Haṃsa Libera Scuola di Hatha Yoga

Shila Morelli

SIVANANDA

Un sannyasin diverso

Swami Sivananda era alto, le spalle forti e larghe, le braccia lunghe, gambe dritte e resistenti; la sua struttura fisica naturale aveva suscitato ammirazione sin dall’adolescenza e aveva trovato se possibile maggiore bellezza grazie alla sua passione per l’attività fisica e la pratica delle asana. Il viso tondo e sempre rasato, la pelle ambrata e luminosa, gli occhi grandi, vivi e profondi conferivano dolcezza a quel corpo imponente. Quando camminava per strada la gente si fermava ad osservarlo, ammirata dalla sua presenza, dalla forza morbida e delicata dei movimenti; il suo passo esprimeva armonia, la completa assenza di rigidità nel corpo fisico. Come tutte le grandi personalità i suoi gesti, i movimenti, la voce calda e profonda, l’espressione del viso e lo sguardo conferivano carisma alla sua persona, attraendo tutti coloro che incontrava. Durante l’estate era solito indossare una semplice dhoti55, mentre in inverno un cappotto lo proteggeva dal freddo; ciò suscitò notevole scalpore in quanto, secondo l’usanza, uno Swami avrebbe dovuto portare solo una semplice coperta per ripararsi dal freddo; egli aveva convertito tale usanza in qualcosa di pratico e maneggevole, anche se ciò andava contro la tradizione dei rinuncianti.
Il maestro dedicava grande attenzione alla vista e alla voce, i suoi strumenti di lavoro. Si dedicava grandemente alla cura dei denti e manteneva la pelle in salute con bagni di sole in riva alla Ganga; durante tale pratica non risparmiava neanche la lingua, stando li seduto con la bocca aperta verso la luce. Il rapporto con il corpo era di rispetto, cura, ma anche distacco; forse a causa del contatto continuo con i malati e dell’intenso lavoro cui sottoponeva il suo fisico, fu colpito da diverse malattie (si ammalò di diabete a 35 anni e soffrì di lombaggini e tifo), ma lo spirito era sempre allegro e forte a dimostrazione che il benessere è prima di tutto una condizione mentale. Il suo corpo divenne oggetto di venerazione ma egli era distaccato, non vi si identificava. Tra i vari culti di cui fu oggetto va menzionata la pada-puja, cerimonia di tradizione induista durante la quale i piedi vengono lavati e massaggiati; si tratta di una pratica devozionale particolarmente anelata poiché, secondo i devoti, i piedi del maestro liberano dal ciclo delle rinascite. Anche le sue impronte vennero prese e conservate come strumento devozionale; secondo i vaisnaviti56, infatti, porre tale reliquia sopra il capo durante la meditazione conferisce calma mentale e pensieri sublimi; è inoltre convinzione diffusa che si ottenga il miracolo di diventare canale per l’azione del santo cui le impronte appartengono. Nel mondo si manifestarono anche forme originali di devozione, come nel caso di una discepola cattolica del Sud Africa che, dopo aver fatto esperienza di un miracolo del maestro, ne chiese una fotografia così da poterne baciare la grande pancia!
Sivananda agì spesso in maniera inusuale per l’epoca, piegando gli schemi limitanti del conservatorismo religioso e culturale. Basti ricordare l’episodio con l’insegnante di scherma, la sua partenza per la Malesia, la stessa professione di dottore o la sua concezione di servizio. La rottura con il sistema castale non fu l’unico grande passo inconsueto. Egli fu criticato soprattutto perché, nell’idea comune, un rinunciatario faceva vita isolata e andava rispettato con riverenza; egli, invece, si prostrava di fronte a chiunque, parlava al mondo intero, pubblicava libri utilizzando l’inglese come veicolo di comunicazione, esprimeva la sua devozione attraverso la danza, forniva iniziazioni a chiunque, entrava in contatto con donne e persone di casta inferiore… . Le critiche si fecero presto sentire, ma Sivananda non si curava dell’opinione altrui e non sentenziava sugli altri; anzi considerava il giudizio e il paragone le radici del male: “Il male è una forma di conoscenza che mostra la superiorità della bontà attraverso il paragone”57, diceva, e consigliava sempre di non guardare agli sbagli degli altri e nel caso in cui capiti di vederne allora farne tesoro senza pronunciare alcun opinione al riguardo.
Sivananda era anche un lavoratore instancabile che viveva in uno stato di ispirazione costante; il suo concetto di riposo era semplicemente lo spostamento dell’attenzione da un tipo di occupazione ad un’altra. Regolarità, disciplina e puntualità erano le sue più affezionate compagne. Il maestro era metodico e ciò conferì immenso successo alla sua missione, oltre che ispirazione per tutti coloro che ebbero la fortuna di godere della sua presenza. “Il lavoro eleva quando è compiuto con il giusto spirito”58 era solito affermare. L’ottimismo fu un’altra qualità che lo contraddistinse sin dalla giovane età, sia come strumento di cura che come forma di volontà e consapevolezza della Realtà ultima.
Nonostante non avesse una maniera codificata e regolare di interagire con l’esterno, un tratto saliente del suo approccio era la grande affettuosità nei confronti di chiunque. Tale sentimento si esprimeva sia nella cura che nella sua capacità di mettere gli altri a proprio agio; tentava in ogni modo di stabilire un contatto con chi aveva di fronte, primo fra tutti quello della parola, cercando il più possibile di esprimersi nella lingua di origine del suo interlocutore. Conosceva l’hindi, il tamil, l’inglese, il malay, insieme a una miriade di detti, storie, proverbi e poesie nelle più disparate lingue che tirava fuori al momento del bisogno. La sua personalità era multiforme, in costante adattamento e identificazione con ciò che lo circondava. L’amore per l’umanità trovava riscontro nella sua immensa generosità, filo conduttore della sua vita, che gli valse il soprannome di Givananda (beatitudine del donare; da Ananda: beatitudine e Give: dare, donare). A testimonianza di ciò va ricordata l’abitudine di portare con sé, ovunque andasse, tre borse: una contenente materiale letterario da distribuire, un’altra frutta e dolci da offrire ai bisognosi e a chiunque (uomo o animale) incontrasse e la terza materiale per il pronto intervento e soccorso degli ammalati con medicinale di base. L’amore per il mondo non risparmiava nessuno e niente; egli aveva una cura estrema per gli oggetti, che manipolava con grande delicatezza e manteneva sempre in ordine perfetto. Nessuno lo ha mai visto rompere qualcosa!
L’umorismo era un’altra caratteristica saliente di Sivananda; non si può dire che fosse intrinsecamente parte del suo carattere quanto più un mezzo per comunicare qualcosa. Ogni sua parola e azione aveva un proposito ed era finalizzata all’evoluzione di chiunque gli fosse intorno. Attraverso una risata o una reazione egli raccoglieva informazioni sulla personalità di chi aveva di fronte, scoprendo quindi la chiave attraverso la quale trasmettere l’insegnamento.
La scrittura multiforme ed estensiva, insieme alla sua personalità aperta e disponibile lo resero accessibile, sostegno continuo di chiunque avesse bisogno. Egli non impersonò il sannyasin distaccato dal mondo, freddo e insensibile, timoroso del contatto con gli altri, nè rivesti il ruolo di Guru severo che richiede anni di preparazione prima di conferire la sua benedizione ai discepoli. Era la persona più facilmente reperibile all’interno dell’ashram ed accoglieva qualsiasi visitatore con attenzione ed entusiasmo. Lo scopo di Sivananda era la disseminazione della conoscenza, la comunicazione della Vita Divina al mondo; per adempiere a tale proposito era necessaria umiltà, adattabilità e sensibilità. Egli, il maestro, scese così al livello del sadhaka, il discepolo; ma, in realtà, i ruoli erano continuamente intercambiabili e il maestro diventava lo studente e viceversa: Sivananda, infatti, riconosceva il suo insegnante in ogni essere della terra. Egli comunicò con il mondo nella maniera più semplice e comprensibile possibile, a seconda della necessità del momento e della persona. Il suo fine era prima di tutto stabilire un contatto spirituale, una relazione di affetto e comprensione; il suo servizio fu quell’amore che apre la strada alla comprensione e il contatto un mezzo per la comunicazione dell’insegnamento, mai impositivo, mai lo stesso e nella maggior parte dei casi veicolato dalla testimonianza della sua stessa esistenza. L’esempio diventò così insegnamento. Come afferma Swami Paramananda nel suo libro Swami Sivananda, apostle of Peace and Love: “Sri Swamiji rendendo se stesso apparentemente a buon mercato, scende al tuo livello, diventa uno tra voi, e lavora per la vostra emancipazione. In breve, Swami Sivananda, diventa te per farti diventare Swami Sivananda”59.
Nella composizione “Un Maestro Ideale”60, lo Swami di Rishikesh così descrive la sua esperienza di maestro:

Sono sempre uno studente assetato
Non sono un maestro
Ma Dio mi ha reso maestro.
Rendo i miei studenti presto insegnanti
Sono un tale maestro.
Mi rivolgo a loro con parole di rispetto come
‘Maharaj’, ‘Swamijì, ‘Bhagawan’, ‘Narayan’,
Li tratto come miei pari
Li faccio sedere allo stesso livello
Sono un tale maestro.
Gli permetto di apprendere dalla mia stessa esistenza
Li rendo Mahant e sevitori dell’umanità
Presidenti, professori, scrittori, Swami e Yogi
Fondatori di istituzioni spirituali, poeti, giornalisti,
Propagandisti, spazzini divini, Cultori della salute e dello Yoga,
Dattilografi, re dello Yoga, Atma-Samrats,
Karma Yogi Veeras, Bhakti Bhushans, Sadhana Ratnas
Sono un tale maestro per tutti i Ricercatori della Verità.

Note
42. Canto devozionale.
43. Swami Sivananda, Autobiography of Swami Sivananda, Divine Life Trust Society Publication, WWW Edition, 2000, p. 12, (traduzione dell’autrice).
44. Swami Venkatesananda, Lo yoga integrale di Sivananda, Edizioni Istituto di Scienze Umane, Roma, 1987, p. 102.
45. Swami Venkatesananda, Lo yoga integrale di Sivananda, Edizioni Istituto di Scienze Umane, Roma, 1987, p. 142.
46. Si tratta di un centro spirituale, luogo in cui il maestro vive in compagnia dei suoi discepoli.
47. Autori vari, Swami Sivananda, a modern sage, Divine Life Trust Society Publication, WWW Edition, 2001, p. 14, (traduzione dell’autrice).
48. Annapurna, letteralmente “colei che dà (o è ricolma di) il cibo”, è una divinità indù, forma benefica della dea madre Durga, particolarmente venerata in ambito domestico è considerata fonte di abbondanza.
49. Il lungimirante Sivananda parlando con i suoi studenti aveva detto nei primi anni di apertura dell’ashram: “La gente che pranzerà con noi dovrà sedersi da qui a Lakshman Jhula” (la distanza dall’ashram a Lakshman Jhula è piuttosto considerevole, all’incirca un miglio). Tale previsione si rivelò vera; alla fine degli anni Cinquanta la cucina provvedeva a circa 400-500 persone.
50. La farmacia è oggi attiva ed è particolarmente famosa per il suo dentifricio (Sivananda insistette fortemente per la sua produzione), il Sivananda Tooth Paste, ma anche per il Brahma Amla Medicated Oil e il Chyavanprash.
51. Swami Sivananda, Autobiography of Swami Sivananda, Divine Life Trust Society Publication, WWW, 2000, p. vii, (traduzione dell’autrice).
52. Swami Venkatesananda, Lo yoga integrale di Sivananda, Edizioni Istituto di Scienze Umane, Roma, 1987, p. 17.
53. www.dlshq.org, (traduzione dell’autrice).
54. I discorsi dei diversi rappresentati religiosi sono stati raccolti e trascritti nel World Parliament of Religion’s Commemoration Volume.
55. La Dhoti è un tradizionale indumento maschile dell’India; consiste in un pezzo di stoffa di forma rettangolare che viene legato intorno alla vita e copre le gambe.
56. Seguaci di Visnu, l’aspetto conservatore di Dio.
57. Swami Venkatesananda, All about Sivananda, Divine Life Society Publication, WWW Edition, 1998, p. 32. (traduzione dell’autrice).
58. Swami Venkatesananda, All about Sivananda, Divine Life Society Publication,WWW Edition, 1998, p. 26. (traduzione dell’autrice).
59. Swami Paramananda, Sivananda: the apostle of peace and love, Divine Life Trust Society Publication, WWW Edition, 2008, p. 50, (traduzione dell’autrice)
60. Swami Sivananda, Autobiography of Swami Sivananda, Divine Life Trust Society Publication, WWW, 2000, p. 68, (traduzione dell’autrice).