Haṃsa Libera Scuola di Hatha Yoga

Shila Morelli

KRISHNAMURTI

2. Da maestro a uomo
 

2.1 «Perché un fiore emana il suo profumo?»
 
Il 3 agosto 1929, Krishna sciolse l’Ordine della Stella con l’indimenticabile discorso di Ommen. Egli aveva raggiunto la «terra senza sentieri». Le parole di quel giorno hanno un immenso significato. Piccoli tratti d’inchiostro che tentano di saltare fuori dalla bianca carta per comunicare l’inesprimibile.
Seppur limitate dalla loro stessa natura, quelle frasi aprono porte di infiniti mondi, racchiudono l’essenza dell’insegnamento di Krishnamurti, la sua vita. In questa vastità che quasi disarma per semplicità d’espressione e contenuto, si rivelano punti d’arrivo, contemporaneamente inizi.
Krishnamurti aveva senza dubbio concluso un’epoca della sua vita. La dissoluzione dell’Ordine scioglieva l’ultimo nodo con idee e sovrastrutture che non gli appartenevano. Spezzava l’ultimo legame con un’identità che non era la sua. Il ragazzo trovato sulla spiaggia e allevato per essere il Maestro del Mondo riprendeva completamente possesso della sua vita e tornava a essere quello che era sempre stato: un uomo.
Sicuramente un uomo non ordinario, per il quale le numerose profezie di cui era stato oggetto si rivelarono vere in una forma inaspettata. Sarebbe riduttivo e superficiale considerare il suo gesto una mera reazione all’indottrinamento e alle numerose forme di violenza psicologica cui la Società teosofica l’aveva sottoposto. Krishnamurti era giunto dove termina il culto, e quel giorno a Ommen dispiegò un’azione, non una ribellione, l’atto finale di un percorso per certi versi misterioso: la sua esperienza. Piccoli e grandi passi, il ‘processo’, la morte del fratello, forse ogni attimo della sua vita o semplicemente la volontà di affrontarla portarono Krishna a una linea di confine e al suo superamento.
Qui c’era solo la Verità, nessuna forma d’attrazione poteva più esercitare la sua influenza su di lui, e il passato, quelle singole esperienze che forse gli avevano permesso di giungere fin lì, non aveva più spazio o utilità.
Lo scioglimento gettò nello sconforto centinaia di persone che si sentivano perse senza la leadership spirituale di Krishna. Leadbeater affermò che l’Avvento era malriuscito e anche Annie Besant probabilmente non capì. Era prevista la possibilità che il Maestro si rivelasse in maniera inaspettata, ma quello che stava succedendo andava al di là di ogni concepibile compromesso con gli insegnamenti teosofici. Il sentimento condiviso era incredulità e forte senso d’abbandono. Tuttavia questo era il risultato di una dipendenza oscurante.
Ciò che si legge e che stupisce nel discorso di dissoluzione è lo spazio che Krishnamurti lascia. Senza dubbio le sue parole tagliano drasticamente, ma solo il superfluo e il falso. C’è una volontà di comunicazione in lui che va sottolineata. Quante altre decisioni avrebbe potuto prendere? Tra le altre quella di abbandonare tutto senza alcuna spiegazione.
Egli chiarisce le ragioni della sua scelta, rivelandone l’inevitabilità. Non nega che possano essere create altre organizzazioni, ma esclude ogni suo coinvolgimento con esse. Afferma che lo scopo della sua vita è liberare l’uomo e in questo c’è un amore incondizionato che esclude ogni possibilità d’abbandono. La vita di Krishna dopo lo scioglimento dell’Ordine testimonia questa intenzione. Tutte le proprietà di cui era intestatario vennero restituite ai donatori.
Dopo un primo periodo di solitudine a Pine Cottege, continuò fino alla morte a parlare non solo a Ojai, Ommen e in India, ma in ogni parte del mondo. Le sue conferenze erano aperte a un pubblico eterogeneo, a chiunque fosse stato interessato al suo messaggio.
Perché Krishnamurti parlava? Perché questo incessante lavoro?
«Perché spreca il suo tempo a tenere discorsi in pubblico?» gli chiese un giorno un uomo. La risposta è di una bellezza assoluta: «Signore, perché un fiore emana il suo profumo? […]Io parlo perché non posso farne a meno. Non parlo con l’intenzione di aiutare gli altri. Equivarrebbe a mettersi in una posizione di superiorità» disse Krishna. «C’è una canzone nel mio cuore e continuerò a cantarla senza preoccuparmi se qualcuno si fermerà ad ascoltarmi» e continuò: «Un fiore sboccia perché questa è […] la sua realizzazione, la sua naturale espressione. Al fiore non importa che i passanti lo guardino con gioia o lo ignorino».1
Comunicare l’esperienza della sua vita, la Libertà, e incoraggiare gli uomini a scoprirla dentro di loro e da se stessi era la sua realizzazione, la sua ‘naturale espressione’. Questa interazione era anche un costante stimolo ad approfondire la sua esperienza; non si trattava di obiettivi a cui giungere, ma di un’energia che intrinsecamente sempre rinnova se stessa, un’«espansione senza tempo», «un movimento che non veniva da nessun luogo e non andava in nessun luogo».2
Parlare era la sua ragione d’essere, niente di più e niente di meno. Egli un giorno avrebbe detto: «La mia vita è stata programmata. Quello mi dirà quando morire. Dirà: ‘È finita’.
Quello deciderà della mia vita. Ma devo stare attento a non interferire con esso dicendo: ‘Terrò ancora due discorsi e poi basta’». E ancora: «Quando non parlerò più sarà finita».3
Fino all’inizio della Seconda guerra mondiale, Krishnamurti viaggiò da un capo all’altro del mondo tenendo conferenze e intrecciando una moltitudine di relazioni con le persone più diverse. Apparentemente la sua vita non aveva subito alcun mutamento nell’andamento esteriore, ma progressivamente si delineava in forma sempre più chiara il contenuto del suo insegnamento. La sua conoscenza del mondo s’intensificava grazie agli stimoli offerti dai continui incontri. Il suo insegnamento, ‘l’inesprimibile’, emergeva con sempre maggiore chiarezza e pulizia.
«Quanto più penso a ciò che ho ‘realizzato’, tanto più chiaramente posso esprimerlo e posso collaborare a costruire il ponte, ma questo richiede tempo […]» scriveva a Lady Emily negli anni Trenta «non hai idea di quanto sia difficile esprimere l’inesprimibile e ciò che si esprime non è la Verità».4
Se da un lato Krishnamurti affermava la futilità di esprimere l’inesprimibile, questo è tuttavia ciò che fece per tutta la vita. Si trattava di un tentativo di comunicazione non fine a se stesso. Probabilmente era parte del suo ‘profumo’, semplice espressione del suo esistere. Egli poneva al centro la Vita:
«Scavare nel presente, verso l’eternità», penetrare nella Verità dell’esistenza attraverso l’abbandono di tutti gli ostacoli, tutti i condizionamenti fatti d’idee, credi, tradizioni e schemi sociali che oscurano la mente e portano l’uomo a porre in essere solo reazioni e quindi a non vivere.
«Vedere la realtà porta a una cosa, e le opinioni, le spiegazionia un’altra. Vedere la realtà […] è tutto ciò che conta, e non il perché e il percome di essa. La spiegazione ha un significato minimo di fronte alla realtà.»5
Krishna era consapevole del tranello insito nell’identificazione con la parola e ne prendeva le distanze: «La parola non è la cosa, il simbolo non è il reale»6 era solito affermare. «Non ci sono limiti alle parole, ma la comunicazione è verbale e non verbale.
Ascoltare la parola è una cosa, ascoltare la ‘non-parola’ è un’altra» e continuava: «la prima è irrilevante, superficiale e porta all’inazione, la seconda è azione non frammentaria […]. Le parole hanno dato muri splendidi, ma non spazio».7
Krishnamurti aveva tuttavia trovato qualcosa che superava il limite del verbo: la negazione e il dialogo.
 
2.2 Negazione
 
Spesso Krishna nei suoi scritti e conferenze impiegava la ‘non affermazione’, ossia la negazione di ciò che non è. Questa non voleva essere un modo per arrivare a una definizione ma una finestra sull’oltre, uno stimolo alla comprensione intuitiva, all’essenza. La negazione conduce al di fuori degli schemi creati dalla mente, escludendo così una comprensione razionale basata su idee.
«L’essenza del pensiero è quello stato in cui non c’è pensiero. Per quanto lo si impegni in profondità e in ampiezza, il pensiero rimarrà sempre poco profondo, superficiale. L’inizio di quell’essenza è nella fine del pensiero. La fine del pensiero è negazione e ciò che è negativo non ha una strada positiva; non ci sono metodi, non ci sono sistemi per mettere fine al pensiero. Il metodo, il sistema, rappresentano un approccio positivo alla negazione e in questo modo il pensiero non potrà mai trovare la propria essenza. Esso deve cessare perché l’essenza sia. L’essenza dell’essere è il non essere, e per ‘vedere’ la profondità del non essere ci deve essere libertà dal divenire.
Non c’è libertà alcuna se c’è continuità e ciò che ha continuità è vincolato dal tempo. Ogni esperienza in cui ogni ‘fare esperienza’ è cessato non equivale alla paralisi della mente: al contrario, è la mente aggiuntiva, la mente accumulatrice che si dissolve. Poiché l’accumulazione è meccanica, è una ripetizione; la negazione finalizzata all’acquisizione e la pura acquisizione sono entrambe ripetitive e imitative. La mente che distrugge totalmente questo meccanismo accumulativo e difensivo è libera: a questo punto il far esperienza ha perso il suo significato.
Ora c’è solo la realtà e non il fare esperienza della realtà, l’opinione di essa, la sua valutazione, la sua bellezza e non bellezza […]. Il fare esperienza della realtà consiste nel negare, nell’evadere la realtà stessa. Sperimentare una realtà senza pensiero o sentimento è un evento profondo.»8
Krishna allude a una comprensione che superi il tempo, che escluda la dimensione entro cui il pensiero si muove.

2.3 Dialogo

Una sedia vuota al centro del palco. Passi leggeri e impercettibili seguiti da delicato profumo di sandalo. Silenzio di minuti. Uno sguardo che osserva la folla riunita, ascolta, poi le prime parole dal leggero accento indiano, come flusso senza origine in quel corpo esile. Mani che amplificano il significato disegnando raffinate geometrie nell’aria. Questa è l’immagine che accompagna il ricordo di chiunque abbia assistito a una conferenza di Krishnamurti.
Egli affrontava ogni discorso senza alcuna preparazione, senza avere la minima idea di ciò che andava a dire. Un puro messaggero che dava inizio al dialogo. Gli incontri a cui partecipava non possono essere definiti come dibattiti, discussioni o dispute intellettuali, nelle quali si mira a far emergere un punto di vista. L’approccio unico di Krishnamurti mira a esplorare, indagare, scoprire, annullando la distanza che separa oratore e ascoltatore; dissolve ogni forma di gerarchia e autorità.
Krishna stimolava i presenti con domande semplici ma fondamentali. Quegli stessi quesiti che un bambino innocentemente potrebbe porre ai propri genitori.
Il dialogo è un incontro, una forma di rapporto, al quale i partecipanti si avvicinano senza la pretesa di conoscere la verità. Insieme, senza competizione, condizionamento o identificazione con alcun punto di vista, si dà luogo a un’indagine. Le opinioni sono spesso frettolose e superficiali, ma il dialogo privo di obiettivi permette l’emergere di significati nascosti dove ha spazio solo l’amore per la comprensione. È un’esplorazione umile che indaga sul ‘ciò che è’ e trova il suo fondamento nell’osservazione e nell’ascolto. Un viaggio che si può intraprendere unicamente liberi dai bagagli d’idee, una ricerca individuale che non esclude l’interazione, ma in essa trova fondamento.
Le radici dell’insegnamento di Krishnamurti affondano nel dialogo; esso va concepito in maniera totale. Esce dalle sale conferenze per divenire un modo di rivolgersi a se stessi, a un altro uomo, a un animale, a un fiore, a ogni cosa. È contemporaneamente dentro e fuori. Una mente in dialogo è pura osservazione che implica ‘morte a se stessi’ e ingresso nella Vita. Accanto al dialogo, Krishna aveva sviluppato un linguaggio unico. Consapevole delle implicazioni che si nascondono dietro ogni parola, sceglieva con cura meticolosa ogni espressione per un’esposizione quanto più chiara e indipendente. Imbattendosi in un suo libro in lingua inglese, ci si rende presto conto della facilità sintattica e terminologica. Il linguaggio di Krishnamurti è razionale e cerca di annullare ogni distanza con l’interlocutore, spogliandosi di quella complessità che è spesso caratteristica delle grandi forme di pensiero.

2.4 Ancora in viaggio

I lunghi viaggi per il mondo condussero nuovamente Krishna in India nel 1933. Giunto ad Adyar egli vide Annie Besant per l’ultima volta. Sarebbe morta il 20 settembre. Leadbeater la seguì l’anno successivo. In questo periodo venne aperto il quartier generale di Krishnamurti in India, Vasanta Vihar, collocato nei pressi del fiume Adyar e vicino alla sede della Società teosofica.
Nel 1935, Krishna iniziò un tour di otto mesi che lo portò ad attraversare in lungo e in largo il Sudamerica. Folle immense si raccolsero in sua presenza. L’entusiasmo era alle stelle. Qui egli espresse per la prima volta pubblicamente la sua visione sul sesso, eterno dilemma dell’uomo. Affermò che esso è unimpulso biologico, naturale, che esiste indipendentemente dall’oggetto del desiderio: diventa un problema in assenza dell’amore. Questo, come il sesso, è slegato dalle circostanze, ma esprime la sua naturalezza in altro modo.
Krishnamurti diceva che quando la mente separa amore e sesso, quando quest’ultimo si riduce a mera sensazione o soddisfazione affettiva e psicologica, sorgono le complicazioni: «Soltando quando abbiamo perso il senso dell’autentico affetto, di quell’amore profondo che non conosce possessività, soltanto allora sorge il problema del sesso».9
In un mondo in cui gli uomini si sono trasformati in macchine e contenitori d’idee, l’atto sessuale, che porta a un completo abbandono di sé, a un distacco dalla propria esistenza fatta di paure e ansie, è l’ultimo atto creativo che rimane. Proprio per questo motivo risulta così sopravvalutato. Krishna avrebbe anche detto in seguito: «Il sesso gioca un ruolo importante nella nostra vita perché è forse la prima profonda esperienza diretta che si fa». Poi continuò: «Si è tanto ostacolati[…], così limitati, che ci resta soltanto questo rapporto in cui ci sia libertà e intensità. Ma se ci fosse ovunque libertà allora non ci sarebbe questa bramosia e un tale problema non sussisterebbe».10
Egli avrebbe poi definito la castità come la completa libertà da immagini, la libertà dal meccanismo-reazione della mente responsabile della loro creazione.
In questo periodo Krishna sviluppò e sperimentò la chiaroveggenza e l’abilità di guarire le persone. Egli tuttavia mise raramente in pratica questi poteri: non voleva che le persone si rivolgessero a lui come a un guaritore.
Se da un lato riteneva la chiaroveggenza una vera e propria intrusione nella vita delle persone, dall’altro sosteneva che la comprensione delle cause di una malattia è molto più efficace di qualsiasi guarigione: «Chiunque può guarire il corpo, ma solo voi potete guarire la vostra mente»11 diceva, sottolineando come lo stato della mente influisca sulla salute. «La cosa più importante è togliere di mezzo la confusione che è dentro di voi e far sì che nella vostra mente ci sia ordine.»12
 
2.5 La guerra

Nel 1939, dopo l’invasione della Polonia da parte dell’esercito nazista, il mondo intero sembrava deciso a sprofondare in un baratro di orrori. La guerra, che inizialmente aveva colpito soprattutto l’Europa, coinvolse velocemente l’intero pianeta dopo l’attacco giapponese del 1941 a Pearl Harbor. Si combatteva ovunque e anche i pochi Paesi estranei alla guerra avevano reparti impegnati nei combattimenti. Sembrava che le forze del male avessero preso il sopravvento, guidate dalla truce e oscura ideologia nazista e sostenute da mezzi di distruzione quali non si erano mai visti. L’abominio dei campi di concentramento e gli effetti della bomba atomica erano ben al di là di ciò che l’uomo aveva anche solo osato pensare.
La Seconda guerra mondiale, le ideologie e i nazionalismi così accesi in quell’epoca approfondirono l’osservazione di Krishnamurti sull’individuo e la società. Questi naturalmente era un pacifista convinto e non credeva nella politica. Egli riteneva gli orrori della guerra la proiezione amplificata delle malattie dell’uomo, ossia avidità, paura, invidia, stupidità e tutte le forme di violenza. Non faceva distinzione fra nazismo, fascismo, imperialismo britannico e nazionalismo indiano.
Tutte le guerre del mondo e ogni forma di miseria umana erano indistintamente il risultato dello spirito di divisione latente nelle idee stesse di razza, nazionalità, proprietà e religione.
La sua visione lasciava chi lo ascoltava senza parole. Molti lo biasimavano, ritenendo la sua posizione negativa e indifferente a quella sofferenza che sconvolgeva ogni uomo della terra. La sua risposta tagliente era invece il risultato di un’attenta osservazione della natura umana.
«Voi che strepitate contro il mio atteggiamento negativo, che cosa state facendo per cancellare le cause della guerra stessa? Sto parlando della vera causa di tutte le guerre, non solo della guerra immediata che inevitabilmente terrorizza, nonostante ogni nazione continui ad accumulare armamenti. Finché dura lo spirito del nazionalismo, lo spirito delle distinzioni di classe, della particolarità e dell’ossessività, ci dovrà essere guerra. Se state davvero affrontando il problema della guerra, come dovreste fare adesso, dovete prendere una risoluzione definitiva, un’azione positiva e definita; e con la vostra azione aiuterete a risvegliare l’intelligenza, che è il solo rimedio alla guerra. Ma per farlo dovete liberarvi dalla malattia ‘del mio dio, del mio Paese, della mia famiglia, della mia casa’.»13
Ciò a cui Krishnamurti alludeva era una completa trasformazione della natura umana, una rivoluzione: la pace nel mondo poteva realizzarsi unicamente a partire da una pace interiore. Egli non riteneva la violenza, in nessuna delle sue forme, utile per ripristinare uno stato di pace; questa sarebbe inevitabilmente stata apparente: «Io non penso che un male qualsiasi possa essere superato con la brutalità, la tortura o l’assoggettamento» diceva in una lettera a Lady Emily. «Il male può essere superato da qualcosa che non sia il risultato del male. La guerra è il risultato della nostra cosiddetta pace che è una serie di brutalità, atti di sfruttamento e di angustia mentale». E continuava: «senza cambiare la nostra vita quotidiana non possiamo avere la pace, e la guerra è l’espressione macroscopica della nostra condotta quotidiana».14
Gli anni del conflitto mondiale furono un periodo di ritiro forzato per Krishnamurti. Egli li trascorse interamente a Ojai, in California, dove si dedicò alla scrittura, alle passeggiate e a numerose nuove attività fra le quali la cura dell’orto, il giardinaggio e l’allevamento delle api. Le apparizioni pubbliche erano completamente cessate, ma egli continuava a parlare ai numerosi amici e visitatori che andavano a trovarlo. Fu in questi anni che si approfondì la sua conoscenza con Aldous Huxley, incontrato per la prima volta nella primavera del 1938. Fra i due uomini si sviluppò un’intensa amicizia. Nel passo seguente, Krishna descrive il loro rapporto.
«Era un uomo meraviglioso, sapeva parlare di musica, moderna e classica, era in grado di spiegare dettagliatamente la scienza e i suoi effetti sulla civiltà moderna, e ovviamente aveva una forte familiarità con le filosofie […]. Passeggiare con lui era una gioia. Dissertava sui fiori ai lati della strada e, nonostante non vedesse bene, ogni volta che sulle colline della California ci passava vicino un animale, lui ne diceva il nome, e si soffermava sulla natura distruttiva e la violenza della civilizzazione moderna. Krishnamurti lo aiutava ad attraversare i torrenti e le pozze d’acqua. Questi due avevano una strana relazione, affettuosa, rispettosa e apparentemente non verbale. Spesso sedevano l’uno vicino all’altro senza dire una parola.»15
La reciproca compagnia era uno stimolo continuo per due personalità così differenti. Da un lato lo scrittore affermato, l’uomo dalle immense conoscenze che avrebbe dato tutta la sua vita per un’esperienza mistica non indotta da droghe; dall’altro l’oratore razionale che non aveva letto quasi nulla, ma che aveva una conoscenza profonda dell’esistenza.
Huxley incitava Krishna a scrivere; questi, seguendo il consiglio, compose degli articoli che riportano alcuni fra i più significativi dialoghi dell’oratore con i numerosi visitatori. Hanno un valore profondo poiché propongono l’insegnamento di Krishnamurti in relazione alle più disparate questioni pratiche. Inoltre, offrono testimonianza del suo sguardo: le osservazioni di Krishna su luoghi e persone aprono ogni dialogo. I numerosi episodi in epoca successiva vennero raccolti in un volume dal titolo Commentaries on Living, pubblicato nel 1956.
Era un periodo particolarmente fertile sotto il profilo della scrittura. Nonostante Krishnamurti abbia lasciato un’eredità di decine e decine di libri, pochi fra questi sono scritti da lui; per la maggior parte si tratta di trascrizioni dei suoi discorsi.
Nel 1953 uscì Education and the Significance of Life, un prezioso volumetto in cui Krishnamurti affronta la questione dell’educazione, un tema che gli fu sempre caro e che lo portò a fondare numerose scuole.
L’anno seguente Huxley contribuì a far conoscere Krishnamurti al mondo scrivendo un’introduzione al libro ‘La prima e ultima libertà’. Nella sua presentazione si legge: «In questo volume, che raccoglie una scelta degli scritti e delle conversazioni registrate di Krishnamurti, il lettore troverà un’impostazione chiara e moderna del problema fondamentale dell’uomo e insieme un invito a risolverlo nell’unico modo in cui esso è solubile: da sé e per se stessi».16
Si tratta del primo vero manifesto dell’insegnamento di Krishnamurti.
Huxley non fu l’unica personalità nota che Krishnamurti incontrò nel corso della sua vita. Negli anni Trenta, egli aveva avuto modo di conoscere sia Gandhi sia Nerhu, le due maggiori figure nella storia dell’indipendenza indiana.
Finita la guerra Krishna riprese, con rinnovato vigore, tutte le sue attività e nel 1947 fece ritorno nel suo Paese natale. Pochi mesi prima, nella notte fra il 14 e il 15 agosto, Nerhu, in veste di primo ministro, aveva annunciato con memorabili parole che l’India era una nazione indipendente: «Allo scoccare della mezzanotte, quando il mondo dormirà, l’India si sveglierà alla vita e alla libertà».17
Nello stesso istante anche il musulmano Pakistan prendeva vita. L’India britannica era stata smembrata in due Paesi. I confini fra le neonate nazioni erano stati tracciati su una piccola cartina da un funzionario inglese, che poco conosceva della realtà che stava imprudentemente manipolando. Gli effetti della partizione furono tremendi. Improvvisamente milioni di persone fra sikh, hindu e musulmani lasciarono le loro case nel timore di ritrovarsi in un Paese avverso alla loro fede religiosa. Ben presto odio e razzismo presero il sopravvento.
Lo scenario che si propose agli occhi di Krishnamurti non era quello di una gioiosa nazione appena sorta dopo interminabili sforzi. L’India era teatro di orrendi massacri che, originatisi nel Panjab, al confine con il Pakistan, si erano rapidamente diffusi in tutto il Paese.
Qualche mese dopo, il 30 gennaio 1948, il mondo piangeva Gandhi, assassinato da un fanatico induista a Nuova Delhi. Quella stessa sera Nerhu in un discorso alla nazione disse: «La luce è uscita dalle nostre vite e vi è oscurità dappertutto».18
La situazione delicata in cui versava l’India non fermò Krishnamurti, che si spostava continuamente per tenere conferenze e colloqui privati. Egli incontrò anche un provato Nerhu; i due uomini dialogarono a lungo su temi quali la trasformazione sociale e la giusta azione. Sembra che il politico indiano confidasse a Krishna le sue angosce; certo è che fra i due si instaurò un affettuoso rapporto.
La permanenza nel Paese diede a Krishnamurti la possibilità di conoscere nuove persone, amici e collaboratori che l’avrebbero affiancato nella sua attività. Fra questi le sorelle Pupul Jayakar, sua futura biografa, e Nandini Metha, testimoni di quella che probabilmente fu una ripresa del ‘processo’.

2.6 «Puoi fermare la nascita una volta che è iniziata?»

In maggio, Krishna si recò in compagnia delle sorelle Jayakar e alcuni amici, a Ooty, vicino Madras, per un periodo di riposo dopo le incessanti attività dell’ultimo periodo.
Una sera, durante una delle passeggiate che era solito fare quotidianamente, Krishna incominciò a provare un forte dolore alla nuca. Si sentiva male e chiese a Pupul e Nandini, che erano con lui, di accompagnarlo a casa e restargli accanto per prendersi cura del ‘corpo’.
Qui giunti Krishna, con il volto sconvolto dal dolore, disse che stava ‘andando via’. Ben presto incominciò a parlare un’altra entità dalla voce di bambino, che prese a raccontare di Nitya. Talvolta questa chiedeva a Krishna di ritornare. Il corpo, intanto, si contorceva sul letto. A un certo punto, la voce di bambino fece accenno alla morte, a come fosse vicina per Krishna, infine annunciò che questi stava tornando preceduto da entità celesti: «Non li vedete tutti con lui – immacolati, intatti, puri – adesso che loro sono qui, lui arriverà. Io sono così stanco, ma lui è come un uccello, sempre fresco».19
A quel punto Krishna fece ritorno.
Episodi simili si susseguirono ininterrottamente per tre settimane, sempre di sera; tutto iniziava con forti spasmi di dolore e tremori. Pupul e Nandini erano sempre presenti.
Un giorno di fine maggio, Krishna, dopo essere ‘andato via’, disse: «Quel dolore rende il mio corpo come l’acciaio e, oh, così flessibile, così duttile, senza un pensiero. È come se venisse vagliato e lustrato».20 Pupul gli chiese se poteva porre fine alla pena e Krishna le rispose: «Tu hai avuto un figlio. Puoi fermare la nascita una volta che è iniziata?».21
Le strane esperienze coinvolgevano diverse entità, come negli episodi del ‘processo’ che si erano verificati a Ojai, Ehrwald e Pergine. Il corpo lasciato a sé, quello che Nitya definiva ‘elementare fisico’, l’io-Krishna che andava e veniva, la presenza dalla voce di bambino e un imprecisato ‘loro’ erano tutti presenti. Successivamente anche un misterioso ‘lui’ si sarebbe unito al gruppo.
In giugno, Krishna, di ritorno da una passeggiata, incominciò a lamentarsi che era stato bruciato, che dentro era stato ferito e disse: «Sono venuti e lo hanno coperto di foglie. Sapete, non l’avreste visto domani. Quasi non tornò»22 e si tastava il corpo per vedere se era tutto lì. «Devo tornare indietro per scoprire che cosa è accaduto durante la passeggiata» disse e continuò: «qualcosa è accaduto e loro sono tornati precipitosamente, ma io non so se sono tornato. Possono esserci pezzetti di me rimasti lungo la strada».23
Il giorno seguente, dopo un’uscita solitaria, disse: «Sapete, ho scoperto cos’è successo […]. Lui è venuto completamente e ha preso ogni cosa nelle sue mani. È per questo che non sapevo se ero tornato. Non sapevo niente. Mi hanno bruciato in modo che ci possa essere un maggior vuoto. Vogliono vedere quanto di lui può uscirne indenne».24
Le sorelle furono le uniche testimoni di quegli avvenimenti; Pupul Jayakar, nelle sue descrizioni, parla di «qualcosa di palpitante nell’atmosfera»25, un’energia che riempiva la stanza quando Krishna ‘andava via’.
Sembrava che quel processo di trasformazione del suo corpo, che era stato avviato nel 1922, non fosse ancora terminato. Egli non poteva interromperlo, così come non si può fermare la nascita una volta che è iniziata. Krishna era sicuro che il corpo veniva protetto e, pur non ricordando nulla, era consapevole che durante queste esperienze si avvicinava sempre di più alla morte. Sapeva che sarebbe potuto scivolare via facilmente. La morte divenne ben presto un tema centrale del suo insegnamento: «Quella di entrare nella casa della morte mentre si è vivi non è solo un’idea morbosa, è l’unica soluzione» diceva. Krishna domandava ai suoi interlocutori: «È capace la mente di morire continuamente a tutto ciò che essa sperimenta, senza mai accumulare?»26
La morte del sé, in ogni istante, era per Krishnamurti la soluzione all’accumulo di memoria ed esperienza che, creando immagini nella mente, è la causa di sofferenza e dolore dell’uomo.
Anche durante i numerosi episodi di malattia che lo colpirono più o meno intensamente durante tutta la vita, egli si avvicinava alla morte come durante il ‘processo’. Soltanto la consapevolezza di quello che doveva ancora fare, il suo «andare in giro per il mondo a cercare di indicare la Verità»27, gli permettevadi non andare completamente via.
Durante gli anni Cinquanta, Krishna approfondì la conoscenza con Vanda Scaravelli, incontrata nel 1937. Il Leccio, la villa di quest’ultima nei dintorni di Fiesole, divenne luogo di riposo e rifugio fra uno spostamento e l’altro. In quel periodo egli, esausto dai viaggi, pensò alla possibilità di tenere dei raduni annuali. A partire dal 1961 e per i successivi ventiquattro anni, Saanen, in Svizzera, fu la sede di questi incontri. Durante il primo raduno Krishnamurti vide una ripresa violenta del ‘processo’. Questa volta c’era Vanda al suo fianco:
«Nel viso di K. ci fu una trasformazione. I suoi occhi divennero più vasti, grandi e profondi, ed ebbero uno sguardo sovraumano, che andava al di là di ogni spazio possibile».28
Anche lei percepì un’energia potente: «Fu come se ci fosse una presenza, un potere appartenente a un’altra dimensione. C’era un’inspiegabile sensazione di vuoto e di pienezza al tempo stesso».29
Poco dopo queste esperienze, Krishnamurti incominciò ad annotare resoconti e descrizioni dei suoi stati di coscienza, che egli definiva ‘Benedizione’, ‘Vastità’, ‘Immensità’. Questi vennero raccolti in un libro dal titolo Taccuino e offrono la visione personale di Krishnamurti nelle sue esperienze conl’Altro.
Krishna parlava senza sosta e insisteva sulla necessità di una radicale trasformazione della mente umana. Partenze e arrivi si susseguirono così rapidamente nei mesi seguenti che, quando Krishna giunse a Roma nel 1962, fu bloccato dalla febbre alta. Vanda lo aspettava e si prese cura di lui. A un certo punto, egli cominciò a parlare in terza persona; la voce questa volta non aveva subito modificazioni.
«Non lasciarmi. Lui è andato lontano, lontanissimo. Ti è stato detto di aver cura di lui. Non avrebbe dovuto andare via. Avresti dovuto dirglielo. A tavola lui non è del tutto presente.
Devi parlargli con uno sguardo, in modo che gli altri non vedano, e lui capirà. Un bel viso a guardarsi. Quelle ciglia sono sprecate per un uomo. Perché non le prendi tu? Quel viso è stato scolpito con grande attenzione. Hanno lavorato a lungo per molti secoli, per produrre un corpo come quello. Lo conosci? Non puoi conoscerlo. Come puoi conoscere l’acqua che scorre? Ascolta. Non fare domande. Lui deve amarti se ti permette di accostarti tanto a lui. Stai molto attento a non lasciare che il suo corpo venga toccato da altri. Tu sai come si tratta. Vuole che non ti accada nulla. Non esagerare in nessun modo. Tutto quel viaggiare è stato troppo per lui. E quella gente sull’aereo che fumava, e quel continuo fare le valigie, arrivare e ripartire, è stato troppo per il corpo. Voleva arrivare a Roma per quella signora (Vanda, N.d.A.). La conosci? Voleva fare presto per lei. Sta male se lei non sta bene. Tutto quel viaggiare […] no, non mi sto lamentando. Vedi come è puro. Non concede nulla a se stesso. Il corpo è stato tutto questo tempo sull’orlo di un precipizio. È stato conservato, è stato ferocemente custodito tutti questi mesi e se si lascia andare, egli andrà molto lontano. La morte è vicina. Glielo avevo detto che era troppo. Quando è in quegli aeroporti lui è solo. Non è del tutto lì. Tutta quella povertà in India, e la gente che muore. Terribile. Anche questo corpo sarebbe morto, se non fosse stato trovato. E tutta quella sporcizia dovunque. Lui è così pulito. Il suo corpo è mantenuto così pulito. Lui lo lava con tanta cura. Questa mattina voleva dirti qualcosa. Non bloccarlo. Lui deve amarti. Diglielo. Prendi una matita, digli: ‘La morte è sempre lì, vicinissima a te, a proteggerti. E quando ti riparerai, ecco che morirai’».30
Nei mesi successivi, la salute di Krishna era molto provata. Oltre alla febbre egli ebbe un attacco di orecchioni e un problema al rene. Poi ripresero gli spostamenti e nuovi incontri.
In Inghilterra trascorse un po’ di tempo con l’ottantasettenne Lady Emily, che avrebbe lasciato il corpo nel 1964. In Italia, Vanda gli presentò molti personaggi famosi, fra cui Federico Fellini, Alberto Moravia e Carlo Levi. Egli vide anche per l’ultima volta Aldous Huxley, che sarebbe morto di lì a poco.
Sempre negli anni Sessanta, Krishnamurti conobbe due persone che gli sarebbero state molto vicine negli anni successivi: Alain Naudé, pianista sudafricano e professore all’università di Pretoria e l’americana Mary Zimbalist Taylor, vedova di un famoso produttore cinematografico.

2.7 Anni ’60 e ’70: tra rivoluzione culturale ed evoluzione della scienza

Dalla seconda metà degli anni Sessanta si era sviluppato in Occidente un nuovo interesse per le filosofie e le culture orientali, in particolare dell’India. I più famosi araldi di questo indirizzo culturale furono i Beatles. In particolare, John Lennon e George Harrison. I Beatles, durante un viaggio nello stato indiano, erano entrati in contatto con il Guru Maharishi Mahesh Yogi, creatore della tecnica meditativa MT (meditazione trascendentale), diventando suoi seguaci.
L’immensa popolarità del gruppo inglese amplificò l’interesse per la filosofia indiana e orientale in generale e per l’MT, che da quel momento trovò diffusione in tutti i Paesi del mondo.
I rinnovati contatti tra Oriente e Occidente, in particolare fra India e Stati Uniti, avevano in realtà un’origine più antica che trovò il suo primo effettivo consolidamento nella partecipazione di Vivekananda al Congresso delle religioni, tenuto a Chicago l’11 settembre 1893. Inoltre, la permanenza di molti militari americani in Giappone dopo la Seconda guerra mondiale e lo sviluppo di scambi commerciali e culturali fra i due Paesi aveva stimolato in America un profondo interesse per l’Oriente, in particolare per la filosofia Zen.
Già verso la metà degli anni Cinquanta, aveva trovato grande eco tra i giovani americani il romanzo ‘Sulla strada’ di Jack Kerouac, nel quale si concretizzava il disagio giovanile rispetto ai valori tradizionali e la ricerca di una risposta spiritualmente più adeguata attraverso il contatto con le filosofie orientali. Lo stesso autore, divenuto praticante buddhista, scrisse alcuni anni più tardi ‘I vagabondi del dharma’, romanzo che ebbe l’effetto di avvicinare molti giovani occidentali alle filosofie dell’Oriente. Kerouac, insieme con Allen Ginsberg, William Burroughs, Gregory Corso, Laurence Ferringhetti e altri, gettò le basi per quel rinnovamento e purificazione della concezione della vita e delle relazioni che sarebbe poi esploso in tutto il mondo occidentale nella seconda metà degli anni Sessanta.
Sua è la definizione di Beat Generation. Verso la fine degli anni Sessanta si verificò in Occidente un proliferare di insegnamenti provenienti da diversi Guru, fra iquali vale la pena ricordare, per il successo ottenuto dal loro messaggio, Bagwan Sri Rajneesh (Osho), Sai Baba, BabaJi, Sua Divina Grazia A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhanpada (che ha portato nel mondo il movimento degli Hari Krishna), e ovviamente Krishnamurti.
Caratteristica della maggior parte di questi maestri fu la tendenza al proselitismo e a diffondere una particolare visione della verità, culturalmente definita, di cui si dicevano interpreti. Naturalmente Krishnamurti prese fortemente le distanze da quello che definì «il circo viaggiante dei Guru popolari»31 e sfruttò l’occasione per ribadire la sua estraneità alla relazione maestro discepolo e a tutto il sistema di dipendenza che era stato sapientemente costruito attorno alla figura del Guru. Egli sosteneva che l’errore fondamentale fosse nel ridurre tutto a mero apprendimento, quando essenziale era la condivisione; proprio in questo senso, a suo dire, tutti i Guru avevano tradito l’uomo.
Gli anni Settanta segnarono anche l’inizio dell’interesse di Krishna per la scienza e in particolare per le teorie che affermavano una visione non frammentaria dell’universo. Le teorie quantiche, le ultime scoperte sul funzionamento del cervello, così come gli studi sul computer erano uno stimolo per indagare se stesso ancora più in profondità.
Egli ebbe occasione di incontrare molti studiosi e intrecciò una stimolante relazione con David Bohm, scienziato interessato alla teoria dei quanti, che avrebbe proposto negli anni Ottanta una teoria fisica che confermava, da un punto di vista scientifico, la visione della vita proposta da Krishna. Questi dialogava con lui sulla fine del tempo e la fine del pensiero.

2.7 Preveggenza

Nel 1975 Krishnamurti era intenzionato a fare ritorno in India, ma dovette abbandonare l’idea. La situazione nel Paese era drammatica: la crescente mancanza di cibo, l’aumento della disoccupazione e la crisi energetica mondiale avevano determinato una spirale inflazionistica che sembrava senza fine. Indira Gandhi, figlia di Nerhu, era primo ministro dal 1966. La situazione precipitò quando la Corte suprema dichiarò invalidate le elezioni del 1971, a causa di irregolarità da parte della Gandhi. Indira, invece di dimettersi, proclamò lo stato d’emergenza.
Furono ben presto sospese tutte le libertà civili: una severa censura controllava la stampa e tutti i mezzi diinformazione, i partiti politici dell’opposizione vennero banditi e numerose persone incarcerate. Successivamente, due misure messe in atto dal secondo genito di Indira, Sanjai Gandhi, contribuirono a creare un forte risentimento popolare.
Si trattava del controllo delle nascite, garantito dalla sterilizzazione maschile forzata di coloro che avevano più di due figli, e un piano di risanamento urbano che implicò, nella città di Delhi, l’abbattimento di numerose baracche e botteghe: circa mezzo milione di persone vennero sfrattate con la forza. Tutto questo gettò la popolazione in uno stato di terrore e disillusione nei confronti dello Stato.
Nel 1976, Krishnamurti, avendo ricevuto rassicurazioni sulla possibilità di poter parlare liberamente, decise di andare in India e lì vide due volte Indira con la quale ebbe lunghe conversazioni. Forse, proprio in ragione di questi incontri, il primo ministro revocò di lì a poco lo stato di emergenza e, liberatii prigionieri, indisse nuove elezioni. Indira venne sconfitta e imprigionata, anche se per un breve periodo.
Nel 1979 incontrò nuovamente Krishnamurti, che le consigliò di abbandonare l’attività politica. Indira non lo ascoltò e l’anno seguente vinse le nuove elezioni riacquistando la carica di primo ministro. Krishna non accolse positivamente la notizia e disse a Pupul Jayakar, intima amica della Gandhi, di starle vicino poiché di lì a poco avrebbe avuto un terribile dolore.
Infatti, l’anno seguente Sanjay perse la vita in un incidente aereo. Indira non abbandonò il suo ruolo, ma si rivolse al figlio maggiore, Rajiv, per portare avanti la tradizione politica della famiglia; incominciò anche a fare leva su questioni etniche e religiose per assicurarsi vantaggi politici. Questo provocò il sorgere di tensioni nel Paese, in primo luogo con la comunità Sikh che iniziò a fare pressioni per la creazione di uno stato Sikh indipendente. La situazione precipitò quando Indira inviò l’esercito ad Amritsar, dove un gruppo armato aveva occupato il Tempio d’oro, giurando di non abbandonarlo fino alla concessione dello Stato autonomo. L’esercito usò l’artiglieria provocando una vera carneficina, che suscitò sete di vendetta da parte di tutta la comunità Sikh.
In quel periodo, Indira sembrava trovare nei colloqui con Krishnamurti un vero e proprio sostegno. Questi, dal canto suo, esternò preoccupazione per la sua sicurezza e le chiese se fosse protetta in maniera adeguata. Nell’ottobre 1984 Indira Gandhi venne assassinata da due delle sue guardie Sikh.

2.8 Diaologo con la morte: «come un sussurro nel vento»

Nel maggio 1977, a Los Angeles, Krishnamurti aveva subito un intervento alla prostata. Egli, consapevole della possibilità di ‘scivolare via’ facilmente, chiese a Mary Zimbalist, che era con lui, di stargli vicino, e rifiutò l’anestesia totale poiché temeva che il corpo non l’avrebbe sopportata. Fu in quell’occasione che Krishna ebbe un ‘dialogo con la morte’. Il giorno seguente dettò a Mary un resoconto dettagliato degli avvenimenti.
Durante l’operazione, forse a causa del forte dolore, Krishna vide il suo corpo fluttuare nell’aria, in dissociazione, intento in un dialogo con la personificazione della morte: «Sembrava che la morte, parlando al corpo, insistesse notevolmente e che il corpo riluttasse a cedere al desiderio della morte».32
Tuttavia non era la paura che spingeva il corpo a rifiutare le richieste della morte, ma un’altra entità «più forte, più vitale della stessa morte»33 che accorse in suo aiuto. Krishnamurti affermò di essere consapevole che se quest’ultima non fosse intervenuta, la morte avrebbe vinto. A questo punto, c’erano tre entità che conversavano, e Krishna, disteso nel letto osservava chiaramente il dialogo, la pioggia fuori dalla finestra, la soluzione salina che goccia dopo goccia entrava nel suo corpo e i movimenti nella stanza.
La conversazione procedeva senza timore: «Stranamente, non essendoci paura, la morte non incatenava la mente alle cose del passato».34
Ecco che cosa affiorò dal dialogo, secondo le parole di Krishna.
«Quel che emerse dalla conversazione fu molto chiaro. Il corpo era notevolmente sofferente senza essere apprensivo o ansioso, e l’Altro era visibilmente al di là di entrambi. Era come se l’Altro facesse da arbitro in una partita rischiosa di cui il corpo non era pienamente consapevole. La morte sembrò essere sempre presente, ma la morte non può essere invitata. Questo vorrebbe dire suicidio, che sarebbe stato assolutamente folle. Durante questa conversazione non ci fu senso del tempo. […] Le parole cessarono, ma c’era l’intuizione immediata di ciò che ognuno diceva.
Naturalmente se si è attaccati a una cosa qualsiasi – idee, opinioni, beni o persone – la morte non viene a conversare con noi. La morte nel senso del termine è libertà assoluta.
«La qualità della conversazione era civile. Non c’era la più pallida traccia di sentimentalismo, eccesso di emozione, nessuna distorsione del fatto puro e semplice del tempo che è giunto alla fine, e la vastità senza confini di quando la morte è parte della tua vita quotidiana. C’era la sensazione che il corpo sarebbe andato avanti per molti anni, ma che la morte e l’Altro sarebbero stati sempre in sua compagnia, fin quando l’organismo non avesse più retto. […] Il suono di questa conversazione si espandeva all’infinito ed esisteva già al principio, non aveva fine. Era un suono senza inizio né fine. La morte e la vita sono vicinissime fra loro, come l’amore e la morte. Come l’amore non aveva ricordo, così la morte non aveva passato. La paura non entrò mai in questa conversazione poiché la paura è buio e la morte luce.»35
Krishnamurti sottolineò che la conversazione non era il frutto di un’illusione o della fantasia; essa era come un «sussurro nel vento».36

2.9 «Che il profumo continui»
2.9.1 I centri educativi

Sin dalla giovinezza, l’educazione fu un interesse fondamentale nella vita di Krishnamurti. Nel 1912, all’età di diciassette anni, Alcyone, nome con cui era conosciuto nell’ambiente teosofico, pubblicò un libro dal titolo Education as Service e, a partire dal 1925, incominciò a delinearsi l’idea di fondare delle scuole. Krishnamurti, sicuramente anche a causa dei suoi trascorsi, era consapevole del ruolo che l’educazione ha nella vita di ogni persona; quanto questa contribuisca a creare quel bagaglio di idee e opinioni che imprigionano l’uomo.
Le scuole da lui fondate, tutte immerse in ambienti naturali meravigliosi, erano concepite come centri di fioritura, luoghi in cui il suo insegnamento potesse essere messo in pratica.
Nel 1925, Krishna era in visita a Madanapalle per cercare un luogo in cui fondare un’università. L’anno successivo vennero acquistati centoventi ettari di terreno in una zona collinosa vicino alla città natale, e qui aperta una scuola chiamata RishiValley School. Fu il primo degli otto centri educativi fondati da Krishna durante la sua vita.
La scuola di Rajghat sorge immersa nel verde sulle rive del Gange, nei pressi di Benares. Aperta ufficialmente nel 1934, divenne ben presto uno dei rifugi preferiti di Krishnamurti; la bellezza del luogo e le vivaci acque del fiume ispirarono alcuni dei suoi più affascinanti scritti personali.
Nel 1946, in un terreno nella valle di Ojai, acquistato dalla Besant a metà degli anni Venti, fu aperta una piccola scuola mista: l’Happy Valley School. Questa, tuttavia, pur continuando la sua attività, dopo qualche anno cessò di essere una scuola Krishnamurti.
Nel 1954 fu creato a Bombay un centro educativo di dimensioni ridotte, Bal Anand, per bambini abbandonati, la cui direzione fu affidata all’epoca a Nandini Metha.
Risale al 1968 l’apertura nell’Hampshire, in Inghilterra, della prima scuola Krishnamurti d’Europa; la sede della Brockwood Park School è una magione georgiana circondata da quattordici ettari di parco.
Negli anni Settanta, a Madras, venne avviato un centro per l’educazione chiamato The School, che ospitava un centinaio di bambini.
Nel 1975 venne aperta a Ojai l’Oak Grove School. Quattro anni più tardi l’ultima delle scuole fondate da Krishnamurti iniziò la sua attività. È la Valley School situata in una valle vicino a Bangalore. Oggi molte altre scuole Krishnamurti sono state aperte nel mondo.

2.9.2 La Krishnamurti Foundation

Alla fine degli anni Sessanta Krishna, avendo avuto esperienze piuttosto negative con la Krishnamurti Writings di Ojai, che si occupava della diffusione dei suoi insegnamenti, decise di creare una nuova ‘associazione’, la Krishnamurti Foundationdi Londra, il cui atto di fondazione garantiva il rispetto delle sue intenzioni. Nel giro di pochi anni furono create anche una Krishnamurti Foundation americana e una indiana. Queste si occupavano unicamente dell’organizzazione pratica di conferenze, archiviazioni, produzione di libri e della gestione delle scuole fondate nel mondo. Krishnamurti desiderava che, dopo la sua morte, i suoi insegnamenti continuassero a rimanere vivi in tutte le forme che egli aveva creato in vita. Le fondazioninon erano intese non come organizzazioni per radunare seguaci ma come mezzo per trasmettere il ‘profumo’ della Verità di cui lui parlava. Disse: «Quando esprimo preoccupazione a riguardo del mio intento per le fondazioni, il mio desiderio è che l’altro aspetto, la fioritura, non avvizzisca».37
Egli desiderava che l’incessante attività delle fondazioni non travolgesse l’insegnamento e sottolineò che il fattore unificante avrebbe dovuto essere l’intelligenza: «Essere liberi nel vero senso della parola, e quella qualità è l’intelligenza. L’intelligenza è comune a tutti noi ed è quella che ci terrà tutti insieme, non l’organizzazione».38
Dopo la morte di Krishnamurti, sono state fondate altre Krishnamurti Foundation, le quali, insieme con numerosi comitati in ogni Paese del mondo, riuniscono senza volontà di proselitismo tutti coloro che sono interessati all’insegnamento di Krishnamurti.

2.9.3 Un centro religioso

Un altro modo per diffondere quel ‘profumo’ e favorire la ‘fioritura’ era creare un centro studi, un luogo in cui le persone potessero incontrarsi e dialogare insieme sugli insegnamenti. Krishna esortava a criticare e investigare: «Leggete i libri di Krishnamurti e fateli intellettualmente a pezzi»39 diceva. Negli ultimi anni della sua vita egli si dedicò al progetto: «Dovrebbe essere un centro religioso, un centro dove la gente sente che c’è qualcosa che non è prefabbricato, non è astratto, non è la classica atmosfera ‘sacra’. Un centro religioso non nel senso ortodosso del termine; un centro in cui ci sia una fiamma, non le sue ceneri».40 Poi specificò: «La fiamma è viva e se vai quella casa puoi portare con te la luce, la fiamma, o puoi accenderti una candela, o puoi diventare l’essere umano più straordinario, in quanto non frammentato, una persona perfettamente intera che non ha ombra di dolore, sofferenza e tutto il resto. Ecco, questo è un centro religioso».41
Il centro studi venne costruito in un’area vicino alla Brockwood Park School, immerso nell’incontaminata campagna dell’Hampshiree circondato da meravigliosi fiori gialli. In esso si può trovare la ‘stanza tranquilla’: «Quella è la fonte di K. […] È la fonte della verità, e risplende, vivendo là»42 disse Krishnamurti.
Pochi mesi dopo la sua morte, il centro venne aperto e ancora oggi è luogo di ritrovo per coloro che desiderano condividere quella ‘fiamma’.

Note
1. S. Weeraperuma J. Krishnamurti. Come l’ho conosciuto io, Aequilibrium, Milano, 1992, p. 44.
2. Jiddu Krishnamurti Taccuino, Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma, 2007, p. 33.
3. M. Lutyens La vita e la morte di Krishnamurti, Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma, 1990, p. 197.
4. Ivi, p. 94.
5. Jiddu Krishnamurti Taccuino, cit., p. 29.
6. Ivi, p. 26.
7. Jiddu Krishnamurti Diario, Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma, 1983, p. 45.
8. Jiddu Krishnamurti Taccuino, cit., p. 52.
9. M. Lutyens La vita e la morte di Krishnamurti, cit., p. 99.
10. Ivi, p. 144.
11. S. Weeraperuma J. Krishnamurti. Come l’ho conosciuto io, cit., p. 100.
12. Ibidem.
13. S. Holroyd L’antiguru, Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma, 1981, p. 35.
14. M. Lutyens La vita e la morte di Krishnamurti, cit., p. 105.
15. Manoscritto di Krishnamurti, 1976 (BA: Archivi di Brockwood Park, Brockwood Park, Hampshire, Inghilterra).
16. Jiddu Krishnamurti La prima e ultima libertà, Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma, 1969, p. 9.
17. B. e T. Metcalf Storia dell’India, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2004, p. 195.
18. S. Wolpert Storia dell’India, Rcs Libri, Milano, 2000, p. 324.
19. M. Lutyens La vita e la morte di Krishnamurti, cit., p. 111.
20. Ivi, p. 112.
21. Ibidem.
22. S. Holroyd Krishnamurti, l’uomo, il mistero, il messaggio, Edizioni Il Punto d’Incontro, Vicenza, 1993, p. 52.
23. M. Lutyens La vita e la morte di Krishnamurti, cit., p. 113.
24. J. Pupul Krishnamurti, Harper and Row, New York, 1987, trad. dell’autrice.
25. M. Lutyens La vita e la morte di Krishnamurti, cit., p. 112.
26. Ivi, p. 117.
27. S. Holroyd Krishnamurti, l’uomo, il mistero, il messaggio, cit., p. 48.
28. M. Lutyens La vita e la morte di Krishnamurti, cit., p. 128.
29. Ibidem.
30. Ivi, p. 131.
31. S. Holroyd Krishnamurti, l’uomo, il mistero, il messaggio, cit., p. 59.
32. M. Lutyens La vita e la morte di Krishnamurti, cit., p. 163.
33. Ibidem.
34. Ivi, p. 163.
35. Ivi, pp. 163-164.
36. Ivi, p. 164.
37. S. Holroyd Krishnamurti, l’uomo, il mistero, il messaggio, cit., p. 65.
38. M. Lutyens La vita e la morte di Krishnamurti, cit., p. 201.
39. Ibidem.
40. Ibidem.
41. Ivi, pp. 201-202.
42. Ivi, p. 202.