondo questo non interessa a nessuno. Mi dispiace dovermi spiegare, ma non ho scelta. Volevo essere il più vago possibile e l’ho messa in questi termini. Il mio Amato è i cieli aperti, il fiore, ogni essere umano […]. Finché non ho potuto dire con certezza, senza essere indebitamente entusiasta, né esagerare per convincere gli altri, che ero una cosa sola con il mio Amato, non ho mai parlato. Ho parlato di cose vaghe e generali, a cui tutti aspirano. Non ho mai detto: io sono il Signore del Mondo; ma ora che sento di essere uno con il mio Amato lo affermo, non per imporre la mia autorità su di voi, non per convincervi della mia grandezza, né della grandezza del Signore del Mondo, e neanche della bellezza della vita, ma semplicemente per risvegliare nei vostri cuori e menti il desiderio di scoprire la Verità. Se dico, e lo dico, che sono uno con l’Amato è perché lo sento e lo so. Ho trovato quello a cui aspiravo, mi sono fuso con esso al punto che d’ora in poi non ci sarà separazione, perché i miei pensieri, i miei desideri, i miei intenti, quelli dell’io individuale, sono stati distrutti[…]. Sono come il fiore che offre il suo profumo all’aria del mattino. Non si cura di chi stia passando […].
«Siete stati legati, fino a ora, all’autorità dei due Protettori dell’Ordine (Annie Besant e Leadbeater, N.d.A.) e da quello che vi dicevano altri per arrivare alla Verità, mentre la Verità è dentro di voi […]. Non ha senso chiedermi chi sia l’Amato. A che serve spiegare? Poiché non capirete l’Amato finché non riuscirete a vederlo in ogni animale, in ogni filo d’erba, in ogni persona che soffre, in ogni essere.»65
L’immagine muta che per tanti anni era stata adorata e interpretata a seconda del bisogno ora prendeva vita e quello che diceva lasciava senza parole. Il pensiero di Krishnamurti cominciava a delinearsi con chiarezza e forza maggiori. A ogni discorso le sue parole, sempre più lontane dal compromesso, si ripulivano da immagini estatiche. Mai stanco, parlava e viaggiava senza sosta. Tornato in India nell’ottobre del 1927, il ‘processo’ riprese sotto forma di costante dolore al capo. Tuttavia tenne numerose conferenze, accolto da una roboante venerazione indiana; anche Annie Besant si era dichiarata sua discepola. Krishna era a disagio e sempre più intransigente verso la cieca fede che lo circondava.
Il conflitto con le autorità della Teosofia si manifestava ora in tutta la sua gravità. L’atmosfera all’affollatissimo raduno di Erde nell’agosto 1928 era carica di tensione. Krishna, sovrastato dalle domande dei molti convenuti, fu più chiaro che mai.
«Affermo nuovamente di non avere discepoli. Ognuno di voi è discepolo della Verità, se la comprende; la Verità non segue le persone. Essa non dà la speranza, fornisce la comprensione […]. Non c’è alcuna comprensione nel culto della personalità. Continuo a sostenere che i vari rituali sono superflui per la crescita spirituale […]. Se siete in cerca della Verità dovete andare fuori, lontano dalle limitazioni della mente e del cuore, e là trovarla, scoprire la Verità che è dentro di voi. Io affermo che la Liberazione può essere raggiunta a ogni stadio dell’evoluzione da un uomo che comprenda, e che il culto dei gradi che voi perseguite non è essenziale […]. Mi rifiuto di essere la vostra stampella. Non ho intenzione di lasciarmi ingabbiare per essere adorato da voi. […]. Ho detto che esiste unicamente il Dio che si manifesta in voi […] ma non userò la parola Dio […] preferisco chiamarlo Vita […]. Naturalmente bene e male non esistono. Il bene è ciò che non temete e il male è ciò di cui avete paura. Per cui se distruggete la paura siete realizzati spiritualmente […]. Quando siete innamorati della vita, e ponete tale amore al di sopra di ogni altra cosa, e giudicate attraverso questo amore, e non in base alla vostra paura, ecco che quel ristagno che voi definite moralità scompare[…] non curatevi di sapere chi sono; non lo saprete mai[…]. Credete che la Verità abbia qualcosa a che fare con quello che pensate io sia? Non vi interessa la Verità, ma il recipiente che la contiene […]. Bevete l’acqua, se questa è pura; io vi dico che ho l’acqua chiara; ho il balsamo che purifica e risana; e voi mi chiedete: ‘Chi sei?’ Io sono ogni cosa perché sono la Vita.»66
La divisione con la Società teosofica era ormai irrecuperabile; ora che le sue parole erano scomode veniva accusato di essere influenzato da questo o da quello. Egli apertamente dichiarò che se l’Ordine della Stella si fosse arrogato il diritto di essere il detentore della Verità, l’avrebbe abolito. 

Note
23. M. Lutyens La vita e la morte di Krishnamurti, cit., p. 50.
24. E. Blau Krishnamurti: 100 Years, cit., p. 32, trad. dell’autrice.
25. Ivi, p. 32.
26. M. Lutyens La vita e la morte di Krishnamurti, cit., p. 51.
27. E. Blau Krishnamurti: 100 Years, cit., p. 32, trad. dell’autrice.
28. M. Lutyens La vita e la morte di Krishnamurti, cit., p. 51.
29. E. Blau Krishnamurti: 100 Years, cit., p. 32, trad. dell’autrice.
30. M. Lutyens La vita e la morte di Krishnamurti, cit., p. 55.
31. Ivi, p. 52.
32. E. Blau Krishnamurti: 100 Years, cit., pp. 32-33, trad. dell’autrice.
33. Ivi, p. 33.
34. M. Lutyens La vita e la morte di Krishnamurti, cit., p. 53.
35. E. Blau Krishnamurti: 100 Years, cit., p. 33, trad. dell’autrice.
36. M. Lutyens La vita e la morte di Krishnamurti, cit., pp. 53-54.
37. M. Lutyens The Years of Awakening, John Murray, Londra, 1970, trad. dell’autrice.

38. M. Lutyens La vita e la morte di Krishnamurti, cit., p. 57.
39. Ibidem.
40. Ibidem.
41. Ibidem.
42. Ivi , p. 61.
43. Ibidem.
44. M. Lutyens The Years of Awakening, cit., trad. dell’autrice.
45. Ibidem.
46. M. Lutyens, La vita e la morte di Krishnamurti, cit., p. 62.
47. Ivi, p. 63.
48. A.J.G. Methorst- Kuiper Krishnamurti. Il suo pensiero, la sua missione, la sua poesia, cit., p. 18.
49. Ibidem.
50. Ibidem.
51. M. Lutyens La vita e la morte di Krishnamurti, cit., p. 65.
52. M. Lutyens The Years of Awakening, cit., trad. dell’autrice.
53. Ibidem.
54. A.J.G. Methorst-Kuiper Krishnamurti. Il suo pensiero, la sua missione, la sua poesia, cit., p. 21.
55. M. Lutyens La vita e la morte di Krishnamurti, cit., p. 72.
56. Ibidem.
57. A.J.G. Methorst-Kuiper Krishnamurti. Il suo pensiero, la sua missione, la sua poesia, cit., p. 27.
58. Ibidem.
59. M. Lutyens La vita e la morte di Krishnamurti, cit., p. 73.
60. The Pool of Wisdom, trad. dell’autrice.
61. Ibidem.
62. M. Lutyens The Years of Awakening, cit., trad. dell’autrice.
63. M. Lutyens La vita e la morte di Krishnamurti, cit., p. 79.
64. A.J.G. Methorst-Kuiper Krishnamurti. Il suo pensiero, la sua missione, la sua poesia, cit., p. 30.
65. Who brings the Truth, trad. dell’autrice.
66. Let understanding be the Law, trad. dell’autrice.