Haṃsa Libera Scuola di Hatha Yoga

Shila Morelli

SIVANANDA

La disciplina etica

Abbiamo già sottolineato come il forte desiderio per la salvezza, la creazione di una profonda aspirazione, sia uno dei fattori fondamentali per l’avvio della pratica spirituale e la motivazione che condurrà al successo il ricercatore spirituale. Questa però non è sufficiente, ma deve svilupparsi accanto ad una forte disciplina etica, l’introiezione di principi morali cui l’aspirante non deve mai distaccarsi.
Sivananda riservava particolare attenzione al training etico quale fondamento importantissimo dell’evoluzione spirituale; questo non si esprimeva tanto in ritualità esteriori o doveri religiosi, ma puntava all’essenza morale. “Un uomo dotato di morale è qualcuno che è sempre intento ad annientare i propri difetti e le proprie debolezze, qualcuno dotato di buona condotta e disposizioni sattviche. La tolleranza, l’assenza di ira, avidità e lussuria, la pazienza capace di resistere ad ogni provocazione, la meticolosa considerazione persino dei sentimenti, credenze ed emozioni di un bambino, suggerisce moralità”110, affermava Sivananda.
La disciplina morale trova riscontro in tutte le forme di Yoga, ma in particolare nel Raja Yoga, metodo codificato negli Yoga Sutra da Patanjali (IV-II secolo a.C.); detto anche Yoga delle Otto Membra, descrive il percorso per la realizzazione di Dio come un’evoluzione in cui 8 membra o 8 parti sono prese in considerazione. Le prime cinque sono esterne o preparatorie, le ultime 3 interne.
Il processo inizia con Yama, le restrizioni, l’astensione da comportamenti considerati immorali e distruttivi che comprende la non-violenza, l’astensione dalla menzogna e dall’inganno, dal furto e dal desiderio di ciò che non ci appartiene, l’assenza di altri pensieri tranne quello di Dio che si realizza con la purezza del celibato e in ultimo, l’assenza di avidità.
Il secondo passo di preparazione esterna nel cammino spirituale è detto Niyama e comprende le osservanze, la messa in atto di comportamenti morali. Questi sono purezza del corpo, della mente, del cuore e dello spirito, contentamento, pratica dell’ascesi, studio dei libri sacri e resa di sé a Dio. Le altre membra del Raja Yoga sono Asana, Pranayama, Pratyahara (controllo dell’attività sensoriale, ritiro dei sensi), Dharana o concentrazione, Dhyana o meditazione e infine Samadhi, lo stato di completa identificazione fra osservatore e osservato. Yama e Niyama costituiscono la base morale dello Yoga che l’avventuriero spirituale deve sviluppare e accrescere continuamente. Per Sivananda, tuttavia, la coltivazione di tale disciplina è legata ad un fluido processo di volontà, osservazione continua di se stessi e rafforzamento mediante il japa, la meditazione e qualsiasi altra pratica yogica. Anche in questo caso l’evoluzione è un processo integrale in cui i diversi aspetti non possono mai essere veramente separati gli uni dagli altri.
La disciplina etica trova sostegno nella disciplina pratica, nella regolarità e costanza; solo in tal modo è possibile, infatti, la creazione di quel terreno di sostegno, di quella struttura mentale positiva in cui la mente possa sempre trovare rifugio. Sivananda propone la creazione di una risoluzione annuale, ossia di un proposito che raccolga e includa tutti quegli elementi cui la pratica spirituale dello studente dovrà fare riferimento per quel periodo.
Tali risoluzioni andavano però sostenute dalla creazione di un’adeguata azione quotidiana, una routine capace di dare forma pratica all’ aspirazione spirituale. La compilazione di un diario era poi un ulteriore metodo di rafforzamento della risoluzione. Per Sivananda il diario spirituale era sempre stato un mezzo principe nella sua sadhana ed egli lo consigliava a tutti dicendo che non esisteva maestro migliore: “Ti insegnerà il valore del tempo e tu sarai in grado di conoscere quanto tempo stai utilizzando in propositi di valore”111.
Alla base di una pratica quotidiana nata da una risoluzione e sostenuta da un diario sta l’idea di una disciplina priva di imposizioni e controllo. Swamiji sottolineava sempre l’importanza di evitare l’ipoteca del proprio futuro con l’uso di voti che rischiano di generare sensi di colpa.
L’insegnamento consiste nella capacità di regolarsi senza spingersi al limite di una controreazione fisica, mentale o emotiva che rischia di vanificare tutto. Disciplina non implica soppressione: “(L’autodisciplina) significa l’umanizzazione dell’animale e la spiritualizzazione dell’umano”112 afferma Sivananda, riferendosi a quel processo che si avvia alla distruzione delle forze più basse, i vizi, l’ignoranza e allo sviluppo della natura divina di ognuno, delle virtù. La disciplina è l’applicazione pratica di buone intenzioni, l’attuazione cioè di azioni etiche.
Un altro elemento fondamentale nel cammino verso il divino che richiede l’aiuto della disciplina è vairagya; con tale termine si indica una condizione di non attaccamento, rinuncia, assenza di passioni; è l’opposto di raga, il desiderio, che si fonda sulla focalizzazione della mente sugli oggetti della creazione. Vairagya, al contrario, è il movimento della mente verso l’interno, il suo distacco dal mondo; è uno strumento per ottenere la concentrazione e la saggezza necessarie a procedere nel cammino spiritule, non costituisce il fine della sadhana, ma un suo strumento.
Il distacco della mente non implica abbandono della vita nel mondo e rifugio in una grotta sperduta a praticare austerità, ma vigilanza continua sui pensieri, capacità di non indulgere nel loro vagare distorto. Vairagya è quindi un processo continuo di rinuncia che si tradurrà in ultimo nella rimozione totale dall’ego e nell’ingresso in uno spazio di libertà completa. Il non attaccamento è sostenuto e sviluppato attraverso Viveka, la facoltà di discriminazione, che si ottiene mediante lo studio sistematico dei difetti della vita dei piaceri, attraverso l’approfondimento del Vedanta, la compagnia di uomini saggi, il servizio e la pratica devozionale.
Quando Sivananda afferma “Distacca, attacca”, si riferisce proprio a questo processo in cui la mente viene separata dagli oggetti esterni e connessa a Dio; a livello profondo ciò richiede un lavoro di continua purificazione e rimozione totale degli elementi egoici che può essere facilitato e indotto dalla pratica del servizio disinteressato sostenuto dalla giusta attitudine (Karma Yoga).

Karma Yoga

Il servizio è la chiave. Lavora, lavora, lavora,
per il benessere dell’umanità.

Mantieni lo strumento – il corpo e la mente – in forma
e in salute per il lavoro. (…)

Il lavoro deve essere la tua meditazione.
Questo è il mio metodo. 113

Secondo Sivananda il servizio, il Karma Yoga è il mezzo che Dio ha dato agli uomini per procedere nella loro evoluzione, il corpo lo strumento della sua attuazione; è un mezzo di purificazione oltre che la via per la creazione di una profonda e radicata struttura etica. L’azione spirituale, il servizio, rappresenta lo svadharma dell’uomo, il suo dovere, il suo codice di condotta personale, l’applicazione delle attitudini del singolo per il benessere del mondo intero; è la messa in pratica dei propri talenti la cui scoperta richiede un’accurata conoscenza di sè.
“Sii buono. Fai del bene” è uno dei motti di Sivananda: diventa una persona buona e poi fa del bene agli altri, ciò purificherà la tua mente, aprendo il tuo cuore e la tua visione, questo il messaggio. Il maestro di Rishikesh ritiene così il Karma Yoga una delle vie maestre della realizzazione, tanto che lo definisce Vedanta e Bhakti in azione. Carattere essenziale di un’azione che si possa definire servizio spirituale è l’assenza di egoismo, la totale rimozione dell’io da ciò che si sta compiendo. Non ci deve essere alcuna motivazione personale a dirigere il nostro agire, l’assenza di qualsiasi condizionamento della mente. Questo porta anche al secondo carattere essenziale del Karma Yoga: l’attore dell’azione è un semplice strumento del Signore, in lui non trova spazio alcuna aspettativa, alcun protendersi al risultato. L’affidarsi a Dio, il rimettere le proprie azioni nelle sue mani è la più alta forma di non attaccamento, Viveka, e la completa distruzione dell’ego, il raggiungimento di uno stato in cui non vi è più delusione nè dolore.
Karma Yoga è l’espressione pratica dell’amore per Dio, l’accogliere con cuore aperto e sincero tutte le forme in cui si manifesta; in tal modo il servizio è strettamente connesso alla Bhakti, nel senso che per un devoto è più facile scorgere in tutte le creature la presenza di Dio. “Manava Seva, Madhava Seva” era solito dire Sivananda: il servizio dell’uomo è venerazione di Dio. Dal momento che Dio è l’unica realtà il servizio non può essere ristretto a specifici ambiti; è un’azione possibile in qualsiasi luogo e situazione ci si trovi con il sostegno della giusta attitudine: “Il giusto spirito richiede che tu compia il lavoro affidatoti senza alcuna motivazione di sorta, e il tuo agire sarà pacifico, beato e fruttuoso”114. Non vi può essere selezione ne sull’azione ne sul destinatario anzi Sivananda sottolineava sempre l’importanza di onorare per primo la persona con il carattere più difficile: “Questa è la via per purificare il tuo cuore e per elevare anche lui”115.
La vita di Sivananda, completamente dedicata alla disseminazione della conoscenza, alla consolazione degli afflitti e dei malati è la testimonianza diretta di un Karma Yoga perfetto in cui il donare continuo mette in comunicazione con la fonte di ogni prosperità, trasformando il fruitore, purificandolo completamente e rendendolo l’uomo più ricco poiché completamente imbevuto della Grazia del Signore. Egli fu anche esempio delle varie forme in cui il servizio si manifesta: generosità senza limiti, condivisione, assistenza dei malati e dei poveri, distribuzione di conoscenza spirituale, carità… Nelle sue composizioni egli spesso vi fece riferimento:

Vedi Dio nei poveri.
Scorgi il Signore negli oppressi,
In coloro che sono nudi,
Negli affamati,
Nei senzatetto,
Nei malati,
Nei sofferenti e negli afflitti.
Brucia il tuo incenso, ondeggia le tue luci,
Offri i tuoi fiori,
Sotto forma di vestiti, cibo e medicine,
Educazione e riparo.
Cura i malati con Atma-Bhav.
Servi i poveri con Divino Bhav.
Educa gli illetterati.
Corri al villaggio e agli slum.
Questo purificherà il tuo cuore,
Questo porterà al discendere della grazia divina.
Questo ti condurrà alla realizzazione di Dio. 116

Il servizio si manifesta secondo Sivananda anche in modalità più sottili, come nell’attenzione ad essere sempre gentili e amorevoli con tutti, dimostrando completa attenzione ai sentimenti degli altri e ancora donando allegria e sostegno. Il Karma Yoga implica così un continuo “adattati, aggiusta, accomoda”, l’uccisione dell’ego attraverso l’asservimento continuo della mente. Karma Yoga è la pratica dell’umiltà che è soppressione dell’io e identificazione con la creazione intera; proprio in tal senso il dare è un continuo ricevere.

Note
110. Sri Ananthanarayan, N., What does Swami Sivananda teach?, Divine Life Trust Society Publication, WWW Edition, 1997, p. 12, (traduzione dell’autrice).
111. Autori vari, Swami Sivananda and the Divine Life Society, Divine Life Trust Society Publication, WWW Edition, p. 13, (traduzione dell’autrice).
112. Swami Sivananda, Bliss Divine, Divine Life Trust Society Publication, Rishikesh, 1997, p. 357, (traduzione dell’autrice).
113. Autori vari, Swami Sivananda, a modern sage, Divine Life Trust Society Publication, WWW Edition, 2001, p. 21, (traduzione dell’autrice).
114. Swami Venkatesananda, Lo yoga integrale di Sivananda, Edizioni Istituto di Scienze Umane, Roma, 1987, p. 59.
115. Swami Venkatesananda, Lo yoga integrale di Sivananda, Edizioni Istituto di Scienze Umane, Roma, 1987, p. 58.
116. Sri Ananthanarayan, N., What does Swami Sivananda teach?, Divine Life Trust Society Publication, WWW Edition, 1997 , p. 25, (traduzione dell’autrice).