Haṃsa Libera Scuola di Hatha Yoga

Shila Morelli

SIVANANDA

Il pensiero, origine e fine della creazione

Un vedantin advaita

Soham soham sivoham soham
om om om om om om om om om
Non sono ne mente ne corpo, sé immortale sono io
Sono testimone dei tre stati, sono conoscenza assoluta
Sono la fragranza nel gelsomino, la bellezza nei fiori
Sono la freschezza nel ghiaccio, l’aroma nel caffè.
Sono il verde nella foglia, il colore nell’arcobaleno
Sono papilla gustativa nella lingua, essenza nell’arancia.
Sono mente di tutte le menti, prana di tutti i prana,
Sono anima di tutte le anime, sé di tutti i sé.
Sono atman di tutti gli esseri, luce di tutti gli occhi,
Sono il sole di tutti i soli, luce di tutte le luci…
Io sono quello, io sono quello,
Io sono quello, io sono quello. 66

Il vero fondamento di ogni azione e pensiero di Sivananda è la convinzione che l’unica verità sia Dio stesso; Egli è l’essenza di tutta la realtà, pervade ogni cosa: “Dio solo pervade tutto; Dio solo è la verità. Egli è onnipresente, onnipotente, onnisciente”67, diceva a gran voce lo Swami.
Sivananda era un vedantin non duale, seguiva la corrente monista detta Advaita.
Vedanta significa letteralmente “la conclusione” (-anta), dei Veda; tale significato va interpretato non solo in relazione alla reale collocazione fisica dei testi, ma anche in associazione al carattere stesso del Vedanta, al suo valore di interpretazione della verità basata sulle rivelazioni delle Upanishad (in tal senso si intende per Vedanta uno dei sei sistemi ortodossi dell’induismo detti Darshana). In generale il Vedanta è stato oggetto di molte interpretazioni, ma nessuna fra esse ha prevalso, dando origine a diverse scuole di pensiero; fra esse quella Advaita (letteralmente non, “a-”, dualismo, “-dvaita”) era la corrente abbracciata da Sivananda. L’assenza di qualsiasi dualismo distingue questa concezione dal mero monoteismo: non solo esiste un unico Dio, ma Egli pervade ogni cosa (monismo); non c’è divisione tra Atman, il principio dell’indivisibilità del Sè, e Brahman, l’Unità, la realtà indivisibile e infinita che mai cambia poiché al di là della molteplicità spazio-temporale.
Dio va adorato in ogni cosa, dalle forme più attraenti a quelle più raccapriccianti della realtà. In Sivananda tale credo trova spazio non solo nella percezione di Dio, ma nel suo stesso insegnamento che accoglie ogni interpretazione e forma di devozione, senza il prevalere di una a discapito di un’altra. La Verità è una per il maestro, ma egli fu in grado di percepirla nella moltitudine del mondo che lo circondava.

Brahman, la creazione e il suo significato

Assolutamente nessun ente è mai nato
perché nessuna causa vi è per tale nascita.
La verità ultima è che assolutamente niente è nato
.68

Se la sola realtà è Brahman come può esistere ed essere giustificata la moltitudine che ci circonda? I Veda affermano che all’inizio vi era solo Brahman ed in Questo vi era una vibrazione, un potere inerente, Maya. Come l’acqua bagna e il fuoco brucia, Brahman può diventare molti grazie a Maya, quella forza che fa apparire reale ciò che non lo è. Dio può, così, essere moltitudine senza limitarsi nella sua auto proiezione; Egli, trascendendo la dualità, gli opposti, il tempo e lo spazio è la causa materiale di tutto ciò che possiamo osservare attorno a noi. La creazione è Dio stesso, il frutto di un gioco spensierato, un’auto-espressione: “Così come un uomo solo diviene molti uomini in sogno, così anche l’unico Dio esiste come molti”69, grazie al potere di Maya. Questo mondo quindi è mera apparenza, solo Dio in verità esiste.
Ma l’esistenza è sofferenza e l’uomo sembra anelare incessantemente ad una felicità irraggiungibile. Ogni piacere è momentaneo e sempre misto a dolore: “Il piacere che è mischiato con la pena, la paura e la preoccupazione non è piacere in alcun modo”70 afferma Sivananda. Felicità e dolore fanno parte del mondo che per sua natura è doppio in ogni espressione; l’uomo essenzialmente cerca la felicità nel posto sbagliato. Sivananda spesso cita a proposito una storia: “Un sempliciotto stava attraversando un tunnel buio. Una moneta che teneva in mano cadde a terra. Egli uscì dal tunnel e incominciò a cercarla con vigore dappertutto, appena fuori dalla galleria. La gente incominciò ad incuriosirsi. Gli fecero delle domande. Egli disse ‘Ho perso i miei soldi. Non riesco a trovarli, nonostante li stia cercando da tutto il giorno’. ‘Dove li hai persi?’ chiese un uomo. ‘Dentro quel tunnel’ fu la risposta. ‘E perché li stai cercando qui?’ chiese l’amico stupito. ‘Perché dentro il tunnel è buio e qui è chiaro!’71.
Il vero problema nell’ottenimento della pace e della felicità è il luogo in cui l’uomo conduce la sua ricerca. Questi, come il protagonista della storia, perde il suo tempo dove non otterrà mai nulla, poiché pensa di trovare la sua serenità negli oggetti esterni, soggetti alla casualità di spazio e tempo. La vera felicità, quella eterna, risiede in Dio che è al di là della dualità.
La creazione di questo mondo non è il risultato di una vanità, ma diretta emanazione del desiderio di Dio di procurare alle sue creature un terreno per diventare consapevoli della loro vera natura, della loro essenza che è Brahman stesso. La vita sulla terra è l’occasione per fare esperienza, il terreno per l’evoluzione dell’uomo, un luogo di azione e non di piacere; solo quando l’uomo avrà capito ciò potrà ottenere la vera felicità. La nascita umana è la più preziosa delle acquisizioni, essendo l’unico e solo mezzo per conoscere Dio. La vita non è eterna e l’unica sua ragione è l’incessante impiego di ogni energia per arrivare a Dio. In tal senso la creazione è una vera e propria necessità morale, il terreno di un’evoluzione spirituale che si compie passo dopo passo.
“Questo mondo non è un’illusione. Appartiene ad un ordine di realtà più basso rispetto all’Assoluto. È una realtà relativa, mentre Brahman è una realtà assoluta”72, afferma Sivananda. La realtà di ciò che ci circonda è relativa, essa cambia in relazione alla percezione del singolo che fa l’esperienza, al suo grado di consapevolezza. Egli è come l’uomo che dorme e realizza di aver sognato solo quando è uscito dal suo stato di sonno profondo; per questi il mondo non esiste. Proprio tale consapevolezza è il Dio che è in noi, l’Atman, il soggetto testimone. È dentro di noi, è il nostro Sé più nascosto. Questa verità, che appare così semplice, è sconosciuta alla maggior parte degli uomini. La mente, il principale strumento d’indagine dell’uomo e diretta emanazione di Maya, esercita proprio in tal modo il suo potere illusorio. I nostri stessi pensieri sono quindi i responsabili della creazione di questo mondo e della separazione da Dio.

Note
66. Canto del Vibhuti yoga, in Swami Venkatesananda, Lo yoga integrale di Sivananda, Edizioni Istituto di Scienze Umane, Roma, 2005, p. 96, (traduzione dell’autrice).
67. Swami Venkatesananda, Lo yoga integrale di Sivananda, Edizioni Istituto di Scienze Umane, Roma, 1987, p. 31.
68. Gaudapada, Mandukya Upanishad, pubblicazione a cura di Ashram Vidya, Roma, 1976, p. 244.
69. Swami Sivananda, Bliss Divine, Divine Life Trust Society Publication, Rishikesh, 1997, p. 81 (traduzione dell’autrice).
70. Sri N. Ananthanarayan, What does Swami Sivananda teach?, Divine Life Trust Society Publication, WWW Edition, , p. 2 (traduzione dell’autrice).
71. Sri N. Ananthanarayan, What does Swami Sivananda teach?, Divine Life Trust Society Publication, WWW Edition, , p. 1 (traduzione dell’autrice).
72. Swami Venkatesananda, All about Sivananda, Divine Life Society Publication, WWW Edition, 1998, p. 32. (traduzione dell’autrice).