Haṃsa Libera Scuola di Hatha Yoga

Maurizio Morelli

SIDDHARTHA IL BUDDHA

La via dei Samana

Si erano accampati in una piccola radura, vicino a una sorgiva da cui sgorgava un’acqua cristallina, fresca e assai gradevole. Viaggiando verso sud, Bhagava aveva imposto alla marcia un ritmo serrato e in dieci giorni avevano percorso la stessa distanza che all’andata aveva richiesto più di due settimane.
Ogni domanda da parte di Siddhartha era stata tacitata con un gesto imperioso, ma ora sembrava finalmente arrivato il momento delle spiegazioni. Si erano ritemprati con cibo nutriente mendicato nei villaggi, dissetati e purificati alle acque di quella fonte, ed erano ormai rientrati in un territorio in cui si sentivano sicuri, nelle ampie foreste oltre le pendici delle montagne.
Il maestro lo invitò a sedersi e lui stesso si accomodò proprio di fronte, diritto e rilassato. La piega di preoccupazione che aveva solcato la sua fronte in quelle faticose giornate si era dissolta.
«La via dei Samana è come risalire una scala» iniziò con voce ferma. «Presa coscienza della pochezza della condizione umana noi abbandoniamo ogni cosa, proprietà, famiglia, nome, origini e i nostri stessi ricordi e ci applichiamo, secondo la tradizione e ognuno in base alle proprie capacità, per conquistare le dimensioni superiori. La terra su cui camminiamo, che per i più è fonte di perdizione, fa da base alla nostra ascesa.»
Rimase in silenzio per alcuni minuti, come per dare a Siddhartha la possibilità di ponderare quanto appena sentito, poi continuò: «Ci sono sette gradini sulla scala dei Samana, che corrispondono a sette dimensioni e a sette mondi. Vivendo semplicemente e senza nulla possedere, evitando di arrecare danno a creatura vivente, trattenendo il respiro, digiunando, meditando, esercitando l’immobilità, ignorando il caldo e il freddo, il piacere e il dolore, e sempre mantenendo alta la fiamma dell’ascesi, così i Samana passano da una dimensione a quella superiore, fino a conquistare la più alta. Qui siedono a fianco degli dei, pari agli dei, talvolta più potenti degli stessi dei. Quando ogni traccia di umanità si è estinta, e solo la forza dello spirito brilla immota, allora godono di una beatitudine suprema, superiore a qualsiasi altra».
Ancora silenzio, poi riprese: «Gli dei non ci amano, ci invidiano e ci temono, ma noi sappiamo come costringerli a servirci. Anche gli dei hanno leggi e regole da cui non possono esimersi, e conoscendole noi li forziamo a obbedirci. Quindi non è sbagliato affermare che i Samana sono superiori agli dei. Ma entrambi, dei e Samana, dovremo un giorno rinascere. Non dopo anni o secoli, in ere si misura il tempo nelle dimensioni superiori, ma nessuno di noi è in grado di fermare la ruota del karma. Tutti dovremo rinascere, soffrire, morire.
«Tu hai chiesto ciò che non può essere ottenuto, che è al di là persino del potere degli dei, hai ricordato loro la caducità della loro esistenza e ne hai scatenato l’ira. Ma il fulmine di Indra, che da solo potrebbe sbaragliare tutti gli eserciti dell’universo, pur avendoti colpito non ti ha ucciso, e neppure ha lasciato tracce sul tuo corpo. Per questo io credo che tu sia predestinato e se esiste qualcuno in grado di andare oltre il tempo e lo spazio, là dove pace e felicità sono perfette e immutabili, dove non esistono nascita e morte, sicuramente quello sei tu. A nome di tutte le creature che soffrono ti prego di proseguire nel tuo cammino, e ti dono la mia benedizione. A poco ti servirebbe stare tra i Samana, hai già appreso tutto ciò che poteva esserti utile, altrove è la tua via. Ma se troverai ciò che cerchi, allora ti prego di tornare da noi, e così come tu sei stato allievo devoto, allo stesso modo io mi inchinerò umilmente ai tuoi piedi di loto».
Siddhartha, scosso da quel discorso, preda dell’angoscia e con la mente confusa, rimase in silenzio per lunghi minuti cercando di riacquistare il dominio delle proprie emozioni. Poi disse: «Sempre devo perdere ciò che amo. Mia madre mi ha lasciato pochi giorni dopo la nascita, e per desiderio di verità mi sono allontanato dalla casa natale e dalla mia famiglia. Ma ancora di più mi è penoso ora lasciare il maestro e i suoi discepoli, che conducono una vita pura e brillano per saggezza e vera conoscenza, che mi hanno accolto come un figlio e insegnato tutto ciò che so. Ancora una volta, per l’ultima volta, tu mi stai dando lezione insegnandomi che l’attaccamento genera dolore».
Queste parole pronunciò Siddhartha con gli occhi velati di lacrime.
Poi aggiunse: «Come tu dici così farò, ma prima che mi allontani da qui, concedimi un tuo consiglio. Che cosa debbo fare ora? In quale direzione debbo volgere i miei passi?»
Il maestro rimase immobile, gli occhi girati indietro, il respiro sospeso. Solo quando fu trascorso un tempo sufficiente rispose: «Non hai amici in cielo e anche se, come sembra, gli dei non possono nuocerti, sicuramente non ti aiuteranno. Cercheranno in ogni modo di ingannarti, di scoraggiarti o di legare a loro il tuo destino. Il primo consiglio che ti do è quello di non permettere mai, a nessuno e in cambio di nulla, di segnare marchi o simboli sul tuo corpo. In questo modo dei e demoni vincolano per sempre un essere umano».
E dopo una breve pausa proseguì: «Ciò che tu cerchi richiede immensa saggezza e potere, quindi impara da tutti coloro che possono insegnarti, ma fai conto solo su te stesso e non preoccuparti di altro. Se otterrai saggezza mantienila silenziosa, se otterrai poteri evita di manifestarli. Questo è il secondo consiglio. Per prima cosa recati a Vindhyakostha e cerca il maestro Arada, che ovunque è famoso per la sua profonda conoscenza della scienza mistica. Tra coloro che insegnano la verità egli brilla come un diamante tra i sassi. Con il capo chino, in ginocchio e pieno di umiltà chiedi la sua guida. Questo è il terzo consiglio, altro non posso dirti».
Il maestro si alzò e con gesto solenne impose le mani sul capo di Siddhartha. La forza che era dell’uno entrò nell’altro, come un fiume dilaga nel mare. Siddhartha si sentì leggero come una piuma e venne pervaso da un’energia intensa. Un torrente in piena scorreva in ogni vena e in ogni nervo del suo corpo. Egli percepì una luce intesa che, dopo essersi concentrata internamente, iniziò a scorrer via dalle dita delle mani e dei piedi, dagli occhi, dal centro della fronte e del capo, dal cuore… una luce tanto forte da fargli perdere conoscenza.