Haṃsa Libera Scuola di Hatha Yoga

Amanda Morelli

BODHIDHARMA

Conclusione

Nessuno è qualcuno,
un solo uomo immortale è tutti gli uomini.
Come Cornelio Agrippa, sono dio, sono eroe,
sono filosofo, sono demonio e sono mondo,
il che è una maniera difficile per dire che non sono.
J. L. Borges, L’immortale, in L’Aleph

Un giorno un uomo fece a se stesso una promessa: avrebbe camminato senza fermarsi fino a percorrere ogni centimetro della terra. Il suo desiderio di conoscere era più forte del dolore, più tenace del sonno, più resistente della morsa della fame. Così passarono gli anni ed egli conobbe innumerevoli luoghi e le loro genti, ascoltò fiumi di parole e guardò gesti sfuggenti come brezze, osservò tutte le creature lette nei suoi bestiari e di molte altre ne catalogò con cura le caratteristiche; vide più di qualunque altro uomo prima di lui e, nonostante la solitudine non potesse abbandonarlo, egli si credeva felice.
Finché un giorno giunse nuovamente al luogo esatto dove aveva cominciato il suo lunghissimo viaggio. Qui vide con enorme sorpresa che nulla era rimasto come allora: il grosso acero era stato abbattuto, il vecchio orto era diventato un giardino di rose, e là dove pascolavano i cavalli era sorta una splendida casa. Le genti parlavano una lingua diversa da quella che egli conosceva, e anche le loro abitudini erano cambiate. L’uomo che voleva conoscere tutto si accorse che il suo viaggio non era terminato e si rimise in cammino. Ovunque giungesse trovava una nuova fiorente varietà che attendeva di essere catalogata, spiegata, confrontata ed egli non poteva sottrarvisi… era come rapito, stregato, legato da catene invisibili. Non poteva fermarsi e i suoi occhi non potevano smettere di guardare: nonostante divenisse sempre più rapido nel conoscere, non riusciva ad allentare le catene di quella schiavitù, poiché, quasi per magia, anche i cambiamenti si facevano più ravvicinati, mentre le variabili parevano moltiplicarsi. In realtà neanche ci pensava ad allentare quelle catene, destinato, per scelta, a non poter né vivere né morire.

Quell’uomo rappresenta la cieca fede nell’intelletto, e il suo viaggio senza fine l’illusione di una ricerca della verità incapace di andare oltre le dicotomie della mente discriminante. La varietà che egli sperimenta senza sosta è la stessa che circonda le nostre esistenze, è la mutevolezza che si diverte a gettare sassi nel lago artificiale della nostra memoria, è l’inestricabile complessità che rende vano ogni tentativo di descrizione e inesauriente qualunque spiegazione.

Il riconoscimento di tale condizione rappresenta uno dei punti centrali del pensiero buddhista: tutto è vacuità, insegnò il Buddha, poiché nulla è immutabile ed eterno. Nulla. Tale principio rappresenta la base della molteplicità di approcci presentati nel corso del libro, molteplicità che va considerata come un’eco dell’assunto che nega realtà all’immutabile, all’eterno e a quella presunta monade che chiamiamo ego.

Nessuna delle quattro parti in cui è diviso il testo può essere letta indipendentemente dalle altre, nessuna di esse contiene la verità su Bodhidharma. Dietro questo unico nome si raccolgono infatti immagini molteplici e dipendenti nel loro mutare da una quantità di variabili potenzialmente infinita. L’idea di individuo, tanto cara alla cultura occidentale, non è applicabile al nostro protagonista, innanzi tutto poiché, nel farlo, peccheremmo di etnocentrismo: se è vero che egli fu il ventottesimo Patriarca del Buddhismo, è da escludersi che percepisse se stesso come un’entità unica, eterna e isolata dal fluire del reale. Nella sua immagine trovano invece posto, a un tempo, le dicotomie e le categorie dell’intelletto, la mutabilità della memoria, la realizzazione di un messaggio di salvezza e la trasformazione di questo stesso messaggio.

La figura del grande maestro che venne da Occidente, il barbaro dagli occhi blu, chiamato Bodhidharma, poi Daruma, altrove Damo, riassume in sé la realtà inconoscibile di cui siamo parte e il succedersi delle visioni che a questo reale si sovrappongono, la malattia e l’alternativa a essa, la libertà dall’ignoranza e la schiavitù dell’indecisione. Le leggende infinite e in continuo mutamento che descrivono la sua vita sono prova dell’impermanenza che, senza successo, ognuna di esse tenta di nascondere presentandosi come vera. I tentativi di cercarvi il vero Bodhidharma rappresentano l’illusione dell’intelletto di cogliere l’immutabile nel divenire e l’insegnamento del maestro, semplice e pratico, scevro di dogmatismi e intellettualismi, costituisce l’alternativa a quella vita già scritta che ci impone il pensiero convenzionale.

La storia di Bodhidharma è la storia di ognuno di noi: i suoi ritratti mutano seguendo le stesse dinamiche con cui cambiano le immagini che costruiamo di noi stessi e degli altri; la ricerca del vero Bodhidharma duplica la nostra percezione di noi stessi come esseri autocentrati ed egoici; il suo messaggio e la sua realizzazione rappresentano la potenzialità nascosta in ciascuno di noi di cogliere la propria Vera Natura e accordarsi così con il Principio. Inoltre, Bodhidharma, in quanto modello di riferimento, rappresenta anche le tecniche di cui possiamo servirci per facilitare il cammino, offre il bastone con cui aiutarci nello scalare la montagna.
Se, arrivati in cima, riusciremo a salire ancora, allora ci accorgeremo che noi siamo Bodhidharma e Bodhidharma è ognuno di noi: simbolicamente perché diveniamo maestri di noi stessi, esistenzialmente poiché, nell’infinita unità dell’illuminazione, ogni dicotomia è annullata mentre la separazione rivela la sua illusorietà.

Chi era dunque Bodhidharma? Non lo so.