Haṃsa Libera Scuola di Hatha Yoga

Shila Morelli

SIVANANDA

Una giornata nella vita di Sivananda

La giornata di Sivananda era un lungo e ben organizzato canto di preghiera che vedeva espressione nel suo servizio continuo. Lo Swami era solito alzarsi intorno alle 3 e 30, in modo da poter sfruttare il periodo del Brahmamurta (tra le 3 e 30 e le 4 e 30), ritenuto particolarmente carico di vibrazioni sattviche e quindi favorevole per la meditazione61; egli, svegliatosi, rivolgeva immediatamente il suo primo pensiero al Signore attraverso la preghiera, al termine della quale si apprestava al bagno mattutino. La sadhana vera e propria aveva inizio con una meditazione su Dio nella sua forma di Paramatman, ossia la più elevata essenza della Verità, Brahman. Poi, nel silenzio del mattino, egli rivolgeva mentalmente la sua preghiera alla Trimurti62 e a tutte le forme e nomi del divino; seguiva una visita virtuale, accompagnata da sacre abluzioni, a tutti i luoghi sacri e centri di pellegrinaggio, una prostrazione a tutte le divinità segnata dal ricordo di un mantra. Quindi la recitazione di alcuni inni dei Veda, strofe delle Upanishad e di alcuni passi dell’epica indù che conosceva a memoria. Sivananda proseguiva poi con la prostrazione mentale nei confronti di tutti i santi, saggi e grandi maestri, recitando alcuni dei loro componimenti. La ripetizione della sillaba sacra Om concludeva questa fase cui seguiva la meditazione, al termine della quale egli si dedicava alla pratica di alcune asana e pranayama direttamente sul letto.
Dopo circa due ore abbondanti di intensa pratica Sivananda si dirigeva alla stanza della Puja dove offriva la sua personale devozione al Signore Krishna, poi raggiungeva la veranda della sua abitazione dove incontrava i devoti e i numerosi visitatori. Nel momento in cui questi varcavano la soglia dell’Ananda Kutir63, recitava 3 volte il Mahamrityunjaya Mantra, pregando per la loro felicità e salute e, dopo averli ascoltati, rivolgeva loro un’altra preghiera per infondergli coraggio e forza; ripeteva con loro il Tryambaka Mantra e distribuiva il prasad64 che intanto era giunto dal Vishvanath Mandir. In questo primo mattino si occupava anche di questioni pratiche riguardanti l’ashram.
Sivananda esortava fortemente alla pratica collettiva e la suggeriva sia alle famiglie che ai propri studenti; questi all’inizio del loro percorso facevano spesso molta fatica a svegliarsi presto, così egli introdusse l’idea di preghiere e canti collettivi durante le prime ore della mattina. La sadhana collettiva si rivelò un’importante strumento di sostegno e fonte d’ispirazione per molti. Sivananda stesso vi prendeva parte: egli apriva il Satsanga delle 7 cantando Om tre volte e il Kirtan Jaya Ganesha.
Dopo le pratiche mattutine la giornata proseguiva all’insegna del lavoro intenso e della preghiera; ogni momento era ottimo per recitare il nome del Signore, fosse una breve passeggiata per muoversi dal suo kutir alla stanza scrittura o interrompere qualche pettegolezzo. Nell’ufficio, Sivananda si occupava della corrispondenza e del controllo dei libri la cui spedizione o pubblicazione benediceva con la formula “Om tat sat”. Fatto ritorno alla sua stanza si riposava un poco e poi consumava la colazione prima di dedicarsi al lavoro di compilazione dei libri che interrompeva soltanto all’ora di pranzo. Dopo un piccolo riposo, nel pomeriggio, raggiungeva la stanza dove si dedicava alla scrittura o si prendeva cura della posta dando le necessarie istruzioni di risposta ad uno dei suoi assistenti. Al termine di questa fase i devoti o i visitatori potevano incontrarlo. Nei momenti di espansione massima dell’ashram Sivananda si occupava personalmente di un centinaio di studenti, ne guidava poi migliaia a distanza, si occupava della gestione della Divine Life Society, della stampa, della Forest Academy e dell’ospedale. Personalmente sovraintendeva alla spedizione dei libri o del materiale informativo, chiave della diffusione dello Yoga Integrale nel mondo.
Nel tardo pomeriggio, dopo l’attiva giornata, si sedeva in meditazione sulla riva della Ganga, poi si lavava e preparava per la cena delle 6 e 30 che consisteva in un semplice pasto di verdure, frutta e roti65. Ogni volta che mangiava metteva da parte una porzione del suo cibo per offrirla ai suoi più stretti collaboratori che spesso erano nelle stanze limitrofe alla sua. Ciò costituiva una novità per l’epoca poiché di solito gli Swami erano ben restii a mostrare ciò di cui si cibavano. Finita la cena Sivananda si accingeva a raggiungere la stanza della preghiera, dove come al mattino offriva la sua devozione a Krishna. Se rimaneva tempo prima del satsanga serale raggiungeva la veranda dove dava istruzioni ai suoi assistenti o s’intratteneva ancora con qualche devoto. Alle 7 apriva la riunione recitando Om tre volte, cantando kirtan e tenendo un discorso; il satsanga si chiudeva di solito con la distribuzione di prasad. Lo Swami faceva così ritorno verso le 9, 9 e 30 alla sua stanza dove, presa una tazza di latte, andava a letto. Sivananda fu un lavoratore instancabile fino alla più tarda età. L’esempio vivente della pratica della Vita Divina.

Note
61. Quando l’ashram era appena stato aperto lo Swami era solito svegliare gli studenti con la ripetizione di Om tre volte; ciò non sempre funzionava, così, in seguito, si fece uso di una campana che riuniva tutti per la sadhana collettiva matuttina che consisteva in una classe di preghiere e una di asana. Il maestro conferiva grande importanza alla pratica di gruppo, soprattutto per i nuovi studenti.
62. Per Trimurti si intende la manifestazione triplice dell’essere supremo come Brahma, Vishnu e Siva; questi tre aspetti sono caratterizzati ognuno da una funzione: Vishnu è il conservatore, Siva il distruttore e Brahma l’equilibrio fra questi.
63. Ananda Kutir, letteralmente “dimora della felicità” era la stanza dove viveva Sivananda, il primo spazio di creazione del Sivananda Ashram.
64. Per prasad s’intende l’offerta alla divinità (di solito consistente in cibo) durante la puja. Tale offerta, al termine della cerminonia, viene poi distribuita ai fedeli che così si nutrono direttamente di un alimento purificato e benedetto da Dio stesso.
65. Pane tradizionale indiano non lievitato.