Haṃsa Libera Scuola di Hatha Yoga

Maurizio Morelli

SIDDHARTHA IL BUDDHA

La saggezza del Buddha

buddha

«Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma (continuamente). » Volendo sintetizzare all’estremo il pensiero del Buddha mi viene in mente il celebre postulato di Lavoisier, con la sola aggiunta della specifica ‘continuamente’.
L’indagine circa la natura dell’esistenza porta il Risvegliato a conclusioni le quali, più che alle visioni di un mistico, somigliano all’analisi di uno scienziato; esse sono condensate nel celebre discorso di Benares (tenuto ai suoi antichi compagni di macerazioni), il primo sermone con cui mette in moto la ruota del dharma, la legge universale.
In primo luogo è bene precisare che egli non negò mai l’esistenza degli dei, dei demoni o dell’anima, ma escluse che potessero avere una natura diversa da quella degli altri fenomeni dell’universo, quindi che potessero essere eterni e dotati di un ego permanente e stabile.

Nel sermone di Benares, egli concentra la sua dottrina in quattro brevi aforismi, le Quattro Nobili Verità:

1. La natura della sofferenza
2. L’origine della sofferenza
3. La cessazione della sofferenza
4. I mezzi (i sentieri) che portano alla cessazione della sofferenza

Sarebbe difficile immaginare qualcosa di più essenziale. Buddha è come un medico che, di fronte a un’umanità malata, definisce la malattia, le sue cause, la terapia e i medicamenti da assumere per portare a termine il processo di guarigione.

Dobbiamo focalizzare la nostra attenzione sulla Prima Nobile Verità, che rappresenta la diagnosi. Interpretandola erroneamente tutto il resto verrebbe falsato. Il Buddha osserva che l’umanità, tutti gli esseri umani vivono immersi nella sofferenza.
Enuncia un dato di fatto, ma non afferma che sia inevitabile. Quando non vi sentite bene, andate dal medico, quello vi visita e stabilisce che avete l’influenza: è esattamente questo che fa il Buddha.
È necessario anche un approfondimento rispetto a ciò che si intende per sofferenza (dukkha). Ci sono alcuni termini che, per la complessità e la variabilità del loro significato rispetto al contesto in cui vengono usati, sono di difficile traduzione.
Dukkha, infatti, implica anche imperfezione, impermanenza, mancanza di stabilità, nescienza. Come una diagnosi di influenza sottintende un’infezione virale, così questo termine, oltre che il valore di sofferenza, comprende il concetto di ignoranza come causa scatenante. La sofferenza ha fondamentalmente due aspetti: la vicinanza di ciò che ripugna e la lontananza da ciò che si ama.
Compresa la Prima Nobile Verità, il resto viene di conseguenza.

La Seconda Nobile Verità ci parla dell’origine della sofferenza, che è radicata nel desiderio.
Tale desiderio, o più propriamente ‘sete’, ha una triplice natura e si manifesta come sete di sensazioni, sete di esistenza, sete di annullamento. Questa sete genera karma.
Perché il desiderio è origine della sofferenza?
Per desiderare è necessario un Io che desideri, ma essendo ogni cosa creata non permanente e impersonale, l’Io che desidera è un Io ignorante, che non conosce la vera natura della realtà. Il desiderio causa una fissione innaturale della coscienza in un ego che in realtà non esiste, e crea quella sofferenza che è risultato dell’ignoranza.

La Terza Nobile Verità riguarda la liberazione dalla sofferenza, quindi la possibilità di superare la condizione di ignoranza.
Il Buddha ci dice che la malattia non è inguaribile, che la liberazione può essere raggiunta estinguendo la sete, la brama, il desiderio. Comprendendo che ogni cosa è transitoria e priva di una reale identità, la rinuncia sorge spontanea e la guarigione è presto ottenuta.

Al fine di favorire la comprensione, il Buddha dà spiegazioni dettagliate circa la natura della malattia. Spiega che il desiderio genera attaccamento, dall’attaccamento nasce il perdurare del divenire (il vincolo all’azione del karma). Da ciò deriva l’impossibilità di uscire dal Samsara, il fiume dell’esistenza e, di conseguenza, l’inevitabile rinascita e il permanere di una condizione di ignoranza e quindi di malattia, di sofferenza. Ma egli fa anche altre importanti affermazioni: dice che il Nirvana, la suprema realizzazione, è proprio qui, a portata di mano, che già esiste in ognuno di noi oltre la percezione illusoria
e falsata, generata dall’ignoranza. Non va cercato altrove, basta lasciare che affiori.

La Quarta Nobile Verità ci parla dell’ottuplice sentiero che conduce alla liberazione. Superato il livello concettuale, entriamo nel vivo della pratica: ci viene indicato un modello di comportamento capace di traghettarci oltre il campo percettivo generato dall’ignoranza. La prima raccomandazione è evitare gli estremi, di cui il Buddha stesso ha sperimentato a lungo e con grande intensità la completa inutilità. Ci consiglia di non abbandonarci al piacere dei sensi, ma neppure alla sua repressione, cercando sempre il punto intermedio, il centro, il luogo dell’equilibrio delle forze.
Tenendo a mente quanto appena detto, gli elementi dell’ottuplice sentiero sono:

1. corrette opinioni, cioè comprendere la natura non permanente dei fenomeni;
2. impegno della volontà, cioè dirigere la propria energia nel compito di superare l’ignoranza e nel compiere quanto necessario;
3. parlare con sincerità, non distorcere la verità, evitare la menzogna, l’omissione della verità, l’offesa, il turpiloquio non meno del pettegolezzo e delle chiacchiere inutili; non pronunciare parole che possano generare discordia;
4. agire senza recare danno a creatura vivente, ossia non agire in senso distruttivo e, nel contempo, proteggere la vita altrui;
5. procurarsi onestamente il necessario, non rubare, né frodare, né falsificare;
6. impegnarsi quanto necessario; anche nel fare il giusto, evitare gli eccessi che sono spesso generati dall’intellettualizzazione delle regole;
7. mantenere sempre attiva la presenza mentale, osservando ogni cosa con la mente sgombra da pregiudizi;
8. praticare correttamente e regolarmente la meditazione.

Seguendo l’ottuplice sentiero, si ottengono saggezza, moralità e concentrazione.
Il Buddha non aveva alcuna intenzione di fondare una religione. Il suo scopo era promuovere un movimento capace di diffondere questa nuova visione, così da portare giovamento e una reale possibilità di riscatto al maggior numero di persone possibile. Fondò un ordine monastico maschile e successivamente anche uno femminile.
Per entrare nell’ordine era sufficiente pronunciare una semplice formula: «Prendo rifugio nel Buddha, nel Dharma (la legge, N.d.A.), nel Sangha (la comunità dei monaci, N.d.A.)».
Al novello monaco venivano rasi i capelli, riceveva due vesti color ocra, un colino per filtrare l’acqua e una ciotola per le elemosine. Questo era sufficiente.

Il Buddha si prodigò in ogni modo per mantenere la comunità monacale libera da gerarchie, ritualità e dogmatismi. Raccomandava costantemente di seguire le sue indicazioni ma di ricercarne conferma nell’esperienza pratica e non nelle costruzioni mentali. Non si può dire che abbia ottenuto completa soddisfazione in questo compito, in gran parte a causa dell’enorme successo e della rapida diffusione del suo messaggio.
Giovani ansiosi di realizzazione arrivavano da ogni luogo ed entravano nell’ordine. Benché l’onestà intellettuale e la sincerità del loro intento siano fuori discussione, non tutti avevano la capacità di elevarsi al di sopra dei condizionamenti e della cultura in cui erano stati fino a quel momento immersi. Ed essi erano così numerosi che i monaci più anziani non potevano seguirli tutti. Per capire quanto questa situazione sia rapidamente degenerata, basti pensare che il primo scisma si verificò mentre il Buddha era ancora vivo, a opera di suo cugino Devadatta.

Prima di morire il Buddha radunò la comunità e dopo avere nuovamente esposto l’intera dottrina e avere soddisfatto ogni genere di domande, invitò i monaci a vivere in pace, ad aiutarsi l’un l’altro e a collaborare.
Il Buddha ha lasciato a ogni essere vivente un messaggio di pace, di compassione, di amore, di luce e di gloria, un messaggio che i millenni non potranno scalfire.