Haṃsa Libera Scuola di Hatha Yoga

Shila Morelli

SIVANANDA

Bhakti Yoga

Kalau Kesava Kirtanat

(Durante l’epoca del Kali Yuga117,
il metodo più facile per ottenere il controllo della mente e la liberazione
è l’uso dei kirtan).118

Bhakti Yoga è la strada dell’unione a Dio per mezzo della devozione; è la via dell’amore: la naturale attrazione dell’anima a Dio, il contatto con il Supremo attraverso il cuore. Il Bhakti Yoga è considerato il cammino più facile poiché non richiede ne raffinatezza intellettuale ne fortissima volontà; fondamentale è solo il costante ricordo di Dio, lo sviluppo di una devozione totale senza alcuna interruzione, questa purificherà il cuore e permetterà la totale comunione con il Signore.
Sivananda propone molte pratiche per lo sviluppo della Bhakti, ma fra tutte considera il Japa Sadhana la più importante. Per Japa s’intende la ripetizione di un mantra o del nome del Signore. La naturale inclinazione dell’uomo è quella di funzionare per mezzo di riferimenti pratici, nomi e forme; è per tale motivo che generalmente la devozione è rivolta ad un’espressione o forma precisa di Dio. Nell’Induismo esistono molte divinità, forme manifeste dell’unico Dio Brahman, e, normalmente, la pratica del Japa implica il riconoscimento di un Ishta Devata, un aspetto di Dio o una sua forma cui ci si senta particolarmente legati. La ripetizione del mantra porterà poi alla manifestazione della divinità stessa. Secondo lo Yoga, infatti, il pensiero, la forma e il suono sono essenzialmente la stessa cosa o meglio sono costituiti dalla stessa sostanza, rappresentano livelli vibratori della medesima energia che si modificano quando avviene il passaggio da uno stato di consapevolezza all’altro; è come affermare che il vapore, l’acqua e il ghiaccio sono in costituzione uguali.
La vibrazione è potere creativo, la cui espressione più “grossolana” è rappresentata dal suono e la più sottile dal pensiero; ciò equivale a dire che il potere di manifestazione della vibrazione è presente secondo livelli e intensità diverse. Dopo il suono si trova il linguaggio che è pensiero nella sua forma più concreta: il linguaggio è, infatti, pensiero dotato di nome e forma. Nella fase successiva le parole del linguaggio vengono selezionate, ossia le impressioni, le idee, le emozioni determinano ciò che il parlante comunica e ciò che l’ascoltatore recepisce; questo crea confusione poiché ovviamente gli elementi di selezione non solo limitano il messaggio, ma anche non coincidono.
Lo stadio successivo è quello del suono visibile, il livello universale in cui tutti i pensieri hanno luogo; qui non vi è alcuna differenziazione, nome e forma sono assenti. La Vibrazione Divina, suono indifferenziato in potenza, costituisce l’apice. La pratica del Japa mira a raggiungere questo livello attraverso l’utilizzo del potere del suono che è capace di generare emozioni, idee ed esperienze. La mente che è malleabile, attraverso la vibrazione del nome di Dio, diventa essa stessa quel suono, vi si identifica totalmente passando dallo stato della distinzione a quello trascendentale dell’Unità. Il Japa produce nella mente la forma della divinità connessa con il mantra; attraverso una pratica regolare diventa la coscienza stessa e la divinità costituisce così energia esperita ad un certo livello di onda vibratoria. Il nome di Dio è in tal senso potere, forza che si manifesta.
“Un mantra è la Divinità racchiusa in una struttura sonora”119, diceva Sivananda. Il mantra ha il potere di manifestare la divinità stessa ed è per tale motivo che la Japa Sadhana è considerata un’ancora di salvezza, un mezzo di sostegno per riportare la mente tendenzialmente vagante al pensiero di Dio, alla consapevolezza della sua presenza; è proprio per tale ragione che il maestro suggeriva l’utilizzo del proprio Ishta Mantra in ogni momento della giornata, in particolare durante le prime ore del mattino, periodo durante il quale la mente attraversa una condizione di maggiore vulnerabilità, ed è facilmente malleabile:

C’è Sattva nell’atmosfera
Durante il periodo del Brahmamurta.
L’atmosfera è calma
E il mondo è addormentato.
Le correnti del Raga-Dvesha (piacere e non-piacere)
Non hanno ancora cominciato a scorrere nella tua mente.
Sei appena tornato dal sonno profondo
Dove hai esperito la gioia della beatitudine senza oggetti;
Puoi quindi facilmente convincere la mente
Che la vera felicità è all’interno. 120

La sua tecnica era facile: appena svegli ripetere mentalmente e in armonia con il respiro il nome di Dio. Poi, una volta alzati dal letto ed essersi lavati sedersi e ripetere per un’ora il proprio mantra.
La recitazione in associazione con il ritmo respiratorio naturale è fondamentale, addestra la mente, potenzia il valore del mantra diffondendolo a tutti i livelli. È importante che tale pratica mattutina diventi automatica, poiché questo presuppone la creazione di un’attitudine, un livello di sostegno positivo cui la mente farà riferimento nel momento del bisogno, cioè naturalmente vi si rivolgerà. Solo così, incominciando intensamente la giornata con Dio, tutto il resto del nostro tempo e il lavoro sarà trasformato in servizio e amore; questo è il compimento di uno dei motti più famosi di Sivananda: “Incomincia la giornata con Dio, Finisci la giornata con Dio, Riempi la giornata con Dio, Questa è la strada per arrivare a Dio”121. Lo Swami di Rishikesh sosteneva anche una pratica alternativa detta Likhita Japa che consiste in una recitazione scritta che sostituisce quella vocale.
Oltre all’uso del proprio Ishta Mantra, lo Swami consigliava anche la ripetizione di alcuni mantra cui sono attribuiti particolari funzioni e protezioni. Il Maha Mantra o Grande Mantra era uno fra i suoi preferiti. Egli nè istituì la ripetizione continua (Akhanda Mahamantra Kirtan) all’interno dell’ashram a partire dal 3 dicembre 1943, sia come sostegno continuo alla pratica degli studenti che come mezzo per generare una forte corrente spirituale di pace nel mondo (era il periodo della Seconda Guerra Mondiale).

Hare Krishna Hare Krishna
Krishna Krishna Hare Hare
Hare Rama Hare Rama
Rama Rama Hare Hare

Sivananda attribuiva grandissima importanza alla preghiera, un’altra pratica di devozione, considerata anche una forma di servizio e quindi di purificazione. Colui che prega diventa canale del divino, attraverso di lui scorre un flusso purificatore. Proprio per tale motivo il maestro puntava a renderla un’attività costante: “Se uno continua ad essere il canale per il fluire della Grazia Divina, allora il cuore di questi è sempre puro e ricolmo di grazia divina”122, sosteneva.
Egli era solito chiedere ai suoi studenti di pregare per qualcuno; conferiva alla preghiera e all’invocazione di Dio attraverso i suoi nomi un grandissimo potere, un’alta forma di cura cui diede il nome di Namapathy. In particolare, si affidava al Mahamrityunjaya Mantra o Mantra della Grande Liberazione, dedicato al Signore Siva e formula di lunga vita, prosperità e pace:

Om Tryambakam Yajamahe
Sugandhim Pushtivardhanam
Urvarukamiva Bandhanan
Mrityor Mukshiya Maamritat 123

Il canto sincero e intenso di questo mantra è ritenuto una pratica molto potente contro qualsiasi forma di malattia e incidente; Sivananda la utilizzava in qualsiasi occasione e senza esclusione alcuna (per piante e animali compresi). Anche la preghiera doveva diventare un’attitudine, il sottofondo di ogni azione, e questo presupponeva non solo pratica, ma anche una grande fede, il dono del proprio cuore alla Grazia di Dio. La fede è l’essenza della devozione, è l’esercizio dell’umiltà, è il rimettersi al Supremo affidandosi completamente:

Lui lo sa cosa vorresti dire!
Persino se commetti errori
Nella tua preghiera a Lui
Anche se ci sono errori
Nel mantra che reciti
Se tu sei sincero,
Se la preghiera viene dal tuo cuore,
Lui l’ascolta,
perché capisce il linguaggio del tuo cuore. 124

Abbiamo già avuto modo di accennare all’inizio del libro quanto Sivananda amasse il canto devozionale, il kirtan, tanto che appena presi i voti già la riteneva pratica d’eccezione. In particolare credeva molto nella forza del canto collettivo, il Sankirtan che sosteneva essere un vero e proprio invito a Dio a danzare nel tempio che è il nostro cuore, una pratica capace di creare un’intensa corrente spirituale. Si ricordi come intraprese viaggi per l’India generando processioni, radunando folle immense e ballando estatico. L’importanza della pratica collettiva era poi estesa ad altre azioni tanto che esortava: “Pregate insieme, meditate insieme, cantate insieme”125.
Il pellegrinaggio era un’altro aspetto della devozione che implica la pratica di un mantra; il viaggio verso un sito sacro non è un semplice spostamento ad un luogo carico di santità, ma un’occasione per il devoto di purificarsi attraverso la recitazione dei japa e il pensiero costante di Dio. Solo così sarà in grado di connettersi, una volta giunto a destinazione, alla potente carica spirituale della meta.
Nella vita di ogni giorno, poi, lo studio delle sacre scritture, Svadhyaya, è un’importantissima forma di ispirazione per la pratica spirituale.
Swami Sivananda era l’esempio vivente della devozione, la sua pratica includeva tutte le modalità di espressione della Bhakti; Dio, Brahman e ogni sua forma divina ricevevano un pensiero di intenso amore. Egli adorava la divinità sia come coscienza cosmica che come idolo. Il maestro aveva un proprio Ishta Devata, il Signore Krishna, di cui conservava un’immagine nella stanza della preghiera del suo kutir; ogni giorno dimostrava devozione a quel dipinto, riconoscendovi Dio stesso e offrendogli luce attraverso una lampada, piccoli doni e il canto di tutti i mantra che conosceva. Il suo sguardo in quelle occasioni esprimeva talvolta l’affetto di un amico, altre l’umiltà di un servo devoto. La sua adorazione non consisteva soltanto nell’offerta ad un’immagine, ma si rivelava via via al di fuori della sala preghiera e dei templi per incontrare tutta la manifestazione del mondo; la visione era ampia e accoglieva ogni cosa, tutto era testimonianza della gloria di Dio126; come naturale espressione di ciò era solito dedicarsi alla prostrazione (sia fisica che mentale) nei confronti di qualsiasi persona, animale e cosa. Sivananda s’inchinava con umiltà ripetendo “Om Namo Narayanaya” (prostrazione al Signore Supremo) di fronte ai propri discepoli, ai pellegrini, così come al cane sulla strada, alla sacra Ganga o alla sterco della vacca.

Note
117. Secondo l’Induismo la storia del mondo è divisa in quattro ere dette Yuga; queste vanno dall’era “perfetta” all’età attuale, detta Kali Yuga, attraverso una progressiva decadenza della moralità.
118. Swami Paramananda, Sivananda: the apostle of peace and love, Divine Life Trust Society Publication, WWW Edition, 2008, p. 65 (traduzione dell’autrice).
119. Sri Ananthanarayan, N., What does Swami Sivananda teach?, Divine Life Trust Society Publication, WWW Edition, 1997, p. 30, (traduzione dell’autrice).
120. Sri Ananthanarayan, N., What does Swami Sivananda teach?, Divine Life Trust Society Publication, WWW Edition, 1997, p. 39, (traduzione dell’autrice).
121. Sri Ananthanarayan, N., What does Swami Sivananda teach?, Divine Life Trust Society Publication, WWW Edition, 1997, p. 56, (traduzione dell’autrice).
122. Autori vari, Swami Sivananda, a modern sage, Divine Life Trust Society Publication, WWW Edition, 2001, p. 19, (traduzione dell’autrice).
123. Il significato di questo mantra è: “Offriamo preghiere al Signore Tryambak (‘dai tre occhi’: aspetto guaritore di Shiva) che è fragrante e ci nutre, ristora la nostra salute e ci rende prosperi; possa Lui liberarci dall’attaccamento e dalla morte per amore dell’immortalità così come il cetriolo è liberato dalla sua presa (il legame con la pianta rampicante)”.
124. Sri Ananthanarayan, N., What does Swami Sivananda teach?, Divine Life Trust Society Publication, WWW Edition, 1997, p. 34, (traduzione dell’autrice).
125.Swami Venkatesananda, Lo yoga integrale di Sivananda, Edizioni Istituto di Scienze Umane, Roma, 2005, pp. 109-110.
126. Sivananda fu un praticante del poco diffuso Vibhuti Yoga, lo Yoga delle manifestazioni e delle glorie di Dio che consisteva appunto nel riconoscimento dell’onnipresenza del Divino.