Haṃsa Libera Scuola di Hatha Yoga

Amanda Morelli

BODHIDHARMA

3.4 Il Ch’an in Corea e Giappone

Il Buddhismo Ch’an cominciò a diffondersi fuori dalla Cina molto presto, prima ancora del successo che, per diversi secoli, ne fece la principale scuola buddhista cinese. Innanzi tutto, esso si diffuse in Corea, e successivamente in Giappone.

Fu un allievo del quarto Patriarca Tao-hsin di nome Pomnang a esportare per primo gli insegnamenti del Ch’an in Corea. La linea di successione di Pomnang non ebbe però successo e finì nel nulla. Il Ch’an si affermò quindi solo a partire dall’VIII secolo, quando diversi allievi coreani del maestro cinese Matsu, particolarmente conosciuto per i suoi metodi di insegnamento anticonvenzionali, fecero ritorno in patria fondando scuole e monasteri.
Già nel X secolo erano sorti i nove principali centri monastici del Ch’an coreano, conosciuto con il nome di Son o come Scuola delle nove montagne.

È dalla Corea che, intorno alla metà del VI secolo, il Buddhismo giunse in Giappone. Esso arrivò sotto forma di dono: i regnanti di Paekche offrirono all’imperatore giapponese un’immagine del Buddha Sakyamuni, eleganti rotoli che raccontavano la sua vita e tutti gli strumenti necessari alla cura dell’immagine dell’Illuminato. Nonostante l’opposizione di gran parte dell’élite regnante, la famiglia imperiale accettò il dono, che divenne poi parte del primo tempio buddhista giapponese.
Fu però sotto il principe Shotoku, che regnò a cavallo tra VI e VII secolo, che l’attenzione imperiale verso il Buddhismo prese forma attiva: desideroso di approfondire la sua conoscenza, egli inviò in Cina un gruppo di studiosi al fine di raccogliere testi e indagare in profondità la nuova fede. Da allora furono molte le scuole che arrivarono in Giappone: inizialmente si trattava di correnti specializzate nello studio di particolari sutra, poi fecero il loro ingresso la Scuola Tendai, il movimento Shingon (derivazione del Buddhismo esoterico cinese) e, all’inizio dell’era Kamakura1, la Scuola della terra pura.

Dall’arrivo del Buddhismo in Giappone, ci vollero quindi diversi secoli prima che lo Zen facesse la sua apparizione: nonostante alcune nozioni della scuola di Bodhidharma fossero giunte mescolate a quelle di altre scuole nei secoli precedenti, fu solo con Eisai (1141-1215), capostipite dello Zen Rinzai, e Dogen (1200-1253), allievo di Eisai e fondatore della scuola Soto, che il Ch’an prese forma come movimento distinto.

Una terza scuola, che coniugava le pratiche del Ch’an con la recitazione del nome di Amitabha Buddha, fece la sua apparizione nel XVII secolo. Introdotto dal cinese Yin Yuan (Ingen Ryuki), l’Obaku Zen non scalfì il primato conquistato dalle Scuole Soto e Rinzai, che rimangono ancora oggi le due principali istituzioni buddhiste giapponesi.

3.4.1 La bambola Bodhidharma

L’arrivo e il successo del Ch’an in Giappone fu accompagnato dal diffondersi della sua storia e dei racconti circa le sue origini. Una leggenda giapponese dice che Bodhidharma lasciò la Cina non per tornare in India, ma per recarsi in Giappone: duplicando la sua miracolosa traversata dello Yangtze, egli avrebbe attraversato il mare con una semplice canna di bambù.
Molto più probabilmente invece il primo Patriarca giunse in Giappone nascosto in qualche testo sacro sotto forma di raffinati ideogrammi o conquistando l’immaginazione di giovani monaci giapponesi, ansiosi di conoscere la Via del Ch’an.

L’origine della tradizione

In Giappone, Bodhidharma è conosciuto con il nome di Daruma. Daruma tuttavia non è solo il mitico maestro indiano che, dopo aver attraversato mari e monti, combattuto l’ignoranza degli uomini e aver meditato per nove anni in una grotta, aveva fondato il Buddhismo Zen, ma è anche una diffusissima bambola senza braccia e senza gambe. La versione giapponese della leggenda del primo Patriarca racconta infatti che l’intensa pratica meditativa nella grotta nei pressi di Shao-lin-si avrebbe provocato l’atrofizzazione e poi la caduta dei suoi arti. Da qui la rappresentazione del grande maestro sotto forma di bambola ovale.

È interessante notare che, se in Cina e in tutti i Paesi dove si sono diffusi il Ch’an e, più recentemente, il Kung Fu, Bodhidharma è conosciuto e venerato come primo Patriarca, santo buddhista, iniziatore delle arti marziali e introduttore del consumo del tè (la cui prima pianta sarebbe nata dalle sue palpebre tagliate e gettate al suolo), in Giappone egli è una vera e propria celebrità. Al di là dei templi e dei monasteri, lo si può trovare praticamente in tutti i luoghi della vita quotidiana, dalle abitazioni private ai ristoranti, alle strade, agli edifici pubblici. La sua presenza è pervasiva ed eccentricamente varia per quanto riguarda forme e ruoli assunti. La figura di Daruma è riprodotta in dipinti o su carta, scolpita e creata industrialmente sotto forma di artefatti in plastica e in questa molteplicità di supporti fisici, egli può divenire giocattolo, talismano, decorazione, opera d’arte o venerabile fondatore dello Zen.

La diffusione della figura di Bodhidharma coincise con la fioritura dello Zen sotto il periodo Kamakura (1185-1333) e con la sua affermazione presso la classe militare dei Samurai, la cui attrazione per lo Zen assicurò alla nascente tradizione il successo che da allora ha conosciuto in Giappone.
Il sostegno del potere politico e militare favorì un notevole sviluppo artistico, il quale andò prolungandosi anche nel successivo periodo Muromachi e oltre. Bodhidharma divenne uno dei soggetti principali della pittura buddhista, la cui pratica si diffuse dai monasteri, dove i monaci usavano dipingere se stessi con l’aspetto di Bodhidharma, fino alle sale dell’imperatore. Intanto, l’immaginario popolare elaborava il racconto della lunga pratica meditativa del primo Patriarca, dando origine alla leggenda della perdita di braccia e gambe.

L’immagine di Bodhidharma seduto in meditazione divenne un simbolo fondamentale per la Scuola Soto, la quale sottolineava innanzi tutto l’importanza della meditazione seduta (zazen), mentre il Bodhidharma senza arti divenne un simbolo collettivo di perseveranza e resistenza alle avversità della vita: ‘Sette volte giù, otto volte su’ recita un proverbio. La bambola Daruma ha infatti la qualità di risollevarsi sempre.

Daruma: un talismano

Inizialmente, le bambole Daruma venivano utilizzate per proteggere i bambini dal vaiolo e così il primo Patriarca andò ad affiancare tante divinità che avevano lo stesso ruolo in altre culture, divenendo il dio del vaiolo2. La bambola Daruma, rappresentazione della divinità, era quindi innanzi tutto un talismano contro la malattia, funzione che ha conservato fino a oggi, pur perdendo il legame con il vaiolo, da tempo scomparso dal Giappone.

Oggi i colori più comuni con cui vengono dipinte queste bambole votive sono il rosso, il giallo, il verde e il bianco. La raffigurazione è molto stilizzata e gli unici particolari disegnati sono barba e baffi, mentre gli occhi sono rappresentati come cerchi bianchi. Un’abitudine molto diffusa quando si acquista o si riceve una Daruma è quella di colorare uno degli occhi della bambola di nero, esprimendo contemporaneamente un desiderio. L’altro occhio verrà completato solo a desiderio esaudito, e la bambola potrà essere riportata al tempio dov’era stata acquistata per essere bruciata.

Onna Daruma: il Bodhidharma-cortigiana

Un ultimo particolare curioso è il fatto che, nonostante il monaco Bodhidharma fosse un uomo, le bambole Daruma non sono rappresentate solo in vesti maschili. Esistono infatti anche bambole chiamate onna Daruma, ossia ‘Daruma donna’.
L’origine di queste raffigurazioni femminili di Bodhidharma risale con buone probabilità al periodo Edo, quando il pittore Hanabusa Itcho creò una rappresentazione ibrida tra il primo Patriarca e una prostituta. Sembra che questa idea fosse sorta dal racconto del seguente aneddoto: in un giorno come tutti gli altri, sul finire del XVII secolo, la più bella cortigiana del distretto a luci rosse della capitale Edo, l’attuale Tokyo, sentì raccontare la storia del monaco Bodhidharma, di cui si narravano con reverenza i nove anni trascorsi in meditazione. Ma invece di mostrarsi impressionata, la giovane, che di nome faceva Han Tayu, disse: «Che cosa c’è di così speciale in questo? Le prostitute passano il giorno e la notte sedute ad aspettare i clienti, non di fronte a un muro ma di fronte alla strada. In dieci anni di questa misera vita, ho già superato Bodhidharma di un anno». Dimostrando un grande senso dell’umorismo, il pittore Hanabusa Itcho avrebbe dunque preso spunto da questa storia per creare un nuovo personaggio, il Bodhidharma-cortigiana.3
Le bambole Daruma donna sarebbero anche all’origine delle matrioska russe. Nel 1890, qualcuno portò ai Mamontovs, una ricca famiglia di industriali e mecenati russi, una bambola proveniente dall’isola di Honsu. Si trattava di una bambola in legno che si apriva in due rivelando al suo interno altre cinque bambole di dimensione decrescente inserite l’una dentro l’altra. Dieci anni dopo, dismessi gli abiti del dio della fortuna Bodhidharma e vestiti quelli della Grande Russia, la matrioska faceva il suo ingresso all’Esposizione universale di Parigi, vincendo la medaglia d’oro come giocattolo tipico russo.

3.5 Bodhidharma e lo Shao-lin Ch’üan

Prima di analizzare i principi e le tecniche pratiche del Ch’an, consideriamo un ultimo interessante ruolo attribuito a Bodhidharma nel corso dei secoli, ossia quello di fondatore delle arti marziali note con il nome di Shao-lin Kung Fu.

L’origine della stupefacente popolarità del monastero di Shao-lin dipende in gran parte dall’industria cinematografica di Hong Kong e di Hollywood. A partire dagli anni Sessanta, i film di Bruce Lee fecero conoscere al pubblico occidentale la pratica del Kung Fu, e il monastero di Shao-lin, disperso tra le montagne della Repubblica cinese, divenne improvvisamente famoso.

Oggi i monaci-guerrieri di Shao-lin propongono in tutto il mondo spettacoli di rara bellezza, in cui le antiche arti del Kung Fu vengono piegate alle necessità del circo o del teatro. Molti di loro hanno fondato scuole fuori dalla Cina o tentato la via del cinema, sulla scia di Bruce Lee.
Sebbene l’addestramento a Shao-lin-si sia ancora orientato verso il rigore e la purezza originaria, è innegabile che il monastero sia diventato, se non nell’anima almeno nel corpo, un prodotto del grande mercato globale. Basti pensare che l’industria del turismo e dell’educazione legata a Shao-lin-si rappresenta una delle prime voci in attivo dell’altrimenti scarna economia della regione che lo circonda (la provincia di Henan). Manifestazioni a finanziamento statale come lo Shao-lin Martial Arts Festival, pubblicizzato in tutto il mondo dall’Ufficio del turismo cinese, dimostrano quale sia il livello di commercializzazione a cui il monastero è stato sottoposto.
Nonostante i mezzi di comunicazione di massa e la diffusione mondiale delle arti marziali abbiano reso il fenomeno particolarmente accentuato, esso non rappresenta una novità assoluta. Sono attestate infatti già a partire dal periodo Ming delle critiche alla ricchezza eccessiva del monastero e alla sua collusione con il potere politico (cui forniva sostegno militare). Al di là degli attacchi, però, esso è ricordato anche come luogo di fondamentale importanza per la lunga storia del Buddhismo e della cultura cinesi.

3.5.1 La storia di Shao-lin-si

Il monastero di Shao-lin venne fondato nel V secolo da un monaco di origini indiane, conosciuto con il nome sinizzato di Batuo (o Fatuo). Fu il legame di quest’ultimo con l’imperatore a rendere possibile la costruzione del monastero, che sostituì un antico eremo legato al Tempio del cavallo bianco, il primo tempio buddhista cinese. Pare che il monastero di Shao-lin venne costruito espressamente per Batuo, maestro di dottrina, in modo che ne facesse un centro di educazione religiosa. Alcune fonti suggeriscono che egli vi fondò anche un centro di traduzione dei testi buddhisti, dove transitarono esperti e celebri traduttori.

Il primo Patriarca e Shao-lin-si

Fu a partire dall’VIII secolo che la fama del monastero cominciò lentamente a diffondersi in tutta la Cina. Cavalcando l’onda d’espansione della Scuola Ch’an, il monastero legò la propria storia con quella del suo leggendario fondatore, Bodhidharma. Il legame venne istituito dai successori del Patriarca innanzi tutto con il monte Sung, dove egli viene fatto risiedere, senza alcun accenno al monastero di Shao-lin, a partire dal 645. Quasi 70 anni dopo, contemporaneamente all’idea di una linea di trasmissione ininterrotta rintracciabile all’indietro fino a Bodhidharma (il lignaggio del Ch’an), compare per la prima volta nelle fonti l’associazione tra questi e il monastero.
Tale associazione è confermata da numerose iscrizioni conservate a Shao-lin-si, sulle quali è stata incisa nel corso dei secoli la storia del primo Patriarca, a conferma del suo crescente legame con il monastero e le arti marziali.

Un esempio molto interessante dell’intricata rete di influenze reciproche tra la Scuola Ch’an e lo Shao-lin Ch’üan (letteralmente ‘Pugno della giovane foresta’) è la diversa interpretazione data all’episodio della trasmissione del Sigillo della Mente del Buddha da Bodhidharma a Hui-k’o.
Come ricorderete, prima di rimettersi in cammino verso l’India, il primo Patriarca aveva chiesto ai suoi quattro allievi di dargli una prova verbale della loro comprensione dei suoi insegnamenti. Attraverso una metafora di tipo corporeo, egli aveva giudicato il livello di comprensione di ciascuno di loro, indicando Hui-k’o come colui che, avendo ricevuto il midollo, sarebbe divenuto il secondo Patriarca. Nel racconto, a mano a mano che i quattro allievi di Bodhidharma prendono la parola, la loro comprensione va affinandosi; la metafora segue anch’essa questo movimento, procedendo dall’esterno verso l’interno del corpo del maestro. Il midollo è quindi un’immagine concreta che si riferisce all’essenza dell’insegnamento di Bodhidharma raggiunta da Hui-k’o. Ma questa non è l’unica interpretazione possibile.

Con lo svilupparsi della tradizione marziale al monastero di Shao-lin, il midollo della metafora venne interpretato come un riferimento al nome di un manuale segreto che Bodhidharma avrebbe trasmesso al suo discepolo Hui-k’o, e che poi sarebbe in seguito andato perduto. Secondo questa interpretazione, tale manuale conteneva i segreti degli esercizi insegnati al monastero dal grande maestro. Al suo arrivo, infatti, i monaci che vi risiedevano si trovavano in condizioni fisiche assolutamente deplorevoli, al punto che non erano in grado di praticare la meditazione. Così Bodhidharma ebbe compassione e insegnò loro alcuni esercizi detti ‘Yijinjing’ e delle pratiche di purificazione. I primi sarebbero stati raccolti nel Classico del cambiamento dei tendini o dei muscoli (Yijinjing) e le seconde nel Classico del lavaggio del midollo (Xisuijing). È a quest’ultimo che farebbe riferimento Bodhidharma nell’ultimo colloquio con i suoi allievi.
Dei due testi solo il primo è giunto fino a noi, ma le interpretazioni sulla sua origine, seppur contrastanti, sono concordi nell’escludere un’attribuzione al primo Patriarca.

L’eremo del primo Patriarca

In ogni caso, al di là dell’accertabilità storica della presenza di Bodhidharma al monastero di Shao-lin, è innegabile che la costruzione della sua immagine nel tempo sia legata indistricabilmente a esso. Il culmine di questo processo è stato l’edificazione, finanziata da Shao-lin-si, di un tempio in onore del maestro, costruito non lontano dal monastero, a ricordo della sua vita spesa nella solitudine della meditazione. Questo tempio, eretto nel 1125, è conosciuto con il nome di Chuzu an, letteralmente ‘eremo del primo Patriarca’, ed è stato conservato in ottimo stato fino a oggi.
Con la costruzione di un tempio dedicato al primo Patriarca, questi divenne a pieno titolo un santo buddhista, e con il tempo andò creandosi un vero e proprio percorso di pellegrinaggio avente come tappe il tempio di Shao-lin (dove venivano conservate le reliquie di Bodhidharma, il sandalo e la veste), l’eremo del primo Patriarca e la grotta dove egli aveva meditato per nove anni, lasciando i segni della sua presenza.4
All’epoca della costruzione dell’eremo, il Ch’an viveva il suo periodo di maggior splendore: era la scuola buddhista più influente del Paese, e Bodhidharma, da fondatore del Ch’an, era divenuto un santo popolare del vasto pantheon buddhista cinese. La diffusione della sua scuola e del culto della sua immagine vennero ampiamente sfruttate da Shao-lin-si contribuendo a conferire un’aura di santità al monastero e alle pratiche marziali che vi si insegnavano e praticavano.

Tuttavia quale sia il legame di Bodhidharma con il Kung Fu e con il monastero di Shao-lin non è chiaro. I testi attribuitigli, il Classico del cambiamento dei muscoli e dei tendini e il Classico della purificazione del midollo, con ogni probabilità non sono stati redatti prima del XVII secolo.
Al Patriarca è attribuito anche uno specifico esercizio, il Luohan Shiba Shou. Secondo la tradizione si trattava di una serie dinamica comprendente diciotto passaggi, in cui venivano combinate tecniche di respirazione, di tensione e rilassamento muscolare e infine di meditazione; sarebbe stato insegnato da Bodhidharma ai monaci al fine di migliorare le loro condizioni di salute e consentire loro una pratica efficace della meditazione. Anche questa attribuzione è messa in discussione dagli studiosi ed etichettata come un’invenzione posteriore di diversi secoli.

3.5.2 Il Kung Fu e il Ch’an

Nonostante le premesse e i dubbi ancora aperti, la costruzione di tanti duraturi legami tra Shao-lin-si e il primo Patriarca evidenzia quale sia stata l’importanza del Ch’an (di cui Bodhidharma è simbolo e rappresentante) nello sviluppo dello Shao-lin Ch’üan. Se da un lato l’immagine del primo Patriarca venne utilizzata per dare un’aura di sacralità al monastero, è innegabile che lo sviluppo dell’arte del Kung Fu sia stato influenzato dai principi del Ch’an; non a caso esso viene definito come una meditazione in movimento.

Come qualsiasi tecnica di meditazione, il Kung Fu, nella speciale versione elaborata a Shao-lin-si, permette di sviluppare la focalizzazione completa della mente su un oggetto (che in questo caso è un’attività), con la conseguenza di togliere legna al fuoco dall’ego.
In altre parole, attraverso la concentrazione nella pratica corporea, ogni percezione di sé come unità separata progressivamente scompare, aprendo al praticante le porte della vera libertà, quella priva di tempo e di memoria. Così l’apprendimento delle arti del combattimento diviene, anche nel suo essere uno strumento per affrontare la paura della morte fisica, il mezzo attraverso cui superare la paura della morte dell’ego e affidarsi infine al fluire del reale, vivendo un’esistenza in cui le decisioni si manifestino con la stessa naturalezza delle «foglie gialle che cadono, che cadono, e riempiono la montagna e il fiume».5

Come abbiamo visto la popolarità di Bodhidharma è stata costruita nel corso dei secoli, in Giappone come in Cina, portando alla sovrapposizione di fatti, ruoli e leggende di origini ed epoche differenti. Se mai un unico Bodhidharma è realmente esistito, oggi è chiaro che la sua figura si è moltiplicata come in un gioco di specchi, ognuno dei quali costituisce una porta verso mondi culturali che, come il loro multiforme rappresentante, sono fluidi e in fieri.

Note
1. Il periodo Kamakura è segnato da un cambio significativo di potere: esso passa dalle mani dell’imperatore a quelle dello shogun, il generale capo dell’esercito giapponese, che rende la carica ereditaria, dando inizio al governo militare conosciuto come ‘shogunato’.
2. Al Bodhidharma divinizzato è attribuito il colore rosso che, per le sue connotazioni magiche e curative, si ritiene possa assorbire il calore del vaiolo. L’associazione della malattia con divinità legate al rosso, per esempio Maryiamman nel Sud dell’India, è un fenomeno transculturale.
3. Alla fine del periodo Edo, la forte diffusione di questa parodia del primo Patriarca è significativamente dimostrata dall’utilizzo del termine Daruma come sinonimo vernacolare di prostituta.
4. Oggi i visitatori del tempio all’interno del monastero di Shao-lin possono ammirare la parete della grotta dove si sarebbe impressa l’ombra di Bodhidharma.
5. Citato nello Zenrin Koshu, antologia compilata da Toyo Eicho (1429-1504) a partire da fonti diverse (buddhiste, taoiste, letteratura classica, canzoni popolari). Citato anche in A.W. Watts La via dello Zen, Feltrinelli, Milano, 1971, p. 158.