Haṃsa Libera Scuola di Hatha Yoga

Shila Morelli

KRISHNAMURTI

3. «Com’era vivere con quest’uomo?»

3.1 Un ritratto di Krishnamurti

«Se la gente venisse qui e vi chiedesse: ‘Com’era vivere con quest’uomo?’, voi sareste in grado di comunicarglielo?» chiese un giorno impersonalmente Krishnamurti. «Se uno qualunque dei discepoli del Buddha fosse vivo» continuò «non si andrebbe fino in capo al mondo per vederlo, per scoprire da lui cosa significa vivere in presenza del Buddha?».1
Proviamo a rispondere.
La prima cosa che colpisce in Krishnamurti è il bel volto. Gli occhi dolci e intensi. Lo sguardo che guarda all’infinito. Un sorriso capace di affascinare, disarmante e puro come quello di un bambino. Bernard Shaw, dopo averlo conosciuto, disse che Krishna era il più bell’essere umano che avesse mai visto.
Il suo viso colpiva chiunque lo incontrasse, ma c’era molto di più. Egli letteralmente catturava l’attenzione del suo pubblico. Era dotato di un carisma naturale che è vivo ancora oggi e supera i limiti fisici della pagina stampata o di uno schermo.
La sua personalità era un enigma per molti. Una certa timidezza e ritrosia a mettersi in mostra o a cominciare un discorso che lo caratterizzavano nel privato, scomparivano però sul palco per lasciare il posto a un oratore disinvolto, schietto e razionale. I suoi modi erano sempre pieni di cura e affetto, anche in quei momenti in cui si dimostrava duro con il pubblico.
Krishna non aveva alcuna immagine della sua persona. Egli era completamente distaccato dalla storia della sua esistenza, che peraltro aveva per lo più dimenticato. Sembra risalga agli anni Trenta la perdita della memoria del passato. Egli sostenne per tutta la vita che il ricordo, tranne per scopi pratici, è un peso morto, un carico che non si dovrebbe portare addosso giorno dopo giorno.
L’interesse che mostrava per la sua persona era da esterno e senza identificazione. La sua era pura osservazione non coinvolta. Non era minimamente legato al suo nome. Si riferiva a se stesso in terza persona, con l’espressione ‘chi vi parla’ o semplicemente ‘K.’. Non c’era inoltre in lui alcun attaccamento alle origini indiane e aveva dichiarato di non avere alcuna nazionalità. Passare inosservato fu ciò che cercò di fare sempre, anche se nella maggior parte dei casi gli riusciva impossibile.
L’anonimato era tuttavia una condizione del suo essere, così come l’assenza di identificazione o nome. Egli affermò che l’anonimità è innocenza e «dove non c’è anonimità c’è la violenza, in tutte le sue forme».2
Lo scultore Antoine Borduelle, per il quale Krishna aveva posato, era solito dire che per quest’ultimo le uniche cose che contano sono quelle che fanno parte dell’eternità.
Krishnamurti aveva sempre dimostrato una cura profonda per il suo corpo. Ogni giornata iniziava con una serie di esercizi di yoga che mantennero il suo fisico giovane ed elastico fino alla morte. La salute, però, era sempre stata cagionevole sin dall’infanzia. Egli soffriva spesso di febbre da fieno e bronchite. Era incline agli svenimenti e alle infezioni renali. In tarda età il diabete, l’intervento alla prostata e un’operazione d’ernia provarono fortemente il suo corpo.
Krishnamurti una volta disse che per lui due erano state le cose importanti nella vita: stare solo e nutrirsi del cibo giusto. Egli era sempre stato vegetariano; questa scelta era un puro atto di compassione, un’espressione dell’amore che provava per qualsiasi cosa e non una decisione intellettuale. Mangiava pochissimo e masticava a lungo ogni singolo boccone con il risultato che era sempre l’ultimo a finire. Anche il nutrirsi faceva parte dell’osservazione di se stessi. Krishna sottolineava che ogni cosa ingerita inevitabilmente influenza la salute: è una forma di rispetto e consapevolezza guardare le reazioni dell’organismo a un alimento o medicina.
La cura per il corpo si estendeva a una meticolosa attenzione per l’aspetto. Amava mostrarsi soltanto in perfetto ordine e aveva una passione per gli abiti di qualità. Il suo stile elegante era inconfondibile. Quando capitava a Londra adorava trascorrere del tempo dal suo sarto a Savile Row, fra stoffe soffici e pregiate. Un amico descrisse questa sua peculiarità.
«Non c’è in Krishnamurti, comunque lo si guardi, la minima traccia di alcunché di volgare, ordinario, comune. Si può comprendere o non comprendere il suo insegnamento; si può forse criticare questo o quello nel suo accento e nelle sue parole. Ma non è concepibile che qualcuno possa negare la grandiosa nobiltà e armonia che fluiscono dalla sua persona. Si potrebbe forse dire che egli ha una classe e uno stile assolutamente al di sopra del comune ambito umano. Non c’è dubbio che queste parole lo imbarazzerebbero. Ma questa è la realtà. Il suo abbigliamento, il suo aspetto, i suoi modi, la sua andatura e il suo eloquio sono principeschi, nel senso più alto del termine. Quando egli entra in una stanza si è in presenza di un essere del tutto straordinario.»3
La passione per la meccanica, che dimostrò fin da piccolo, durò tutta la vita, ma non era l’unica. Egli impazziva per le automobili e i romanzi gialli. Aveva una curiosità senza limiti; la sua mente, sempre vigile,voleva sapere tutto e come nelle occasioni pubbliche anche in privato era sovente il primo a porre una domanda.

3.1.1 L’osservazione dell’uomo

Krishna era stato un attento osservatore sin da bambino, quando trascorreva intere giornate a guardare un fiore o una nuvola. I suoi soggetti preferiti erano senza dubbio l’uomo e la natura.
L’attenzione totale per i numerosi interlocutori con cui dialogava ha dato vita a splendide figurazioni che aiutano a comprendere la forma della sua osservazione.
Così descrisse un uomo che incontrò in India.
«Era un insegnante, un bramino con un dhoti lindo. Aveva i piedi nudi e indossava una camicia occidentale. Pulito, occhi penetranti, modi gentili e umili, di cui il suo saluto fu una dimostrazione, non troppo alto, parlava inglese molto bene, infatti insegnava inglese in città. Non guadagnava gran che e, come tutti gli insegnanti del mondo, a stento riusciva a sbarcare il lunario. Ovviamente era sposato e aveva dei figli, ma sembrava non prendere in considerazione tutto ciò, come se non avesse alcun valore. Era un uomo orgoglioso, con quel particolare orgoglio, non di ciò che si fa, non l’orgoglio dei ben nati e dei ricchi, ma l’orgoglio di una razza antica, del rappresentante di una tradizione antica, di antichi sistemi di pensiero e morale che, in realtà, non avevano nessuna relazione con ciò che egli realmente era. Il suo orgoglio risiedeva nel passato che egli rappresentava, e il suo ignorare le presenti complicazioni della vita era il gesto di una persona che considera tutto ciò inevitabile, ma così inutile. La sua dizione era meridionale, dura e forte.»4
Ecco invece il ritratto di un pittore con cui dialogò.
«Era un artista, un pittore. Disse che aveva talento nella sua arte, come un’altra persona potrebbe averlo nel costruire ponti. Aveva lunghi capelli, mani delicate ed era chiuso nel sogno dei suoi doni. Ne usciva: parlava, spiegava, e poi faceva ritorno nella sua tana. Disse che i suoi quadri si vendevano […].Era piuttosto orgoglioso di ciò e lo si percepiva dalla voce.»5
Questi sono solo alcuni degli svariati esempi di osservazione dell’uomo. Krishna dava quell’attenzione totale ai suoi interlocutori, capace di delineare in uno sguardo la loro condizione in un determinato istante.
Egli vedeva la loro essenza, la stessa appesantita, distorta, snaturata da svariati condizionamenti, imitazioni, conformismi. Sarebbe riduttivo definire le sue osservazioni descrizioni dell’uomo; c’è qualcosa in più. Krishna usa le parole come colori che, trascendendo la loro natura, raggiungono altri mondi di significato; egli crea un’immagine psicologica dei suoi interlocutori, così come sono e senza deviazioni di giudizio o apprezzamento. Si tratta di pura osservazione, la chiave della rivoluzione interiore cui spesso alludeva, lo sguardo oggettivo che cattura il ‘ciò che è’, il dialogo con ogni cosa che invita istante dopo istante a rifiutare ciò che non è in noi, sia esso un’idea, un’opinione, una fede, qualsiasi forma di autorità.
La totale osservazione di Krishnamurti comprendeva anche qualcos’altro: un profondo affetto per i suoi interlocutori e un naturale entusiasmo per la Vita.
La volontà di condivisione non si affievolì mai in Krishnamurti, neanche di fronte alla completa incomunicabilità cui, spesso, infinite barriere psicologiche e pregiudizi riducevano i colloqui. Era come se in lui ci fosse la convinzione che anche quella mancanza di comunicazione fosse utile, o comunque un inizio. A un uomo che gli chiese che cosa potesse fare se una persona non era in grado di capirlo rispose: «Posso prenderla per mano».6

3.1.2 L’osservazione della natura: «il cielo apre la mente»

Nel tempo libero, quando non scriveva, Krishnamurti usciva per lunghe passeggiate nella natura. Sembra che avesse uno scarso senso dell’orientamento, ma il piacere di attraversare boschi incontaminati, lunghe spiagge o campagne rigogliose fu una costante della sua vita. Solo o in compagnia, mentre camminava con il suo inconfondibile portamento eretto e le lunghe braccia che seguivano, oscillando alternate, i passi veloci, perdeva qualsiasi senso del tempo. A volte procedeva con la testa rivolta verso il cielo; altre volte si occupava di rimuovere dal centro del sentiero un ramo o un sasso che avrebbero potuto causare un incidente al distratto viandante.
Sia che si trovasse all’aperto o fra le mura di una stanza, Krishnamurti aveva la completa percezione della natura che lo circondava. Che fosse il canto di un merlo, il vento fra le fresche foglie, il profumo di un fiore colorato o la forza prepotente di un temporale estivo, egli percepiva, ascoltava anche se contemporaneamente era lì in una stanza o in qualsiasi altro luogo. Egli era in comunione con la natura, il suo respiro era quello dell’albero, dello scoiattolo e del cielo.
Camminare non aveva un fine, non era un’attività spirituale, ma l’espressione della diretta comunicazione con l’ambiente naturale. L’osservazione del mondo animale e vegetale apre molti scritti e dialoghi di Krishnamurti; anche in questo caso, definire tali passi semplici descrizioni non rende l’idea. Si tratta di pure immagini, spaccati d’eternità, tentativi di esprimere con parole finite l’essenza, la bellezza senza contrari, al di là del pensiero e del sentimento.
«Il sole al tramonto illuminava le cime delle montagne, lucente e mozzafiato, e il paesaggio era quieto. C’era solo colore e non colori diversi: c’era solo l’ascolto e non i molti suoni.»7
Krishna forse percepiva che la natura, nella sua semplicità, è; essa offre costantemente ai nostri occhi la Vita, l’Essenza, la Verità o quello che potremmo chiamare Dio: «La forza e la bellezza di una foglia appena nata sono nella sua possibilità di distruzione. Come un filo d’erba che si fa spazio attraverso il suolo, essa ha il potere di resistere alla morte accidentale».8
Osservando totalmente la natura, Krishna vedeva la Creazione e comprendeva simultaneamente ciò che non ne faceva parte. Questi ‘affreschi’ della natura, immagini di pura osservazione, non contengono emozioni o sentimentalismo, e soprattutto non sono prolungate. Krishnamurti non si lega all’impressione sensoriale; lasciandola andare velocemente, egli prosegue nella sua razionale osservazione che spesso rivela stati di ‘benedizione’ e ‘immensa vastità’.

3.2 «Ciò che deve essere la propria morte»

Una delle più belle e profonde osservazioni della natura venne dettata a un registratore il 30 marzo 1984 da un anziano Krishna nella sua camera a Pine Cottage. Si tratta delle parole conclusive del suo ultimo diario nel quale egli, per la prima volta, parla unicamente a se stesso, lasciando così al lettore un’intuizione chiara della sua coscienza.
Nel suo ultimo brano le parole, ancora una volta e forse in maniera più significativa, lasciano spazio alla morte. In questo caso, l’osservazione ‘universale’ di una foglia conduce Krishna a una riflessione ‘personale’, che tuttavia alla fine si apre all’immensità svincolandosi da ogni coinvolgimento individuale.
«Era veramente una mattina straordinaria, stupenda. L’alta montagna era lì, impenetrabile, e le colline sottostanti erano verdi e amene. E mentre passeggiavi tranquillamente, senza tanti pensieri, vedesti una foglia morta, gialla e rossa, una foglia autunnale. Com’era bella quella foglia così semplice nella morte, così viva, piena della bellezza e della vitalità dell’intero albero e dell’estate! Strano che non fosse appassita. Guardandola più da vicino, vedevi tutte le venature, il picciolo e i contorni. Quella foglia era tutto l’albero.»9
«Mentre guardavi quella foglia morta, con tutta la sua bellezza e il colore, forse capivi molto profondamente, eri consapevole di ciò che deve essere la propria morte, non alla fine della vita, ma fin dal suo stesso inizio. La morte non è qualcosa di orripilante, da evitare, da rimandare, ma piuttosto qualcosa con cui vivere ogni giorno. E da questo nasce uno straordinario senso d’immensità.»10
Il corpo di Krishna, nei due anni successivi, venne sempre più provato dai continui spostamenti, che tuttavia già erano stati ridotti. Era costantemente malato, arrivando a pesare quarantasette chili.
Il 4 gennaio 1986, a Vasanta Vihar, egli pronunciò il suo ultimo discorso che ancora una volta esortava alla rivoluzione interiore.
«La creazione è qualcosa di quanto mai sacro. È la cosa più sacra della vita e se voi fino a oggi avete vissuto a caso cambiate il vostro atteggiamento. Cambiate oggi, non domani. Se siete incerti scopritene il perché e siate certi. Se il vostro pensare è contorto, pensate in maniera dritta e logica. Se prima non preparate tutto questo, non sistemate ogni cosa, non potete entrare in questo mondo della creazione.»11
Quasi impercettibilmente egli concluse dicendo: «Termina qui». Dopo un ampio silenzio: «Questo è l’ultimo discorso».12
Krishna era consapevole del veloce decadimento fisico e osservava come l’Altro e la Morte avessero nuovamente incominciato una lotta. Fece velocemente ritorno a Ojai dove, all’ospedale, gli venne diagnosticato un tumore al pancreas. Informato della morte imminente, egli chiese di far ritorno a Pine Cottage, dove nei giorni successivi convocò attorno a sé un ristretto gruppo di persone con cui intendeva discutere il futuro dell’insegnamento e l’attività di scuole e fondazioni.
Per tutta la vita egli aveva sostenuto che nessuno avrebbe dovuto ergersi a interprete del suo messaggio, e in quell’occasione ribadì che il destino dell’insegnamento era nella capacità dell’uomo di viverlo e di evitarne la corruzione limitandolo a mera parola: «Dipende da voi. Da come lo limitate, da come lo considerate, da ciò che significa per voi. Se per voi significa qualcosa di profondo, personalmente, allora non sarà corrotto».13
Nel conseguimento di tale scopo, le fondazioni per Krishna avevano un ruolo limitato: «Sta a voi e non alle fondazioni o ai centri informativi o a tutto il resto. Dipende da voi che viviate o meno gli insegnamenti».14
In quei giorni egli insistette affinché non fosse creato nessun luogo di culto dopo la sua morte. Krishnamurti morì nel sonno a Pine Cottage il 17 febbraio1986. Secondo il suo volere, solo un ristretto gruppo di amici assistette alla cremazione del corpo che, terminata la sua funzione, non doveva essere oggetto di commemorazioni futili.
Le ceneri, disperse fra Ojai, Brockwood e il Gange, a Rajghat, riportarono quel corpo all’anonimato della natura, coprendo idealmente l’intero mondo.

3.3 L’insegnamento della mia vita»

Per tentare di approfondire la figura di quest’uomo straordinario non si può omettere una panoramica organica del suo insegnamento, essendo questo ciò che egli tentò di comunicare per tutta la vita, lo scopo della sua esistenza. Prima di iniziare, è essenziale ribadire un punto fondamentale che dovrebbe essere il filtro attraverso cui guardare tutto ciò che verrà esposto in seguito. Ancora una volta sono le parole di Krishnamurti a comunicare questo significato.
«Questo non è il mio insegnamento, è l’insegnamento della mia vita» disse un giorno, a indicare che non era tanto importante che fosse lui a parlare, ma era il contenuto di ciò che affermava ad avere in sé valore. L’insegnamento era valido in quanto vero e non perché un individuo ritenuto speciale, di nome Krishnamurti, l’aveva affermato. C’è un invito in queste parole a non leggere in lui più di quanto intendesse, a non ascoltare con il bagaglio d’immagini che spesso riporta la mente ai suoi stessi contenuti devianti.
L’insegnamento è contenuto nel discorso di scioglimento dell’Ordine della Stella del 1929. Tuttavia Krishnamurti lo espresse ancora più chiaramente su invito di Mary Lutyens, figlia di Lady Emily Lutyens, alla quale egli aveva chiesto di scrivere la biografia della sua vita nella primavera del 1970.
«Il nocciolo dell’insegnamento di Krishnamurti è contenuto nell’affermazione, risalente al 1929, secondo cui: ‘La verità è una terra senza strade’. L’uomo non la può raggiungere tramite nessuna organizzazione, nessun credo, nessun dogma, prete o rituale, né tramite una conoscenza filosofica o una tecnica psicologica. Egli deve trovarla con lo specchio del rapporto, comprendendo i contenuti della sua stessa mente, con l’osservazione e non con l’analisi intellettuale o la dissertazione15 interiore. L’uomo, per bisogno di sicurezza, ha costruito dentro di sé immagini di ordine religioso, politico, personale.
«Tali immagini si manifestano in simboli, idee, convinzioni, il cui fardello domina il nostro pensiero, i nostri rapporti, la nostra vita quotidiana. Esse sono la causa dei nostri problemi, perché dividono un uomo dall’altro a ogni livello. La percezione che l’uomo ha della vita è plasmata dai concetti già precostruiti nella sua mente. Il contenuto della sua coscienza è questa coscienza. Tale contenuto è comune a tutta l’umanità; l’individualità consiste nel nome, nella forma e nella cultura esteriore che l’uomo acquisisce dal proprio particolare ambiente.
L’unicità dell’individuo non risiede nella forma superficiale, ma nella totale libertà dal contenuto della coscienza.
«La libertà non è una reazione, la libertà non è una scelta. È un’illusione credersi liberi perché si può scegliere. La libertà è la pura osservazione priva di direzione, non soggetta al timore della punizione né al desiderio della ricompensa. La libertà è priva di motivazioni; la libertà non è alla fine dell’evoluzione dell’uomo, ma nel primo passo della sua esistenza. Nell’osservazione si comincia a scoprire la mancanza di libertà. La libertà si trova nella consapevolezza senza scelta della nostra esistenza quotidiana.
«Il pensiero è tempo. Il pensiero è frutto dell’esperienza e della conoscenza, che sono inseparabili dal tempo. Il tempo è nemico dell’uomo a livello interiore. La nostra azione si basa sulla conoscenza e quindi sul tempo, per cui l’uomo è eternamente schiavo del passato.
«Quando l’uomo diventa consapevole del movimento della propria coscienza, ecco che vede la divisione fra il pensante e il pensiero, l’osservatore e l’osservato, lo sperimentatore e l’esperienza. Egli scopre che tale divisione è un’illusione. Soltanto a questo punto si ha la pura osservazione che è visione profonda senza nessuna ombra del passato. La visione al difuori del tempo provoca una trasformazione intima e radicale entro la mente.
«La negazione totale è l’essenza del positivo. Quando c’è la negazione di tutto quello che non è amore – il desiderio, il piacere – ecco che si ha l’amore, con la sua compassione e intelligenza.»16

3.3.1 Educazione: libertà di comprendere l’intero processo della Vita

Krishnamurti è stato definito nel corso della sua vita e oltre come Maestro, illuminato, filosofo, scrittore, poeta e con molti altri appellativi. La sua figura, però, sfugge a qualsiasi definizione limitante per entrare in quell’anonimato che egli tentò di esprimere in ogni respiro. È con questa premessa e convinzione che mi rivolgo all’idea di Krishnamurti come educatore, non nel senso formale o ristretto del termine, ma nella sua accezione più ampia e nobile.
Il suo insegnamento è educativo poiché non ammaestra a una verità, ma propone la ricerca della Verità. Non è un caso il profondo interesse che Krishna dimostrò sin dalla giovane età per il sistema scolastico. Il suo approccio in questo senso potrebbe essere definito come globale e integrato, inserendosi pienamente nel suo panorama filosofico: ciò che egli considerava ‘vera educazione’ non è un tentativo di fornire soluzioni o correzioni temporanee ai problemi della società.
La questione dell’educazione è proposta a fondamento della trasformazione dell’essere umano, concepito nella sua totalità. Questo cambiamento non si riferisce unicamente alla struttura dell’educazione, ma coinvolge la natura e la qualità della mente e della vita dell’uomo; tale comprensione della vita è centrale per liberare senza condizioni l’essere umano.
Krishnamurti esce dalle mura della scuola e si rivolge a tutti gli uomini; l’educazione cambia prospettiva: non è più collegata a una necessità contingente, ma piuttosto mira a comprendere il valore educativo che scaturisce dalla focalizzazione della coscienza in ogni attimo della vita. Egli va oltre le frontiere di una determinata cultura e stabilisce un sistema di valori capaci di dare vita a una nuova società.
In questa prospettiva, egli fondò le scuole nel mondo. La creazione e l’impostazione di questi centri educativi possono essere considerate metafore reali del suo insegnamento. Le scuole nacquero dopo numerosi incontri fra Krishnamurti, insegnanti, studenti e genitori. Il dialogo, di cui abbiamo già spiegato il valore, è il fondamento, la chiave dello sviluppo e il futuro di queste istituzioni.
Anche quando Krishnamurti prendeva la parola durante un dialogo o parlava dell’educazione sembrava preferire un’impostazione non vincolante, basata su un approccio critico: alle domande proposte segue un processo di osservazione e analisi a 360°, che non mira a una soluzione definitiva, ma vuole essere uno stimolo per trovare da sé la soluzione, la Verità. Questo costituisce il fondamento delle scuole, la strada da seguire nel processo educativo e l’essenza di tutto il suo pensiero. Non veniva fornito un metodo, ma delle linee guida ottenute da un’attenta osservazione, in cui c’è spazio per il singolo fluire, in accordo con la «terra senza sentieri».
Nella condivisione, quell’intelligenza comune a tutta l’umanità, c’è educazione, che è libertà di comprendere l’intero processo della vita.

3.3.2 «Il compito dell’educazione consiste tutto nel ridestare l’individuo»

Lo scopo dell’insegnamento di Krishnamurti è una rivoluzione della mente dell’uomo. I centri educativi e ogni altra espressione della sua osservazione erano concepiti in questo senso. Krishnamurti sottolineava come l’educazione fosse stata sempre utilizzata per garantire uno status quo malato, riducendo l’uomo a vivere solo una piccola porzione della vita in uno stato di condizionamento generalizzato: «Superiamo determinati esami, troviamo un lavoro, ci sposiamo, abbiamo dei figli e poi diventiamo sempre più simili a macchine».17
Ed è qui che la vita incomincia a essere angoscia e terrore. Secondo Krishnamurti, l’istruzione non ha alcun significato se non aiuta a capire la vita nella sua interezza e se non è in grado di creare un’atmosfera nella quale non ci sia paura, nella quale l’uomo, senza legarsi a qualcosa di prestabilito, sia capace di pensare liberamente e di scoprire che cosa è vero, che cosa è reale: «Non imitare, ma scoprire, questa è la vera educazione».18
Vivere, per Krishnamurti, significava trovare per conto proprio quello che è vero, ma tale scoperta, egli sottolineava, è possibile soltanto quando c’è libertà, quando c’è una rivoluzione continua all’interno di ognuno di noi. La vera istruzione porta con sé, causandolo, un cambiamento nella mente, che implica l’essere totalmente critici: imparare a non accettare in nessuna circostanza niente che non siamo in grado di vedere chiaramente e mai ripetere qualcosa che qualcun altro ha detto.
Questo ‘imparare a imparare’ è ciò che, secondo Krishnamurti, l’educazione dovrebbe trasmettere; esso è privo di limitazioni ed è il germoglio di quella completa libertà capace di creare una nuova società, non più basata su antichi valori fallimentari quali il denaro, la posizione, il prestigio e il potere.
Per tutta la vita egli si occupò dell’educazione poiché la riteneva non solo l’agente di una trasformazione interiore, ma il fondamento sul quale una nuova società costruirà se stessa; tale società non vuole essere un’utopia d’idee legata a un futuro più roseo, ma un modo di essere e di fare nel presente.
Krishna visse nell’epoca dell’Imperialismo britannico, la Prima e Seconda guerra mondiale, la Guerra fredda, crisi economiche di ogni sorta, crudeltà, distinzioni di classe e casta, fedi in conflitto e innumerevoli altre espressioni di un mondo impazzito.
Non fu difficile per lui, guardando quella realtà e osservandola attentamente, rendersi conto che si era di fronte a un caos senza precedenti. Guardare veramente il mondo significava porsi un problema urgente e trovarsi di fronte a una sfida che richiedeva una risposta definitiva. La soluzione non poteva essere una modificazione delle istituzioni politiche poiché la storia insegna che l’uomo tende a riportare tutto entro le categorie fallimentari del passato. Non è la struttura che cambia l’uomo, ma è sempre stato l’uomo a modificare il sistema.
«Voi reagite a una sfida che è sempre nuova secondo uno schema antico; e pertanto la vostra reazione non ha la validità, la novità, la freschezza corrispondenti»19 diceva.
Se un nuovo sistema corrispondeva a una reazione, allora solo una completa e radicale rivoluzione della mente umana, l’autocoscienza, avrebbe segnato la svolta. Qui sta anche il valore dei centri educativi, che offrivano l’occasione a menti relativamente spoglie di sovrastrutture devianti di crescere e svilupparsi in modo da non costruire e diffondere nuove prigioni dell’uomo.
Krishnamurti affermò chiaramente che le scuole non volevano essere organizzazioni d’indottrinamento o luoghi dove si proponeva un adeguamento a un sistema sociale corrotto, ma ambienti che potessero aiutare studenti e insegnanti a ‘fiorire’ in modo naturale. Il termine ‘fiorire’ indica un dispiegarsi delle singole coscienze, «è lo schiudersi totale e la coltivazione della nostra mente, del cuore e del nostro benessere fisico».20
Non è un processo che può essere indotto volontariamente; accade come lo sbocciare di un fiore. Come il fiore, se non ha luce, non può crescere, così il bambino educato attraverso la paura, il confronto, l’ambizione cresce senza le condizioni indispensabili per fiorire. La vera educazione invece mira a questa importantissima trasformazione; al bambino durante l’insegnamento delle materie viene data la possibilità di osservare i processi in atto nei suoi stessi pensieri, emozioni e azioni.
Questa vigilanza e attenzione lo rendono autocritico e un osservatore dotato di quell’integrità di percezione e discriminazione cruciale per la sua maturazione nel rapporto con se stesso e con ogni cosa.
L’educazione è ciò che crea lo spazio per lo sviluppo di un essere umano completo, senza contraddizioni, che sa ‘come’ pensare e non ‘che cosa’ pensare. Questo processo tuttavia non è a senso unico, l’insegnante come lo studente e qualsiasi altro uomo sono coinvolti nell’atto di imparare.

3.3.3 «Voi siete il mondo»
 
«Il cambiamento della società è di secondaria importanza; esso avverrà naturalmente, inevitabilmente, quando voi, come esseri umani produrrete questo cambiamento.»21
Krishnamurti pone la responsabilità individuale a fondamento dell’ordine sociale. Stimola gli uomini a rendersi conto del loro ruolo nella creazione attraverso l’osservazione.
«Voi siete il mondo» diceva ripetutamente nei suoi discorsi. «La struttura sociale esteriore è il risultato della struttura psicologica interiore dei nostri rapporti umani»22 affermava, sottolineando come l’individuo sia il risultato della totale esperienza, conoscenza e comportamento dell’uomo. Questi è così il prodotto di ogni sorta di influenza: in lui c’è l’intera storia dell’umanità.
Krishnamurti fa a questo punto una precisazione: è necessario distinguere fra ‘individuo’, ossia un’entità limitata che vive in una determinata cultura, in un Paese, che ha una certa religione o impostazione, ed ‘essere umano’, che è un’entità senza confini.
Prendere atto di questa differenza porta a cogliere l’inutilità di vivere in un piccolo angolo dell’illimitato campo della vita: condurre un’esistenza da individuo significa essere inconsapevolmente preda di una schiavitù, ogni atto è il prodotto di un’influenza. L’uomo costruisce la sua stessa prigione attraverso l’educazione, la religione, ogni sorta d’idea, poiché è alla costante ricerca della verità che qualcun altro ha proposto; ma anche la più ingegnosa costruzione intellettuale non svelerà mai la Creazione.
Secondo Krishnamurti, la Vita non è un meccanismo statico, né di prevedibile evoluzione, la Verità fluisce, non si lascia incatenare dal pensiero, essa si rivela solo al cessare di ogni intrusione mentale.
Se la Verità è una «terra senza sentieri», se non c’è un metodo, come fa l’uomo a uscire dalla schiavitù che ha abilmente creato per millenni?
Krishnamurti sarebbe infastidito da questa domanda, poiché il ‘come’ implica una via, una strada da percorrere, è un tentativo di oscurare, è prodotto del pensiero; tuttavia, questo è il tipo di quesito che più frequentemente gli venne proposto.
La risposta non è un ‘come’, un metodo, ma qualcosa che va al di là dei confini della mente: relazione, osservazione e ascolto.

3.4 La schiavitù dell’individuo

Abbiamo spiegato come, secondo Krishnamurti, non ci sia una coscienza individuale, ma solo una coscienza umana collettiva. Ogni azione del singolo ha un’eco su un altro individuo e la personale condizione può causare un deterioramento della società o un suo miglioramento. Il mondo interiore è l’origine e la continuazione del disordine; l’armonia di una società non si può sviluppare se siamo concentrati sull’esterno o solo su una parte, poiché è l’uomo a creare la società.
Il concetto di ‘schiavitù umana’ implica tutte le forme di dipendenza e autorità. Queste possono derivare dall’esterno, per esempio attraverso l’educazione impartita fin dall’infanzia, ma si rivelano spesso attraverso imposizioni interne. Sono insidiose poiché riescono abilmente a nascondersi nel labirinto dei pensieri. Questo meccanismo trae forza dalla necessità di sicurezza dell’uomo.
L’autorità psicologica interiore è la compagna di ogni individuo, quella voce che ci dice continuamente che cosa dovremmo diventare, che cosa è giusto o sbagliato. Essa interferisce senza sosta, ci tortura, comanda i nostri comportamenti e quello che pensiamo o proviamo, tiene in scacco l’individuo, lo fossilizza su idee e opinioni. L’uomo tende a considerare tutto ciò come il proprio mondo interiore, ma questa è la più grande delle illusioni. Per quanto le influenze riescano a entrare in profondità, rimangono pur sempre qualcosa che proviene dall’esterno. Krishnamurti sostiene che finché non ci si spoglia di tali influssi, niente di realmente interiore può trovare spazio nell’uomo.
Ciò che può creare libertà è l’uscita dalla mente, ma per fare ciò è necessaria la comprensione non intellettuale del suo funzionamento. Solo allora, sostiene Krishna, si troverà la vera sicurezza che è innocenza. Tale sicurezza è parte della vita che, fluendo, esprime la sua naturale cura per l’uomo.

3.4.1 Memoria, tempo e libertà

La mente è il primo tiranno, ma Krishnamurti afferma la necessità di distinguere conoscenza da intelligenza, entrambi termini associati al pensiero.
La prima è il prodotto diretto della mente, può essere utile nella vita per l’attuazione di scopi pratici, ma diventa profondamente dannosa nel caso in cui sia mezzo di soddisfazione psicologica. Krishnamurti sostiene che proprio questa conoscenza è la principale responsabile della schiavitù umana; essa viene acquisita tramite l’utilizzo della memoria, la sede dell’esperienza, e pone in essere una ripetizione meccanica basata su idee. È la causa di quelle opinioni che s’insidiano rumorosamente nella mente.
La conoscenza è quindi fondamentalmente un’autorità. Essa è direttamente collegata al concetto di tempo, poiché il suo sviluppo, il passato, e il suo futuro, l’aspettativa, prendono vita in questa dimensione. La conoscenza allontana l’uomo dal presente, dove la vita fluisce; rende la creazione statica e porta a concepirla in forma evolutiva.
Il suo funzionamento si basa sul paragone. Ogni cosa conosciuta è definita in base a qualcos’altro. Questo meccanismo crea divisione, è la fonte del conflitto che si manifesta essenzialmente sotto forma di paura.
«Il pensiero di per sé è sempre fonte di divisione, perciò tutte le azioni che si fondano su un’idea o ideologia sono divisione. Il pensiero coltiva il preconcetto, l’opinione, il giudizio. L’uomo di per sé, dal momento che è diviso, cerca la libertà al di là di questa divisione. Dal momento che non è in grado di trovarla spera di poter unificare tutte le divisioni, ma ovviamente questo è impossibile. Non si possono unificare due pregiudizi.»23
Il pensiero tende a legarsi all’esperienza, vuole una sua ripetizione, poiché questo produce soddisfazione e sicurezza, o cerca di sfuggire a un dolore, influendo sul domani con la paura della sofferenza. Il pensiero agisce a tal punto sull’uomo che crea la sua stessa prova, l’esperienza appunto: «Non è che l’esperienza venga a provare la credenza, ma piuttosto è la credenza che dà origine all’esperienza» diceva Krishnamurti e sottolineava: «Voi sperimenterete sempre ciò in cui credete e null’altro. E questo invalida la vostra esperienza».24
La vita così diventa una cosa morta, è continuamente passato. La paura muove gli uomini: è il pensiero dell’ignoto, l’idea di perdere ciò che è conosciuto, il terrore di abbandonare la propria condizione che è vincolata al tempo, il sé, l’identità personale. Krishnamurti sostiene che comprendere il pensiero, nel suo mero funzionamento, non è libertà. Capire è un processo che rimane nelle dimensioni di tempo e spazio dell’elucubrare. È necessario uscire dai confini della mente, ma questo non significa rifiutarla, sopprimerla, ciò creerebbe altro conflitto e dolore poiché l’individuo vivrebbe diviso fra il suo stato e l’ideale di ciò che dovrebbe essere. Krishnamurti non propone in alcun modo il rifiuto di ciò che si è, sarebbe dare forza alla dimensione illusoria del tempo.
La libertà dal pensiero è la fine del pensiero. Qui, la negazione che Krishnamurti usava nei dialoghi si rivela come fondamento del suo insegnamento: «La libertà non consiste nella libertà da qualcosa, questo è solo una reazione. La liberta ha luogo nella negazione totale».25
Quando avviene la negazione di ogni cosa, di qualsiasi tradizione, credenza, appagamento, c’è il vuoto, non il vuoto di una mente poco profonda, ma lo spazio dove può accadere qualsiasi cosa, la Creazione. La negazione totale è un atto che viene posto in essere attraverso l’osservazione e l’ascolto.

3.4.2 Relazione, ascolto e pura osservazione

Krishnamurti afferma che vivere è relazione, poiché se noi siamo il mondo e il mondo è noi, ogni cosa esiste unicamente in uno stato di profonda connessione. Relazione è comunicazione, uno stato di comunione costante: «Questo vuol dire dividere insieme, esplorare insieme, osservare insieme. Infatti, la parola comunicazione significa ‘aver parte’, ‘condividere’».26
Krishna sottolinea come nella pura relazione non sorge contraddizione, consenso, dissenso, problema, poiché l’azione avviene senza punto di vista. A livello psicologico l’individuo che è pensiero ha creato il ‘me’, la separazione del ‘mio’ che ha reso il rapporto un perenne conflitto. Krishnamurti definisce questa condizione il grande ‘limite del pensiero’. Vivere è essere in comunicazione con il tutto, spogliati di ogni autorità esterna. La vera relazione è priva d’immagini, è pura osservazione. È la risposta adeguata che implica sensibilità a se stessi, all’ambiente e ai rapporti. Quando si è sensibili a se stessi, si è inevitabilmente sensibili al mondo, poiché non c’è distinzione. Secondo Krishnamurti, questa è la più alta forma d’intelligenza.
Quanto detto finora ci porta a considerare la natura della violenza. Essa si manifesta come guerra, torture e ogni forma di aberrazione, ma la sua radice è il conflitto, la distanza tra ciò che è e ciò che dovrebbe essere. Violenza è guardare se stessi o ogni cosa attraverso un’immagine, con il filtro di un’idea.
Violenza è assenza di comunicazione, è guardare qualcosa che è vivo con qualcosa che è morto. Violenza è non osservare.
La libertà dell’uomo, il suo ingresso nella vita è pura osservazione e quindi la dissoluzione di ogni forma di violenza. Osservare implica ascolto, sensibilità, intelligenza, elementi che non possono realmente essere separati gli uni dagli altri; sono parte di un unico movimento.
Per Krishnamurti ascoltare è un processo globale, al di là dalla divisione del tempo. Essere capaci di ascoltare significa guardare ciò che abbiamo di fronte, percepire i pensieri e le emozioni che sorgono da questa visione senza fermarli. Implica essere fuori e dentro contemporaneamente. Il pensiero agisce, ma non interferisce con l’esperienza, è un tutt’uno con essa poiché non viene bloccato, non c’è sforzo.
È qualcosa di molto diverso dalla concentrazione, che è esclusione, separazione da qualsiasi cosa non sia l’obiettivo del pensiero. Concentrazione implica distrazione che è assente nell’attenzione.
«Se ascoltate, in questo ascolto avviene un miracolo. Il miracolo è che siete totalmente uno con il fatto […], lo ascoltate e ascoltate anche le vostre reazioni.»27
Siamo arrivati al nucleo dell’insegnamento di Krishnamurti, alla sua originalità: la rivoluzione interiore è questa pura consapevolezza immediata, al di là di qualsiasi mito di evoluzione; la completa comunione tra osservatore e osservato.
Krishnamurti vede come qualsiasi pensiero che stabilisce divisione è un ostacolo alla libertà. Il cervello, il suo funzionamento, esiste, è reale. Non può essere riempito indistintamente con informazioni non utili alla vita pratica e quindi tendenti a offuscare, ma allo stesso tempo non va lasciato al suo disordinato vagare. Educare il cervello è necessario e consiste nella libertà di lasciarlo manifestare, significa dare modo a un pensiero o sentimento di essere, di fiorire.
Secondo Krishnamurti, il pensiero può fiorire solo nella consapevolezza, in quello stato di ascolto totale; qui avviene l’esperienza della libertà: «Il fiorire del pensiero è anche la fine del pensiero».28
L’ascolto totale è «l’arte dell’abbandono» attraverso la quale l’osservatore diventa l’osservato; egli non esiste più in quanto tale poiché è libero dal passato: «Quando c’è questo tipo diascolto, non c’è un ascoltatore; c’è solo il vedere il fatto, la verità o la falsità del fatto».29
Nell’ascolto c’è l’attenzione senza resistenza di una mente viva. L’arte dell’ascolto è pura osservazione, l’unica vera azione, tutto il resto è reazione; vedere e ascoltare senza una coscienza che soppesa è «un protendersi all’esterno dove non c’è ricevere» dice Krishnamurti «è il movimento totale della libertà».30

3.4.3 Mente scientifica e spirito religioso

La pura osservazione è qualcosa di estremamente razionale, ma non dà spazio al pensiero.
Secondo Krishnamurti ci sono solo due attitudini nel mondo: la mente scientifica e lo spirito religioso.
La mente scientifica è fattuale: mira a scoprire e identificare una cosa come realmente è; dalla percezione essa trae conclusioni e costruisce teorie. La scienza esplora il mondo indipendentemente da pregiudizi e opinioni. Tuttavia la mente scientifica e il suo prodotto, la scienza, sono diventate mezzo di affermazione e divisione in un mondo malato.
La mente religiosa non ha limiti, non fa parte di nessun gruppo, chiesa organizzata o religione; essa non appartiene a una nazione e non è in alcun modo condizionata dall’ambiente. Il vero spirito religioso è una mente fresca, innocente, sempre giovane, una mente che non avendo legami o paure può vivere Dio. «Quando dalla mente è stato spazzato via tutto: simboli, immagini, riti, fedi, tutte le parole, i mantra, le formule ripetute senza interruzione e tutte le paure» diceva Krishnamurti«allora quello che vedete sarà la realtà, il senza tempo, l’eterno, che potete chiamare Dio».31
Lo spirito religioso è imprescindibile dalla conoscenza di se stessi. Questo significa indagare il corpo, le emozioni, i pensieri e la mente. Ma come? Attraverso la mente scientifica che è chiara e precisa, che osserva e vede senza pregiudizi o condanne: «La fioritura della mente può avere luogo solo quando ci sia una percezione chiara, oggettiva, impersonale, alleviata da ogni sorta di imposizioni».32
Secondo Krishnamurti un essere umano è davvero tale quando lo spirito religioso e l’attitudine scientifica sono parte dello stesso movimento di consapevolezza; in questa condizione essi non esistono come entità separate che devono essere riunite, ma come un nuovo unico movimento che fiorisce dall’intelligenza e dalla mente creativa. Si realizza quindi quell’assenza di contraddizione o di opposizione che è il vivere in completa armonia.
L’approccio di Krishnamurti è così in un certo senso secolare, ma contemporaneamente profondamente religioso.

3.4.4 ‘Miracolo’ del nuovo, meditazione e la vita religiosa

Quella che Krishnamurti definisce «pura osservazione» è il vedere totale privo del movimento del sé e del tempo. È guardare con «lo sguardo dell’amore» che conduce dove il pensiero non può andare: «Vedere una nuvola sulla montagna senza il pensiero e le sue reazioni, è il miracolo del nuovo; non è bello, è esplosivo nella sua immensità; è qualcosa che non è stato e non sarà mai».33
Non esiste passato o futuro, ma solo presente: «È la totalità della vita, e non il frammento della totalità del pensiero. Non c’è bellezza, ma soltanto una nuvola su una montagna: questo è creazione».34
Il «miracolo del nuovo» si apre ai nostri occhi attraverso la consapevolezza passiva possibile solo con la morte del sé. Questa non è la fine di ogni cosa, ma l’ingresso nella Vita.
Per Krishnamurti non esiste il cambiamento, ma solo «il fuoco della creazione, che è distruzione, è vita», la fine del dolore, dell’autorità, della dipendenza. Vivere significa morire, le due cose non possono essere separate. La rivoluzione interiore non è pura distruzione, ma è trasformazione di momento in momento, è amore.
La Verità non è qualcosa di esatto, di misurabile, la sua natura implica un continuo e incessante rinnovamento nel presente. Secondo Krishnamurti, comprendere che cos’è la misurazione conduce a capire esattamente la natura della meditazione. Misurare è il modo in cui il cervello è abituato a pensare. L’osservazione di questo meccanismo provoca non solo una rivoluzione a livello psicologico, ma un vero e proprio mutamento delle cellule cerebrali. Si crea uno spazio. La necessità di comprendere che cosa sia la misurazione, attraverso l’ascolto, mette fine alla misurazione stessa: «Vivere senza nessun senso di misurazione è meditazione».35
La meditazione non è uno stato che si raggiunge con determinate tecniche, non ha metodo, non ha scopo, è lo stato di silenzio della mente libera dal chiacchierio del pensiero. Meditazione è la suprema arte dell’imparare, l’essenza dell’educazione:
«La vita stessa è il vostro maestro e voi siete in uno stato di apprendimento costante».36
L’apprendimento è privo di accumulazione, è un’arte. Per Krishnamurti arte significa «mettere ogni cosa al suo giusto posto, al posto a cui appartiene».37
Ogni cosa è la realtà e la meditazione non è qualcosa di separato da ciò. Meditazione è relazione con la vita quotidiana, è dare libertà a ogni cosa di raccontare la propria storia senza interferenza, senza scelta; è l’ordine che nasce da questo ‘fiorire’.
«Quando c’è ordine c’è virtù, virtù nel comportamento»38 dice Krishna, poiché non c’è reazione, ma azione, non c’è separazione, ma comunione con il movimento della Vita. Questo significa sensibilità verso la realtà tutta che dà origine all’amore e dischiude la Verità. La vita religiosa è questa ricerca senza scelta della Verità, il cammino attraverso la «terra senza sentieri».

3.4.5 Al di là del pensiero

Quando si tenta di rispondere alla domanda: «Com’era vivere con quell’uomo?», si giunge fino a una soglia che sembra essere impossibile oltrepassare con il pensiero. Alcuni aspetti della figura di Krishnamurti rimangono legati al mondo dell’ignoto.
Egli ha sempre rifiutato qualsiasi attribuzione di santità o venerazione, ma le esperienze della sua vita testimoniano qualcosa di assolutamente non comune, come pure il suo rivoluzionario insegnamento. Krishnamurti stesso si rendeva conto che c’era in lui qualcosa di non ordinario, e talvolta con gli amici più intimi tentò di indagare sul suo mistero.
Naturalmente egli, non avendo alcuna immagine di se stesso, dimostrava il suo interesse in maniera del tutto impersonale.
Dal momento stesso in cui prese parte a questo mondo con la nascita nella stanza della Puja, Krishnamurti fu oggetto di numerose profezie; queste in qualche modo si rivelarono vere, ma in una maniera diversa da ciò che ci si poteva aspettare.
Forse il chiaroveggente Leadbeater e Annie Besant avevano visto veramente la natura di Krishna, ma filtrandola con i simboli che conoscevano e quindi distorcendola. Oppure il giovane ragazzo doveva passare attraverso la pressione psicologica cui fu sottoposto con l’appartenenza alla Società teosofica per riuscire a sviluppare l’incredibile insegnamento della sua vita.
Krishnamurti non negò mai apertamente di essere il Maestro del Mondo, affermò semplicemente che ciò non era di alcuna importanza. «Ho detto soltanto che non importa chi o che cosa io sia, ma che si dovrebbe esaminare ciò che dico, il che non significa che abbia negato di essere il Maestro del Mondo»39 disse a Lady Emily poco tempo dopo la dissoluzione dell’Ordine della Stella.
Krishna nell’impersonale osservazione di se stesso si chiedeva quali caratteristiche avesse la mente del ‘ragazzo’ (termine con il quale si riferiva alla sua persona), che cosa lo avesse protetto dal diventare un mostro a seguito di tutte quelle adulazioni e pressioni. Egli non aveva quasi alcuna memoria della sua vita passata, come raccontò.
«Stare lì, solo, sperduto e stranamente in disparte, è il suo primo e ultimo ricordo di quei giorni e di quegli eventi. Non ricorda la sua infanzia, la scuola e i colpi di bambù» raccontò Krishna un giorno «… non aveva mai trattenuto coscientemente alcun avvenimento, piacevole o spiacevole, che entrava nella sua mente. Tutto veniva, non lasciava segni e andava via».40
Come aveva fatto quel ragazzo assente, e secondo alcuni quasi stupido, a diventare un rivoluzionario oratore? Che dire poi dell’inspiegabile ‘processo’? Tante ipotesi sono state fornite al riguardo ma nessuna sembra dare una risposta soddisfacente. Certo è che Krishna lo considerò sempre qualcosa di naturale, qualcosa che doveva avvenire dal momento che mai chiamò un dottore. Egli talvolta parlò di se stesso come di un ‘fenomeno biologico’ e questo porterebbe a pensare che si ritenesse il prodotto di qualcosa di eccezionale.
«C’è qualcosa che va avanti all’interno del mio cervello senza il mio invito, pensiamo alle varie esperienze che hanno avuto luogo a Ojai e in altre occasioni»41 disse una volta.
Tuttavia Krishna non voleva che si ritenesse la sua esperienza qualcosa di unico, poiché ciò avrebbe significato che gli altri non potevano ottenerla. Egli aveva sempre creduto nell’insegnamento e nella possibilità per tutti di viverlo, ma questo non negava che egli fosse un ‘fenomeno’ dal punto di vista fisico: «Il fenomeno è stato conservato per l’insegnamento, ma il fenomeno è del tutto privo di importanza»42 chiarì.
Krishna era convinto che la sua vita fosse stata programmata; c’era qualcosa, diceva, che aveva sempre protetto il suo corpo. Egli stesso era molto cauto a non sottoporre la sua persona a sollecitazioni o pericoli. «Il corpo è qui per parlare: è stato allevato a quel modo e il suo fine è parlare. Ogni altra cosa è impropria».43
Lo stesso vuoto presente sin dall’infanzia era stato in qualche modo custodito. Egli stesso era stupito che questo vuoto nella sua mente fosse sempre rimasto tale per tutta la vita. Parlò con Mary Zimbalist al riguardo, suggerendo che tale condizione era forse stata mantenuta per poter comunicare l’insegnamento, per dire al mondo che tale stato è accessibile a tutti. «Questo deve essere possibile per tutto il genere umano. Se no, che senso avrebbe?»44 disse.
Krishnamurti sottolineò come la protezione non si manifestasse solo rispetto al corpo: «C’è una forma separata di protezione, come se il futuro fosse più o meno scritto. Una protezione di genere diverso, che non riguarda soltanto il corpo».45
Ma che cos’era quella cosa che lo aveva protetto? E se la sua mente era vuota da dove proveniva l’insegnamento? Chi lo aveva creato? Krishnamurti uomo o qualcos’altro? «È come… quale… qual è il termine biblico? Rivelazione. Succede tutto il tempo quando parlo»46 disse. Questa rivelazione avveniva senza che Krishnamurti ci pensasse e sottolineò che, quando tentava di farlo, essa si fermava.
Per il resto del tempo, quando egli non aveva necessità di comunicare, la sua mente restava completamente vuota. Sembrava che tale condizione del suo cervello fosse lo spazio necessario per esprimere l’insegnamento, lo scopo della sua vita.
La rivelazione non era il risultato di una rielaborazione o traduzione; essa si manifestava nella sua forma logica e razionale quando la mente non interferiva. Krishnamurti disse poi che, conoscendo l’uomo Krishnamurti, riteneva improbabile che egli fosse la sorgente della rivelazione.
Ma fino a che punto era possibile distinguere questi da colui che parlava? Gli stati di «benedizione», di «immensa vastità», che egli descrisse nei diari personali, e «quel vasto vuoto» non erano forse la stessa cosa? E quelle esperienze non erano quella stessa condizione di meditazione di cui egli parla nel suo insegnamento? Tuttavia quel vuoto sembrava anche essere una condizione innata. Krishnamurti stesso non poteva saperlo poiché diceva: «Quando una mente è vuota, solo in un secondo momento si rende conto di esserlo stata».47
Secondo alcuni, l’ispirazione che permetteva a Krishna di comunicare il suo insegnamento non era diversa dalla genialità dell’artista. Egli negò categoricamente questa possibilità, affermando che lo spirito religioso non ha nulla a che vedere con il genio, che è prodotto del pensiero, ed era convinto che quando si parlava del suo mistero, in tutti i suoi aspetti, si era di fronte a qualcosa di estremamente sacro.
Krishnamurti nella sua indagine poteva tuttavia arrivare solo fino a un certo punto; egli disse che non era in grado di scoprire quale fosse la verità sul mistero: «L’acqua non può scoprire che cos’è l’acqua» affermò. Egli non poteva sollevare il velo, sentiva che non era affar suo, che non doveva farlo; si trattava di qualcosa di sacro, che la mente conscia non era in grado di raggiungere o esprimere.
In un’occasione, parlando con qualche amico poco tempo prima della morte, Krishna fornì la sua opinione sulla questione in maniera più organica.
«Per settant’anni quella super energia, no, quell’immensa energia, immensa intelligenza, ha costantemente usato il corpo. Io non penso che la gente si renda conto di quale tremenda energia e intelligenza sono passate per questo corpo. È come un motore a dodici cilindri. E per settant’anni […] è stato un tempo abbastanza lungo […]. Nessuno, a meno che il corpo sia stato preparato e protetto e così via, nessuno può comprendere che cosa sia passato per questo corpo. Nessuno. Che nessuno lo pretenda. Nessuno. Ripeto questo: nessuno di noi o dei miei ascoltatori sa come sono andate le cose. So che non lo sanno. Non troverete un corpo come questo, né quella suprema energia al lavoro in un corpo per molte centinaia di anni. Non lo rivedrete un’altra volta. Quando se ne va, se ne va. Non rimane nessuna coscienza di quella coscienza, di quello stato. Tutti loro pretenderanno o tenteranno di immaginare di poter entrare in contatto con essa. Forse in qualche modo ci entreranno se vivranno gli insegnamenti. Ma nessuno lo ha fatto. Nessuno. E questa è una realtà.»48
Sembra che Krishnamurti in qualche modo fosse in grado di sciogliere il mistero, ma non poteva farlo razionalmente, spiegarlo. «Stiamo provando a toccare un mistero?»49 chiese una volta mentre indagava con Mary Zimbalist. Poi aggiunse: «Nel momento in cui lo comprendi non è più un mistero. Ma la sacralità non è un mistero. Per cui noi stiamo tentando di rimuovere il mistero che conduce alla fonte».50
Sembra naturale dire che come sempre, quando si parla di Krishnamurti, si può osservare la totale coerenza fra ogni aspetto della sua vita e ciò che egli dichiarò essere il fine della sua esistenza: liberare l’uomo. Anche rispetto al suo mistero in qualche modo l’invito, la soluzione, è camminare attraverso la «terra senza sentieri».

Note
1. M. Lutyens La vita e la morte di Krishnamurti, Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma, 1990, p. 161.
2. Krishnamurti Jiddu La sola rivoluzione, Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma, 1973, p. 129.
3. M. Lutyens La vita e la morte di Krishnamurti, cit., p. 153.
4. Krishnamurti Jiddu The Only Revolution, Victor Gollancz, Londra, 1970, trad. dell’autrice.
5. Ibidem.
6. S. Weeraperuma J. Krishnamurti. Come l’ho conosciuto io, Aequilibrium, Milano, 1992, p. 65.
7. Jiddu Krishnamurti Taccuino, Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma, 2007, p. 51.
8. Ivi, p. 12.
9. Krishnamurti Jiddu A se stesso, Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma, 1990, p. 125.
10. Ivi, p. 127.
11. M. Lutyens La vita e la morte di Krishnamurti, cit., p. 207.
12. Ibidem.
13. S. Holroyd Krishnamurti, l’uomo, il mistero, il messaggio, Edizioni Il Punto d’Incontro, Vicenza, 1993, p. 66.
14. Ibidem.
15. Nel testo originale in inglese, Krishnamurti usa il termine dissection, ossia ‘dissezione’ che ha una valenza più intensa rispetto a dissertazione.
16. M. Lutyens La vita e la morte di Krishnamurti, cit., pp. 158-159.
17. Jiddu Krishnamurti Una scuola per la vita, Aequilibrium, Milano 1988, p. 8.
18. Ivi, p. 9.
19. Jiddu Krishnamurti La prima e ultima libertà, Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma,1969, p. 10.
20. Jiddu Krishnamurti Lettere alle scuole, Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma,1983, p. 8.
21. Jiddu Krishnamurti Al di là della violenza, Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma, 1974, p. 30.
22. Jiddu Krishnamurti Libertà dal conosciuto, Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma, 1973, p. 10.
23. Jiddu Krishnamurti The Urgency of Change, Harper and Row, New York, 1970, trad. dell’autrice.
24. S. Holroyd Krishnamurti, l’uomo, il mistero, il messaggio, cit., p. 123.
25. Jiddu Krishnamurti The Urgency of Change, cit., trad. dell’autrice.
26. Jiddu Krishnamurti Al di là della violenza, cit., p. 12.
27. Jiddu Krishnamurti Questa luce in se stessi, Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma, 2007, p. 104.
28. Ibidem.
29. Ibidem.
30. Jiddu Krishnamurti Taccuino, cit., p. 50.
31. Jiddu Krishnamurti Una scuola per la vita, cit.
32. Jiddu Krishnamurti Lettere alle scuole, cit., p. 8.
33. Jiddu Krishnamurti Taccuino, cit., p. 50.
34. Ibidem.
35. Jiddu Krishnamurti Questa luce in se stessi, cit., p. 108.
36. Jiddu Krishnamurti Una scuola per la vita, cit., p. 13.
37. Jiddu Krishnamurti Verità e realtà, Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma, 1978, p. 104.
38. Krishnamurti Libertà dal conosciuto, cit., p. 46
39. S. Holroyd Krishnamurti, l’uomo, il mistero, il messaggio, cit., p. 78.
40. M. Lutyens La vita e la morte di Krishnamurti, cit., p. 155.
41. Ivi, p. 147.
42. S. Holroyd Krishnamurti, l’uomo, il mistero, il messaggio, cit., p. 81.
43. M. Lutyens La vita e la morte di Krishnamurti, cit., p. 176.
44. Ivi, p. 170.
45. Ivi, p. 176.
46. Ivi, p. 173.
47. Ivi, p. 175.
48. Ivi, p. 213.
49. Ivi, p. 174.
50. Ibidem.