Haṃsa Libera Scuola di Hatha Yoga

Shila Morelli

SIVANANDA

L’identificazione completa

Swami Sivananda decise di stabilirsi presso Lakshman Jhula30 dove incominciò una vita semplice di meditazione, studio, preghiera, pratica dell’hatha yoga31, cammino, silenzio e solitudine; naturalmente il servizio continuò ad essere centrale nella sua esistenza come mezzo di purificazione del cuore e rimase in questo periodo la sua unica forma di interazione con l’esterno. Egli addirittura credeva in un’azione aggressiva, ossia nell’idea che fosse necessario cercare attivamente le occasioni per potersi rendere disponibile e non sufficiente aspettare che qualcuno chiedesse aiuto; inoltre, secondo il giovane Swami, l’evoluzione spirituale sarebbe stata accelerata da quel servizio compiuto con la giusta attitudine e l’elevato sentimento. Trasferitosi a Lakshman Jhula, Sivananda incominciò a curare i numerosi sadhu che abitavano nelle vicinanze. Egli si rese tuttavia subito conto che ciò che stava facendo non era sufficiente: erano necessarie una dieta adeguata e medicine, accessibili solo con l’uso di denaro; si ricordò allora in quel momento di essere titolare di una polizza di assicurazione di 5000 Rupie e decise di farne uso per solo servizio.
Naturalmente il suo aiuto non finiva qui, egli senza farsi vedere entrava nelle semplici dimore degli anziani sadhu, le puliva e le riforniva di acqua. Le cure fisiche erano sempre accompagnate da preghiere, parole di sostegno e allegria. Nel 1927 Swami Kalidananda che viveva nella zona, avendo notato il suo incessante lavoro, gli propone di aprire una farmacia caritatevole, un dispensario per i pellegrini e gli abitanti dei villaggi circostanti; nacque così Satya Sevashram Dispensary.
Con l’idea di intensificare la sua pratica spirituale Swami Sivananda decide di trasferirsi più in basso sul lato sinistro della Ganga, a Swarg Ashram in un piccolo kutir32, dove, pur non tralasciando il suo giro di servizio, trovò un modo di accelerare la sua sadhana. Si svegliava alle 4 del mattino e faceva il bagno nelle gelide acque della Ganga, recitando preghiere fino al sorgere del sole. Poi, fatto ritorno al suo kutir, praticava meditazione fino alle 9, orario in cui si erano già radunati alcuni malati pronti a ricevere le sue cure; al termine delle visite faceva un altro bagno e si dirigeva, attraverso la strada più isolata, al luogo di distribuzione del cibo; evitava chiacchere inutili e veloce faceva ritorno alla sua modesta dimora; prima di mangiare riprendeva il cammino in direzione di Lakshman Jhula per prestare aiuto ai sadhu. Solo dopo consumava il suo pasto. I pomeriggi erano poi riempiti da intensi studi delle sacre scritture di cui faceva continue annotazioni33. La sua salute e il livello di energia erano mantenuti elevati dalla pratica di asana, pranayama, mudra, bandha, frequenti passeggiate, corsa, cibo leggero e pensieri elevati. Piano piano la meditazione venne estesa fino ad occupare gran parte della sua giornata, (fino a 8 ore in estate e 12 in inverno); così egli ricorda quel periodo: “Feci della meditazione profonda la nota dominante della mia sadhana. Non avevo alcuna ostruzione ne dentro ne fuori, questo conduce all’esperienza ultima”34.
Numerose esperienze spirituali aprirono il suo cuore a Dio che gli si rivelò nella forma di quella luce attraverso la quale ogni cosa assume una forma divina e la pena e sofferenza che prima sembravano onnipresenti si rivelano come mero miraggio causato dall’ignoranza35. Swami Sivananda raggiunse così il Samadhi36, la perfetta identificazione tra osservatore ed osservato. Egli era arrivato alla conoscenza ultima e sentì immediatamente che tutto ciò che aveva esperito andava condiviso con l’umanità intera. Battezzò la sua conoscenza Yoga della Sintesi; l’insegnamento della Vita Divina diventò la sua missione. Di lì a poco avrebbe anche fondato lo strumento principe per la condivisione della nuova visione cui era giunto: The Divine Life Society, la Società della Vita Divina. Ecco come Sivananda descrisse, nella composizione intitolata Ho vinto il Gioco della Vita 37, la “completa comunione” che esperì:

Attraverso la Grazia del Signore e del Sat-Guru
Sono senza legami e libero.
Tutti i dubbi e le delusioni sono svaniti.
Sono libero e per sempre beato
Sono libero dalla paura,
Poiché riposo in Quello Stato non-duale.
La paura è dovuta alla dualità.
Io sono intossicato di Brahman.
Ho raggiunto la perfezione e la libertà.
Vivo nella pura consapevolezza.
Ho vinto il gioco della vita.
Ho vinto! Ho vinto!! Ho vinto!!!

La disseminazione della conoscenza

Durante il periodo di permanenza presso lo Swarg Ashram Sivananda aveva raccolto attorno a sè un certo numero di devoti studenti; ciò, però, andava contro il regolamento del luogo che prevedeva un massimo di due discepoli per Swami e rischiava di rovinare la quiete dell’ambiente. Egli decise così di trasferirsi dall’altra parte del fiume dove, in compagnia di cinque giovani seguaci, riprese la vita del mendicante; il cibo era disponibile solo ad alcune miglia di cammino e non vi era alcun riparo dove prendere rifugio.
Intanto il carisma e l’energia spirituale dello Swami attraevano un numero sempre maggiore di persone. Sivananda aveva sempre amato e apprezzato l’isolamento e il silenzio, non aveva alcun desiderio di essere un Guru e si considerava un comune sadhu, così, inizialmente, si limitava a dare consigli e a ricevere gli interessati in orari limitati. Dopo qualche tempo, però, il grande desiderio di servire il mondo, quella sua convinzione che: “Io vivo per servire. Vivo per servire tutti”38, mutò l’approccio ed egli incominciò ad accettare discepoli vicini e lontani, conferendo iniziazioni. Ammise poi che a fargli intraprendere la strada del grande maestro fu la vita stessa, si trattava di una vera e propria chiamata divina: “Ho sentito una Voce dall’Interno, ‘Siva, alzati e riempi la coppa della tua vita con questo nettare. Condividilo con tutti. Ti darò forza, energia, potere e saggezza’, obbedii ai suoi comandi. Egli riempì la coppa e io la condivisi con tutti”39.
Dopo un periodo piuttosto breve fu trovata una stalla abbandonata che, ripulita, divenne la modesta dimora di Sivananda per i successivi 8 anni; alcuni spazi furono poi riservati agli studenti. L’abitudine allo scrivere era di aiuto alla sua pratica spirituale (teneva regolarmente un diario), così come alla comunicazione con i pellegrini e devoti che lo avevano incontrato. La penna era per Sivananda lo strumento principe della sua missione: la disseminazione della conoscenza.
Ai tempi della vita a Swarg Ashram egli, ricevute 5 Rupie da un uomo per comprare del latte, interpretò il gesto come un chiaro segno divino e utilizzò il denaro per pubblicare il suo primo volantino. Trasferitosi al di là del fiume trovò una vecchia macchina da scrivere che ripulì ed incominciò ad usare; mancava tuttavia il denaro per comprare la carta, allora Sivananda incominciò ad utilizzare come fogli le buste scollate della sua personale corrispondenza. La distribuzione di volantini era molto apprezzata dai devoti che si offrirono di pubblicarne altre copie; tuttavia in breve questo non fu sufficiente: Sivananda con la luce di una bottiglia di kerosene lavorava anche di notte producendo una grande quantità di materiale che desiderava distribuire dappertutto. Il suo lavoro non sembrava mai sufficiente, adeguato e veloce; nel momento stesso in cui un pensiero d’intuizione sorgeva nella sua mente, andava scritto e condiviso con l’intera umanità: era impaziente di raggiungere ogni uomo e donna della terra. Egli utilizzò l’inglese come mezzo di diffusione del suo messaggio, riconoscendo che in tal modo avrebbe potuto comunicare con un maggior numero di persone. Non conosceva alcun editore, ma trovò una brillante soluzione per diffondere i suoi scritti; i pensieri venivano inviati ai direttori di posta di città e paesi accompagnati da una piccola nota in cui si chiedeva di produrne delle copie e distribuirle: “Vi prego, realizzatene un volantino, stampatelo e distribuitelo a piacimento. Se lo farete vi chiedo solo di inviarmene cento copie”40.
Il metodo fu un successo! Gli articoli, i libri e l’immensa produzione letteraria di Sivananda venne poi tradotta in diverse lingue e diffusa gratuitamente anche in altri paesi attraverso l’intervento di studenti stranieri. Grazie alla prolissa penna dello Swami, migliaia di persone e devoti ricevevano regolarmente indicazioni amorevoli e consigli spirituali in ogni parte del mondo. Persino Churchill, Stalin e Truman furono fra i destinatari delle sue spedizioni! Sivananda considerava il più importante dovere degli uomini illuminati, il loro servizio, la disseminazione della conoscenza alla quale bisognava dedicarsi con spirito privo di discriminazione.
Lo stile della sua scrittura era diretto, lucido e comprensibile da tutti; la parola era per Sivananda uno strumento di devozione verso tutti gli esseri, la scrittura una forma di servizio. La semplicità era il risultato della sua profonda comprensione, quella chiarezza che solo l’uomo realizzato può esprimere. La comunicazione con il mondo, il suo Insegnamento, prendeva poi forme diverse; talvolta una storia, altre una parabola o una canzone, una spiegazione delle sacre scritture o una poesia… qualsiasi mezzo era adeguato e necessario per entrare in contatto con la varia e immensa umanità. Tutte queste espressioni erano tuttavia caratterizzate dalla praticità: fornivano consigli, istruzioni e conoscenza per un reale sostegno alla vita spirituale di qualsiasi persona. Gli studenti erano direttamente coinvolti nel lavoro di diffusione della conoscenza attraverso la copiatura dei suoi lavori e la loro distribuzione; quest’attività divenne anche per Sivananda una forma diretta di insegnamento, un modo per scoprire le loro necessità: “Gli studenti occupavano quotidianamente qualche minuto a fare copie dei miei articoli e così imparavano lo Yoga e la filosofia in un breve periodo. Osservavo i loro volti da vicino per vedere se apprezzavano il lavoro e poi con cura selezionavo argomenti che potessero accordarsi con il loro gusto e temperamento e gli affidavo il lavoro”41.

Note
30. Letteralmente ”L’altalena di Lakshman”; si tratta di un’area di Rishikesh, passaggio obbligato in direzione di Badrinath e Kedarnath, luoghi sacri dell’Himalaya che attraggono ancora oggi migliaia di pellegrini.
31. Uno degli approccio allo Yoga che si focalizza sul controllo del prana o forza vitale. Si veda avanti.
32. Letteralmente “dimora”, era in realtà una piccola stanza.
33. Si veda Autori vari, Swami Sivananda, a modern sage, Divine Life Trust Society Publication, WWW Edition, 2001, p. 9,
34. Autori vari, Swami Sivananda, a modern sage, Divine Life Trust Society Publication, WWW Edition, 2001, p. 8, (traduzione dell’autrice).
35. Si veda Swami Sivananda, Autobiography of Swami Sivananda, Divine Life Trust Society Publicatio, WWW Edition, 2000, p. vii.
36. Samadhi significa letteralmente “mettere insieme” e rappresenta il fine dello Yoga classico; il termine definisce uno stato di raccoglimento perfetto durante il quale non vi è alcun moto mentale. Il praticante raggiunge uno stato di completa unione con l’oggetto della sua meditazione.
37. Swami Sivananda, Autobiography of Swami Sivananda, Divine Life Trust Society Publication, WWW Edition, 2000, p. 78, (traduzione dell’autrice).
38. Swami Venkatesananda, Lo yoga integrale di Sivananda, Edizioni Istituto di Scienze Umane, Roma, 1987, p. 28.
39. Autori vari, Swami Sivananda, a modern sage, Divine Life Trust Society Publication, WWW Edition, 2001 , p. 15, (traduzione dell’autrice).
40. Swami Venkatesananda, Lo yoga integrale di Sivananda, Edizioni Istituto di Scienze Umane, Roma, 1987, p. 139.
41. Swami Sivananda, Autobiography of Swami Sivananda, Divine Life Trust Society Publication, WWW Edition, 2000, p. 18, (traduzione dell’autrice).