Haṃsa Libera Scuola di Hatha Yoga

Shila Morelli

SIVANANDA

Satsanga

L’insegnamento di Sivananda è integrale sotto ogni punto di vista; la sadhana non può quindi essere esclusivamente una pratica privata e intima, ma anche un modo di relazionarsi con il mondo, di condividere, di aiutarsi e anche di superare gli ostacoli e le paure che possono sorgere da una vita di solitudine.
Un importantissimo aspetto nel percorso del discepolo è la frequentazione spirituale o Satsanga (Sat: ‘Dio, Realtà’ + sanga: ‘associazione, sedere insieme’), pratica legata sia al Karma che al Bhakti e Jnana Yoga. L’attività spirituale collettiva attraverso il satsanga riconosce la malleabilità della mente che tende ad assumere le caratteristiche di ciò che può osservare, imitando. La compagnia degli altri può essere fonte di grande ispirazione e aiuto. Il satsanga è così un forte mezzo di sostegno alla pratica spirituale, esalta lo spirito di tutte le forme di yoga, bandisce la specializzazione che può nascere dalla pratica in solitudine fornendo quell’integrazione che è caratteristica di uno sviluppo equilibrato.
Sivananda la considerava veramente molto importante tanto che istituì un satsanga serale sin dall’apertura dell’ashram e non mancò mai, neanche una volta, alle sue celebrazioni; anche nell’ultimo periodo quando non riusciva a camminare e stare seduto partecipava da disteso. La riunione univa il kirtan allo studio delle scritture, la preghiera alla lettura e alla musica. I partecipanti si riunivano attorno ad un piccolo altare munito di una lampada ad olio. Il satsanga si apriva con Jaya Ganesha:

Jaya Ganesha Jaya Ganesha Jaya Ganesha pahi mam
Sri Ganesha Sri Ganesha Sri Ganesha raksha mam

Si continuava con l’invocazione al Guru, la recitazione del Maha Mantra e di altre invocazioni. Poi con l’aiuto di una piccola lanterna ogni partecipante, a turno, leggeva un capitolo della Bhagavad Gita o un altro testo sacro e intonava un kirtan solitario. Allo studio delle scritture e al canto seguivano la lettura di articoli di varia natura, il cui contenuto comunicava un messaggio che Sivananda riteneva adeguato al lettore o agli eventi della giornata; anche la preghiera collettiva era spesso praticata, ed iniziava con il canto in coro dei nomi del Signore cui seguiva una fase di meditazione e poi una preghiera in Silenzio. La recitazione del Mahamantra, del Mahamrityunjaya mantra e di canti di pace concludevano l’incontro, lasciando nei partecipanti elevate impressioni spirituali prima dell’apprestarsi al riposo notturno.

La meditazione

L’associazione spirituale designata dal termine Satsanga può essere applicata anche alla relazione con se stessi che si realizza con la meditazione, quell’attività che permette la conoscenza profonda della propria natura. La meditazione è la porta per il samadhi; non è il frutto di uno sforzo momentaneo, ma una condizione di protratta concentrazione, risultato di una precisa purificazione mentale ottenuta attraverso la sadhana. In tal senso lo Yoga si presenta come una scienza esatta dove asana e pranayama preparano il corpo e il respiro, influenzando anche gli altri livelli, il servizio espande e pulisce il cuore, le pratiche devozionali purificano la mente e invitano la Grazia di Dio. Questi aspetti conducono ad un addestramento profondo del pensiero che si manifesterà dapprima come capacità di ritirare i sensi dagli oggetti esterni, e poi, come concentrazione che prolungata è meditazione. A questo punto soltanto, avviene la vera comprensione, un assaggio più o meno prolungato della Verità, tanto che Sivananda afferma: “Non c’è conoscenza senza meditazione”127.
Lo Swami descrisse ampiamente le numerose tecniche per giungere allo stato di Dhyana che le diverse tradizioni Yoga propongono, sottolineando tuttavia che seguirle non è minimamente sufficiente ad ottenere la condizione desiderata. Egli ribadiva l’importanza di dedicarsi alla pratica il mattino presto, durante il Brahmamuhurta, in modo da fissare la mente su Dio per il resto della giornata, e di prestare particolare attenzione alla regolarità. In generale, però, non amava imporne la pratica, ne obbligare gli aspiranti a trascorrere ore ed ore seduti. Consapevole del carattere della mente e della necessità di un suo addestramento al fine di raggiungere determinati risultati, Sivananda consigliava di provare la meditazione e, nel caso fosse risultato impossibile stabilizzare la mente, rimandare ad altro momento e dedicarsi invece al servizio al fine di raggiungere un livello di purificazione mentale idoneo: “È semplicissimo”, affermava, “Siediti nella posizione del loto, metti a fuoco tutta la tua attenzione su questo mantra e non pensare ad altro”. Questo era il suo suggerimento: sostenere le pratica con l’aiuto di un mantra; ma aggiungeva anche :“Se ci riesci, basterebbero anche sei minuti, altrimenti dedicati al servizio per qualche anno e poi riprova”128.
Sivananda quindi propone ancora una volta il ricordo di Dio come strumento di elevazione spirituale; accanto a ciò egli suggerisce anche la costante ricerca sulla natura della Realtà, pratica sostenuta da Viveka o discriminazione. Il principio “Semina un pensiero raccoglierai un’azione” che afferma la completa identificazione fra pensiero e pensante, trova così affermazione nella pratica della meditazione che più di ogni altra si fonda sul controllo dei flussi mentali.

Le venti istruzioni spirituali

L’essenza della sadhana spirituale è racchiusa nelle 20 istruzioni spirituali che Sivananda compilò seguendo il suo spirito di praticità e che propose come valido aiuto all’aspirante spirituale:
1. Alzati alle 4 del mattino, ogni giorno. Fai Japa e meditazione.
2. Alimentati con cibo sattvico. Non sovraccaricare lo stomaco.
3. Siediti in Padma o Siddha Asana per Japa e Dhyana.
4. Riservati una stanza per la meditazione separata e tenuta sotto chiave.
5. Dona in carità un decimo dei tuoi introiti.
6. Studia sistematicamente un capitolo della Bhagavad Gita.
7. Conserva Veerya, la forza vitale. Dormi in una stanza separata.
8. Smetti di fumare, di consumare bevande intossicanti e cibo rajasico.
9. Digiuna ogni Ekadasi o vivi di frutta e latte soltanto.
10. Osserva Mauna, il silenzio, per due ore al giorno e anche durante i pasti.
11. Di la verità ad ogni costo. Parla poco, dolcemente.
12. Riduci i tuoi desideri. Conduci una vita felice e contenta.
13. Non ferire mai i sentimenti degli altri. Sii gentile con tutti.
14. Pensa agli errori che hai commesso (analisi di se stessi).
15. Non dipendere dalla servitù. Dipendi solo da te stesso.
16. Pensa a Dio non appena ti svegli e quando vai a letto.
17. Porta sempre un Japa Mala attorno al collo o nella tua tasca.
18. Segui il motto “Vita semplice e pensiero elevato”.
19. Servi i sadhu, i sannyasin e le persone povere e malate.
20. Mantieni un diario spirituale giornalmente. Attieniti sempre alla tua routine.

Sull’importanza del Bhav

Il nostro corpo, le parole che pronunciamo e le azioni che compiamo sono la semplice e diretta espressione del mondo mentale. I pensieri creano gli infiniti mondi che ci circondano e coprono la sola realtà esistente, Brahman, la Verità. Il sistema mente è dotato di una certa visione, che cambia da individuo a individuo e determina una certa percezione dell’esistente. In tal modo ogni movimento della nostra vita è determinato da una certa attitudine verso l’esterno e l’interno. Per esempio lo stesso cane verrà considerato da persone differenti in maniera diversa; talvolta come un fedele compagno, altre come un groviglio di pulci, un semplice animale o l’incarnazione di Dio stesso.
Il sentimento del nostro cuore, l’attitudine che ci riempie è l’espressione più vera del nostro livello di purezza e ciò che determinerà le nostre esperienze. Sivananda la definisce Bhav ed esorta in ogni modo l’aspirante spirituale ad occuparsi della cultura dell’attitudine, a modellare e perfezionare continuamente il proprio sentimento verso il mondo tutto. Egli, quando suggerisce ai suoi studenti di essere gentili, compassionevoli e buoni fa riferimento proprio allo sviluppo del Bhav; l’attitudine del cuore è il risultato della disciplina etica, della fede, della devozione, della percezione dell’Unità, dell’assenza di egoismo, di una profonda compassione verso gli altri. Il sentimento del cuore è ciò che determina il successo di ogni pratica yogica e, più in generale, ciò che da valore spirituale alle azioni. La purezza del cuore è così il nocciolo della Vita Divina: “ Non hai bisogno ne dell’arte ne della scienza, ne dello studio ne dell’erudizione per arrivare alla realizzazione di Dio, ma solo di fede, purezza e devozione”129, afferma lo Swami. Il giusto Bhav purifica il cuore e conduce a Dio.
Esistono molti tipi di attitudini descritte nello Yoga; per esempio nella Bhakti il devoto si rivolge a Dio talvolta come un genitore amorevole, altre come un amico, un amante o un figlio. Nel Karma Yoga colui che compie il servizio guarda al mondo come a Dio (Narayana Bhav) e a sè stesso come un mero strumento del Signore (Nimitta Bhav). Nello Jnana Yoga e Raja Yoga lo studente osserva il mondo come un testimone distaccato. In ogni caso, qualsiasi forma abbia preso all’inizio, l’attitudine porterà avanti la sua azione purificatrice, raffinandosi, fino a raggiungere il livello più elevato (Mahabhav) quando il cuore è colmo di amore al punto tale che ogni distanza fra Dio e il sé è eliminata.
Il livello supremo di Bhav è il Signore stesso, la Verità. Sivananda descrive stupendamente questo stato come un’immersione completa nell’oceano della benedizione:

O Mahadeva, O Kesava
Attraverso la lama della Tua Grazia
Ho tagliato tutti i miei legami
Sono libero, sono beato
Tutti i desideri sono scomparsi
Ora non anelo a nulla
Che ai Tuoi Piedi benedetti
Ho perso tutti i miei pensieri
In te, o Narayana.

Ho avuto la meravigliosa visione di Te
Ero perso in estasi
Sono stato trasformato tutto ad un tratto
Sono affogato
Nella coscienza divina
Nell’Oceano dell’estasi
Hail, hail, O Visnu, mio Signore. 130

Note
127. Sri Ananthanarayan, N., What does Swami Sivananda teach?, Divine Life Trust Society Publication, WWW Edition, 1997 , p. 38, (traduzione dell’autrice).
128. Sri Ananthanarayan, N., What does Swami Sivananda teach?, Divine Life Trust Society Publication, WWW Edition, 1997, p. 40, (traduzione dell’autrice).
129. Sri Ananthanarayan, N., What does Swami Sivananda teach?, Divine Life Trust Society Publication, WWW Edition, 1997, p. 45, (traduzione dell’autrice).
130. Swami Sivananda, Autobiography of Swami Sivananda, Divine Life Trust Society Publication, WWW, 2000, p, 79, (traduzione dell’autrice).